DEGRADO DELL’ETICA E DEMOCRAZIA DA SALVARE

Alcune inchieste giudiziare – verso le quali occorre avere un supplemento di prudenza perché troppo spesso finiscono nel nulla – hanno riportato d’attualità la questione morale. C’è chi afferma che dopo Tangentopoli non sia cambiato nulla. Anzi, che la situazione sarebbe addirittura peggiorata. Un certo degrado dell’etica pubblica (ma quella privata non è immune) è sotto gli occhi di tutti. E dovremmo chiederci se la nostra ridotta (sant’Agostino ci perdoni) capacità di indignarci non favorisca di fatto il fenomeno.

Quello che colpisce – ma sarà la magistratura a trarre le conclusioni, speriamo non alle calende greche – è la diffusa mancanza di consapevolezza da parte di molti protagonisti di essere, se non fuori, al limite della legge. Sembra che non ci pensino mai, che non ne abbiano contezza. Ma, ovviamente, ignorantia legis non excusat. Ci si dovrebbe aspettare, dopo anni di indagine sui rapporti tra politica e imprese, che la paura di compiere, anche in buona fede, un atto contrario alle norme, pervada gli atteggiamenti di amministratori, imprenditori e manager. Del resto le aziende sono particolarmente attente alle comunicazioni finanziarie. E sanno quanto un dettaglio possa cambiare anche radicalmente la percezione del mercato sul loro valore. E la stessa cosa si può dire per altri adempimenti previsti dagli obblighi contrattuali, per esempio nell’ambito del diritto del lavoro. Materie che i protagonisti del mondo degli affari percepiscono come più cogenti, consci delle possibili e sgradevoli conseguenze. Nello stesso tempo, anche chi fa politica, dedica attenzioni persino smisurate alla qualità dell’immagine, all’efficacia delle proprie parole, dei propri gesti.

Sul tema invece del finanziamento illecito dei partiti, sul rischio che le donazioni finiscano per essere intese come un pagamento e, dunque, una corruzione o concussione, per una scelta amministrativa peraltro legittima, la percezione di pericolo è pressoché nulla. Come se non vi credessero, come se fossero convinti di avere a che fare con norme figurative, artificiali, inutili. Così fan tutti. Dunque, non vi è alcuna deterrenza. O perlomeno ce n’è molto poca. La spiegazione forse più immediata di questo atteggiamento assai diffuso poggia su una doppia ipocrisia. La prima è che l’abolizione del finanziamento pubblico abbia reciso alla radice il fenomeno. Constatiamo dopo tanti anni che lo ha persino alimentato. La seconda è credere che la trasparenza nei finanziamenti a partiti e candidati sia di per sé la garanzia di un sostegno privato senza sottointesi particolari. In realtà molti finanziano questo o quel candidato o amministratore aspettandosi che almeno non vada contro i propri interessi.

Ma qual è il confine oltre il quale si materializza un accordo illecito? E come va giudicato l’amministratore che, concedendo qualche favore, senza violare la legge, apre una corsia preferenziale a un costruttore o a un altro imprenditore, solo per cercare di terminare un’opera in tempo?

Senza contributi a partiti e politici la democrazia deperisce o è riservata a miliardari. Far finta che la politica viva solo d’aria e di ideali, non la rende più nobile, la immiserisce.

L'ECO di San Gabriele
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