DONALD TRUMP QUASI A SORPRESA SCONFIGGE HILLARY CLINTON

Non sarà una donna il quarantacinquesimo presidente de-gli Stati Uniti. Nella corsa alla Casa Bianca Hillary Clinton ha inciampato nell’ostacolo – abbastanza imprevisto, bisogna ammetterlo – di Donald Trump che ha ottenuto 306 grandi elettori contro 232 della sua rivale (per vincere ne sono sufficienti 270) e il 47,5 per cento del voto popolare rispetto al 47,6: 59.413.500 suffragi contro i 59.229.000, con il ricorrente paradosso del perdente che ne ha avuti più del vincitore e l’abituale costatazione che gli Usa sono una grande democrazia che non vota (poco più del 50 per cento). Il risultato sanziona due fallimenti: quello della campagna dei democratici e l’altro dei sondaggisti.

Anche le due camere restano in mano ai repubblicani, nonostante i democratici abbiano loro strappato sette deputati (da 188 a 195, con i loro avversari scesi da 247 a 240) e due senatori (oggi sono 46 invece di 44), mentre gli altri scendono da 54 a 50. I democratici ottengono 4 dei dodici governatori in palio, perdendone quindi due. Il neopresidente, in ogni caso, avrà le spalle coperte da una maggioranza certa.

È una situazione per molti versi (anche se non del tutto) inaspettata che impone una approfondita riflessione su: dove va l’America? Al di là dalle affermazioni elettorali, infatti, il programma del vincitore è rimasto sempre vago (come del resto quello della sua antagonista) e non basta un richiamo a “tornare grandi” per suggerire concrete opzioni. Una delle quali, comunque, è il prevedibile recupero del liberismo reaganiano, con meno tasse: addirittura una imposta personale uguale per tutti, ma a vantaggio dei grandi patrimoni e delle multinazionali, nella prospettiva che gli uni e le altre siano sollecitati a investire e quindi a sollecitare impieghi e consumi. Inoltre ci si deve probabilmente attendere una stretta sul sociale, a differenza degli impegni della Clinton, e nel controllo dell’immigrazione: fa parte del programma l’intenzione di espellere undici milioni di immigrati che si trovano negli Usa senza permesso.

Per il momento, comunque, si tratta ancora di chiedersi, non senza preoccupazione, come il neoeletto vorrà impostare la sua politica estera: dove, per esempio, vorrà arrivare nel braccio di ferro con la Cina, che a suo parere va considerata quasi come un nemico, e con l’Iran di cui si dovrebbe cancellare lo storico accordo nucleare stipulato da Barack Obama. Anche gli alleati della Nato possono farsi qualche preoccupazione, chiamati come sono – non senza arroganza – a un maggior contributo nelle spese militari.

Si è parlato, in queste elezioni, di Stati Uniti spaccati, quasi con un senso di meraviglia. Evidentemente la memoria non aiuta, perché è sempre stato così. Non ci si ricorda che ogni campagna elettorale divide profondamente gli Stati Uniti, dove più di un presidente è stato assassinato come risultato di odi profondi e incancreniti. Si dimentica che po-co più di centocinquanta anni fa una sanguinosa guerra civile ha prodotto oltre un milione di morti. E si potrebbe catalogare l’ondata di disordini dei tempi più recenti come frutto di persistenti intemperanze e dissidi razziali. Ancora una volta, dopo il primo presidente afroamericano che ha governato per otto anni, ci si presenta l’America delle sorprese. E dobbiamo tenercela.

L'ECO di San Gabriele
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