La prima presidente del Parlamento europeo, eletta a suffragio universale nel 1979, fu Simone Veil. Magistrata e politica francese, era stata deportata ad Auschwitz con tutta la sua famiglia. All’epoca era un po’ più grande di Liliana Segre che ebbe, come sappiamo, un destino simile.
La giovane Simone aveva appena fatto la maturità. Nei campi di sterminio nazista perse i genitori e un fratello. La sua nomina ebbe uno straordinario valore simbolico. Lei ebrea venne chiamata a presiedere l’assemblea di Strasburgo in quell’Alsazia, terra di confine storicamente contesa, luogo insanguinato di infiniti contrasti tra Francia e Germania.
Veil sostituì il democristiano Emilio Colombo che aveva presieduto l’assemblea di Strasburgo ancora nominata dalle assise nazionali. Ebbe nei suoi confronti parole di grande stima. Credo non formali. Disse ai parlamentari, nel suo primo discorso, che quella che non era ancora un’Unione doveva “raccogliere il guanto di tre grandi sfide: la pace, la libertà e il benessere”.
È amaro notare, 45 anni dopo, mentre ci apprestiamo a votare distrattamente per il nuovo Parlamento europeo, che almeno in apparenza oggi stiamo peggio di allora. Il benessere è certamente cresciuto in questo lasso di tempo, ma non vi era ancora stata la globalizzazione che ha impoverito i ceti operai e medi. I fenomeni migratori erano del tutto sconosciuti. Rispetto al resto del mondo, l’Europa stava meglio di oggi. Le altre aree del mondo, non solo la Cina allora ancora chiusa, sarebbero cresciute di più. Sul versante degli altri, e più importanti valori eravamo ancora immersi nel pieno della Guerra Fredda. Ma consideravamo la pace un valore ormai acquisito. Oggi non potremmo giurarlo. Pur essendo il continente ancora diviso dalla Cortina di Ferro, forti partiti comunisti soprattutto in Italia e Francia, l’idea che ci venisse sottratta la libertà era del tutto remota. L’Occidente – anche e soprattutto cristiano – si sentiva molto forte. Oggi non potremmo dire altrettanto.
Questo non vuol dire che in quasi mezzo secolo non siano stati fatti grandi progressi, sia sul piano economico, sia sul piano dei diritti. Sono stati enormi. Si pensi solo alla libertà di movimento delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi, all’Erasmus per gli studenti, all’introduzione della moneta unica. Una rivoluzione. Senza l’Unione europea, tanti Paesi dell’Est europeo oggi sarebbero in una condizione simile a quella dell’Ucraina. Ma proprio il ricordo delle parole di Simone Veil dovrebbe farci riflettere oltre che a indurci a votare.
Senza la memoria, il nazionalismo dilaga. E arma i popoli. L’un contro l’altro. L’Unione sarà anche una costruzione incerta, ma resta sempre un insieme civile di minoranze. Nessuna può e deve temere di essere sopraffatta. Né coltivare la necessità di farsi aiutare dal vicino più forte. Nei Balcani è successo esattamente questo. E non vogliamo immaginare che cosa sarebbe accaduto ancora se alcuni Stati non fossero entrati nell’Unione e gli altri non vedano l’ora di farlo.