Per esprimere giudizi realistici sulla situazione politico-istituzionale molti fattori essenziali di riferimento che la determinano appaiono complessi e poco chiari. Uno però ha valore particolare. Ce lo ha indicato il capo dello Stato, Mattarella, che parlando all’assemblea dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) si è esplicitamente riferito alla difficile situazione creata dalla strumentalizzazione da parte dei No vax – influenzati da gruppi politici, espressione di ideologie eversive di sinistra e di destra – che hanno ormai l’evidente obiettivo della progressiva paralisi delle attività produttive e commerciali del paese. “Atti di vandalismo e di violenza – ha detto il capo dello Stato – sono gravi e inammissibili e suscitano qualche preoccupazione, sembrando talvolta configurarsi come tasselli di una intenzione che pone in discussione le basi stesse della nostra convivenza. (…) Il tempo delle responsabilità non è concluso. (…) è stato fatto un grande lavoro, occorre adesso prevenire e contrastare le ulteriori pericolose insidie che provengono dai nuovi contagi”. Dopo aver ricordato che grazie ai vaccini “siamo riusciti a superare il tornante più impervio, e ci siamo incamminati su un percorso nuovo dove si può tornare a progettare e costruire”, il duro finale: “Le forme legittime di dissenso non possono mai superare il dovere civico di proteggere i più deboli: dobbiamo sconfiggere il virus non attaccare gli strumenti che lo combattono”.
Sono considerazioni e avvertimenti indirizzati, giustamente, da Mattarella innanzitutto ai modi di essere e di operare dei partiti che condizionano la dialettica politico-istituzionale in modi e forme che, di fatto, non hanno precedenti nell’Italia repubblicana. A cominciare dal fatto che sono partiti che si esprimono componendo una maggioranza parlamentare di circa l’ottanta per cento dei membri delle due Camere. Ma, secondo fatto di assoluto rilievo, appaiono profondamente divisi, e spesso anche al proprio interno, sui mezzi e i percorsi per realizzarli. Tanto da apparire uniti solo dalla obbligata accettazione dei disegni e dei programmi del presidente del Consiglio Mario Draghi, che non è, per altro, espressione di alcuno di essi.
Non è necessario avere dimestichezza con le vicende politiche italiane per capire, ad esempio, che poco o niente vi è in comune tra il PD e la Lega. Quest’ultima in maggioranza con ministri ma, nello stesso tempo, culturalmente e politicamente legata in centinaia di comuni, e in decine di provincie e di regioni, con Fratelli d’Italia, la sola forza politica all’opposizione. Con FDI e la Lega ha rapporti più che cordiali, come FI di Berlusconi, pur se il partito della Meloni, a differenza di quello di Berlusconi, punta alla fine più rapida possibile del governo Draghi (magari eleggendo il presidente del Consiglio a capo dello Stato), al fine di andare a nuove elezioni prima della scadenza naturale della legislatura, realizzando un risultato che potrebbe fare di Fratelli d’Italia il partito più rappresentativo in parlamento. E, ovviamente, il partito egemone nel centro-destra di governo.
Altra situazione complessa e di non facile lettura è quella del M5S, che nelle elezioni del 2018 aveva ottenuto oltre il 30 per cento di voti, ed oggi è diviso in seguaci di Conte, simpatizzanti di Di Battista e un numero in continua variazione di “indipendenti”. Tutti comunque impegnati a evitare la fine anticipata della legislatura, che impedirebbe loro di maturare i 5 anni necessari per beneficiare della pensione, essendo, nella stragrande maggioranza, di prima elezione.
Il PD riesce a offrire una immagine all’esterno di maggiore compattezza. Ma le divisioni interne appaiono evidenti non appena si imponga di affrontare il problema delle alleanze, quando verrà il momento delle decisioni obbligate sulla elezione del nuovo capo dello Stato. Posto che Mattarella sembrerebbe sempre più deciso a non accettare una riconferma a tempo (come Napolitano) per ragioni istituzionali. Comunque l’interrogativo sul quale l’interessato tace ma tutti parlano è se Draghi abbia scelto di puntare subito al Quirinale, oppure completare il lavoro avviato a Palazzo Chigi.