LA TOMBA PIENA

Gli evangelisti raccontano la sepoltura di Gesù con ricchezza di particolari, per non lasciare dubbi che egli sia morto e per preparare la reazione emotiva della risurrezione. La faccenda si svolge in fretta. Si omettono le unzioni dovute al cadavere perché è già tardo pomeriggio e i crocifissi non possono restare appesi nella notte. Provvederanno le donne, che verranno ad ungerlo con abbondanza di aromi e olii profumati appena terminato il riposo festivo. La loro intenzione depone a favore di una sepoltura regale, ma a sfavore di una speranza di risurrezione.

Si fa avanti Giuseppe d’Arimatea, finora discepolo anonimo di Gesù, che aspetta il regno di Dio. È un giudeo e membro ragguardevole del sinedrio, così è chiaro che neppure tra i capi ci fu unanimità nel rifiutare Gesù. È coraggioso perché rischia grosso coinvolgendosi a favore di uno respinto dall’autorità. Chiede a Pilato di prendersi il corpo di Gesù. Non si dice cadavere ma corpo, parola usata anche per indicare l’Eucaristia. I crocifissi erano gettati nelle fosse comuni, ma potevano essere concessi ai familiari su richiesta. Il procuratore l’accorda.

Al d’Arimatea si affianca Nicodemo, ch’era apparso altre due volte nel vangelo. Anche lui è uno dei capi. Finora non aveva avuto il coraggio di seguire Gesù mettendosi contro tutti, ma la morte di croce gli dà la forza di uscire dalla clandestinità e di rischiare per Gesù.

La sepoltura avviene con cura, nonostante la fretta. Gesù è calato dalla croce, avvolto in lenzuolo candido e messo nella tomba dove nessuno era stato mai sepolto. Un sepolcro nuovo scavato nella roccia, che Giuseppe d’Arimatea s’era fatto preparare per sé. L’entrata è sbarrata con un masso che non sarà facile spostare. I vangeli segnalano la presenza delle donne durante la tumulazione. Osservano la tomba e com’era stato deposto il corpo di Gesù, Lc 23,55. Devono tornare per le unzioni e quindi vogliono capire come maneggiare il morto. Sono le fedeli discepole di sempre, compresa Maria di Magdala, che non hanno abbandonato Gesù come ha fatto il gruppi dei discepoli maschi.

Invano cerchiamo nei Vangeli una parola di conferma a ciò che i secoli hanno visto come passaggio logico della cerimonia funebre: il riposo di Gesù sul grembo di sua madre Maria prima di essere consegnato alla madre terra. Ella è lì, com’è confermato da Giovanni. La fede e l’amore hanno diritto di godere ciò che il tema della “Pietà” ha espresso in stili di arte e di preghiera.

Anche in questo contesto di sobrietà e compostezza, l’evangelista Matteo segnala un finale tragicomico. I capi ebrei non si fidano di vedere il Nazareno morto e sepolto, ma esigono che sia sorvegliata la tomba almeno per tre giorni. Vanno da Pilato argomentando: Ci siamo ricordati che quell’impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò, 27,63. Bisogna vigilare, altrimenti i fanatici che lo sostengono lo vanno a prendere e dicono che è risorto. Pilato ne ha fin sui capelli e li licenzia in malo modo, dicendo di usare il loro corpo di polizia. Non può ridicolizzare l’esercito romano per tenere a bada un morto. Essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi le guardie, 27,66. Il dramma finisce facendo dichiarare ai nemici la verità. Ieri Pilato aveva condannato Gesù dopo averlo dichiarato innocente. Oggi consente ai Giudei di picchettare il sepolcro, ma dopo aver fatto dichiarare loro che risorgerà.

Nell’esperienza cristiana può capitare l’occasione in cui sia necessario vivere la spiritualità del sepolcro. È quando ci si trova tagliati fuori, scartati, esclusi dal proprio ambiente vitale. In tale possibile fase della vita bisogna essere capaci di continuare ad amare, sentirsi amati e salvati, e cooperatori della salvezza del mondo. Il Sepolto del Calvario è vivo e attivo anche nella tomba. Discende agli inferi a portare la salvezza agli antichi che avevano creduto in lui venturo, come oggi porta la salvezza a noi che crediamo in lui venuto.

L'ECO di San Gabriele
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