LA TREGUA PRECARIA DEL MEDIORIENTE

Tregua precaria, intesa traballante. La “guerra degli otto giorni” fra Israele e Gaza, dal 14 al 22 novembre scorsi, è costata 160 morti (di cui 35 bambini) ai palestinesi, 6 vittime agli abitanti dello stato ebraico; con 1400 razzi sparati contro quest’ultimo dalla Striscia e 1500 bombe sganciate su questa dagli aerei e dall’artiglieria israeliani. Gaza, miccia sul Medioriente e sul Mediterraneo, non ha smesso di bruciare, ha soltanto rallentato la sua corsa. La Terra-santa è sempre preda della violenza innescata dal maligno. Per portare un messaggio di speranza il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, ha trascorso una veglia natalizia, il 16 dicembre, con la piccola comunità cattolica della Striscia. Si è detto consapevole che non basta un effimero accordo di cessate il fuoco per giungere a una situazione di civile convivenza, ma che è necessaria una sincera e reciproca volontà politica. E voleva certamente alludere a un risultato da raggiungere, quello dei “due popoli, due stati” che solo potrà garantire un futuro senza scontri. Ma per il momento l’obiettivo sembra lontano. Il problema arabo-israeliano continua a essere il nodo da districare in Medioriente, e forse nel mondo. Qualsiasi evento di natura politica (rivolte popolari, “primavere”, mu-tamenti di regime) trova le sue radici nell’irrisolta questione della Pale-stina. Da un lato l’irragionevole pretesa del mondo islamico di “cancellare” lo stato d’Israele, dall’altro il comportamento di Tel Aviv, condannato dalla comunità internazionale, di espansione su terre conquistate e mantenute con la forza delle armi. La “guerra di Gaza” in ogni caso è stato segno di un mutamento del quadro politico, con l’obiettivo indebolimento di Israele a seguito delle rivolte arabe: esse hanno sostituito con regimi islamici più radicali quanti si contentavano dello status quo nei confronti dello stato ebraico, anche se tuonavano a parole contro di esso. La rielezione di Barak Obama alla presidenza americana non è stata una buona notizia per il governo di Benjamin Netanyahu, come si deduce dalla pressione senza sconti degli Usa per il raggiungimento della recente tregua. Un altro colpo è stato inferto dal riconoscimento dell’Onu alla Palestina come “stato non membro”, provvisto comunque di diritti che possono dar fastidio a Tel Aviv. La cui mossa di risposta ha indispettito le diplomazie, anche quelle amiche: l’insediamento di altre colonie nei territori occupati, sintomo rivelatore di isolamento e debolezza. Al quale si aggiunge la rinuncia alla politica del ministro della difesa Ehud Barak, ammissione indiretta del mancato successo dell’operazione contro la Striscia, come tale salutato dai dirigenti islamisti di Hamas. Certamente Israele conserva tutta la sua superiorità bellica e tecnologica; ma non è al completo riparo dall’offensiva degli avversari, come dimostrato dai missili che hanno raggiunto la capitale e Gerusalemme.

La pace, nella terra di Gesù, dipende dal buonsenso dei principali attori politici che sono chiamati alle rispettive responsabilità. Non ce ne sarà la possibilità sino a quando risuoneranno le minacce degli ambienti islamici oltranzisti o di regimi come quello di Teheran in cerca di egemonie regionali, e se come replica israeliana si elimineranno con omicidi mirati gli esponenti avversari o si agiterà lo spettro di bombardamenti sui siti in cui si costruiscono le atomiche iraniane. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare: l’impotenza della diplomazia internazionale e delle Nazioni Unite (senza contare la clamorosa assenza dell’Europa) a trovare una soluzione che non continui a proporre il Medioriente come una bomba a scoppio ritardato.

L'ECO di San Gabriele
Panoramica privacy

Questo sito utilizza cookies per migliorare l'esperienza di navigazione.

I cookies sono piccoli files di testo salvati nel tuo browser per facilitare alcune operazioni. Grazie ai cookies, se torni a visitare il sito potrai essere riconosciuto non dovendo dare nuovamente il consenso al trattamento dei dati personali e saranno ricordale le preferenze già espresse.

Per gli sviluppatori, i cookies indicano le pagine più apprezzate dai visitatori al fine di un ulteriore sviluppo del sito.