È la prima visita di un pontefice nella terra di Abramo, il padre delle tre religioni monoteiste. “Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione – ha ammonito – convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace”
Collaborazione e amicizia fra le comunità religiose perché, “coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si possa contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità”, sono stati alcuni dei temi sottolineati da papa Francesco nel suo incontro privato a Najaf con il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, leader della comunità sciita dell’Iraq. Parte da qui, da queste parole intrise di rispetto e pace, l’importanza del viaggio apostolico che lo scorso marzo papa Francesco ha compiuto in Iraq. Parole alle quali hanno fatto seguito quelle di Sayyid Al-Sistani mettendo in risalto, particolarmente, il confronto sulle sfide attuali dell’umanità, sul ruolo della fede in Dio e sull’impegno per la promozione dei più alti valori morali e quelle del mondo islamico.
Un viaggio molto importante, quello del Papa in terra irachena. Francesco, volgendo l’attenzione verso un paese particolarmente sofferente, che porta nel suo corpo le ferite della guerra, del terrorismo, della violenza, degli scontri, ha voluto manifestare una particolare vicinanza all’Iraq e agli iracheni. E lanciare un messaggio: si deve collaborare, e ci si deve mettere insieme per ricostruire il paese.
È il primo viaggio di un pontefice in Iraq, la terra di Abramo, il padre delle tre religioni monoteiste. Che si è mosso sulle ali della speranza. Una speranza che vive del dialogo interreligioso, della fraternità e riconciliazione sociale, per aiutare l’Iraq, e i cattolici presenti in quella terra, a rinascere di nuovo con un impegno comune ad ascoltarsi e aiutarsi a vicenda.
Una visita, quella di papa Francesco, crocevia del suo pontificato, per i risvolti diplomatici ma anche ecclesiali. A Ur dei Caldei è avvenuto un incontro interreligioso storico: dal luogo dove Abramo iniziò il suo viaggio fino alla Terra promessa, Francesco ha lanciato un forte appello ai credenti di ogni religione perché convertano gli strumenti di odio in strumenti di pace, nonostante le ferite del passato.
Parole che hanno una forza dirompente, di pace e riconciliazione. “Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti e dignità! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi. Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa”.
Una visita “storica”, potremmo dire, perché, in questi ultimi anni, a causa delle violenze, oltre un milione di cristiani è espatriato dall’Iraq. Francesco ha incoraggiato questa Chiesa a essere coraggiosa, capace di testimoniare, invitandola a rimanere proprio sul posto per dare una testimonianza della sua presenza. Senza i cristiani il Medio Oriente non sarebbe più tale.
è stata una visita molto attesa, quella di un papa in Iraq. Addirittura da ventidue anni. Da quando Giovanni Paolo II progettò un pellegrinaggio a Ur dei Caldei, prima tappa del cammino giubilare nei luoghi della salvezza. Ma, proprio all’ultimo, il viaggio non si concretizzò per la contrarietà del presidente iracheno. D’altronde il paese già proveniva dalla sofferenza causata dalla guerra contro l’Iran (1980-1988) e per le sanzioni internazionali seguite all’invasione del Kuwait e alla prima guerra del Golfo. Poi, non dimentichiamo, ci fu la seconda spedizione militare nel 2003. Allora, il numero dei cristiani in Iraq era più di tre volte maggiore di quello attuale. Fino a arrivare al 2014 con l’affermazione dello Stato Islamico dell’Isis.
In una terra che ancora sconta un deficit di giustizia e libertà, migliaia di cristiani sono stati costretti a scappare dall’Iraq e cercare rifugio altrove. Ecco perché la visita di Francesco è stata, nei confronti di questi cristiani che hanno radici antichissime e che hanno sofferto umiliazioni e persecuzione, un abbraccio paterno avendo l’effetto di un “risarcimento” almeno morale. In attesa che il clima nel Paese cambi davvero.
Fraternità e speranza, dunque, sono state le due parole che hanno meglio sintetizzato il viaggio di Francesco in Iraq. Insieme alla forza della preghiera che muove le coscienze dei popoli. Dalla Piana di Ur, dove Abramo ha ricevuto la chiamata a lasciare la propria patria, si eleva al termine dell’incontro tra il Papa e altri leader religiosi, una Preghiera a Dio Onnipotente: “Dio Onnipotente, Creatore nostro che ami la famiglia umana e tutto ciò che le tue mani hanno compiuto, noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, insieme agli altri credenti e a tutte le persone di buona volontà, ti ringraziamo per averci donato come padre comune nella fede Abramo, figlio insigne di questa nobile e cara terra. Ti ringraziamo per il suo esempio di uomo di fede che ti ha obbedito fino in fondo, lasciando la sua famiglia, la sua tribù e la sua patria per andare verso una terra che non conosceva. Ti ringraziamo anche per l’esempio di coraggio, di resilienza e di forza d’animo, di generosità e di ospitalità che il nostro comune padre nella fede ci ha donato… Fai di ognuno di noi un testimone della tua cura amorevole per tutti, in particolare per i rifugiati e gli sfollati, le vedove e gli orfani, i poveri e gli ammalati. Apri i nostri cuori al perdono reciproco e rendici strumenti di riconciliazione, costruttori di una società più giusta e fraterna… Sostieni le nostre mani nella ricostruzione di questo Paese, e dacci la forza necessaria per aiutare quanti hanno dovuto lasciare le loro case e loro terre a rientrare in sicurezza e con dignità, e a iniziare una vita nuova, serena e prospera. Amen”.