COME A RISCHIATUTTO

Il 18 la Camera con 321 Sì, 259 No e 27 astenuti (tra i quali i deputati di Italia Viva di Renzi), e il 19 il Senato con 156 Sì, 140 No e 16 astenuti hanno votato la fiducia al governo dopo la crisi aperta con il ritiro dall’esecutivo dei ministri di Italia Viva. Per età e professione ho scritto di molte crisi di governo. E credo che questa (non ancora conclusa mentre andiamo in stampa) sia tra quelle più segnate da contraddizioni, vuoti e interrogativi, con poche razionali risposte tra le motivazioni, e per le possibili conseguenze. In sintesi estrema, è stata condizionata da alcuni fatti essenziali.

Il primo: Renzi l’ha provocata con motivazioni ispirate a problemi reali del Paese, del governo e della maggioranza della quale era parte. Ma impostata e condotta con modi deliberatamente propagandistici, così da innescare un processo politico-istituzionale dirompente per gli effetti immediati e potenziali negativi sul Paese e sul sistema politico-istituzionale. Ma le risposte di Conte e degli altri partiti della maggioranza, per me, non sono state adeguate. Una immediata sostituzione dei ministri dimissionari di Renzi, infatti, lo avrebbe inchiodato alla sostanza solo propagandistica della sua iniziativa. E avrebbe sollecitato molti parlamentari che avevano lasciato i partiti per i quali erano stati eletti (la maggior parte di quelli della maggioranza) a riflessioni fondate non solo su calcoli e impulsi soggettivi, ma soprattutto su considerazioni relative agli interessi del Paese. Scelta che inoltre avrebbe creato per il capo dello Stato un quadro della situazione più aperto ad eventuali suoi costruttivi interventi.

Le scelte di Conte, seguite più o meno passivamente dagli altri gruppi della maggioranza, sono state invece ambigue e aperte a potenziali contraddizioni. In particolare quella di prospettare la “valorizzazione” dei fuori usciti dai partiti se si fossero accorpati in Camera e Senato. Conte infatti è sembrato dimenticare (o non considerare) che i distacchi dai partiti per i quali erano stati eletti erano dovuti il più delle volte non tanto o non solo a componenti caratteriali, ma a marcate divergenze politiche e programmatiche. E pertanto, considerata la consistenza di queste loro motivazioni, spingerli ad aggregarsi per sostituire Renzi nella maggioranza di governo è diventato, inevitabilmente, un fattore di nuova, inconcludente dialettica, di decisioni azzardate e, nel migliore dei casi, di sistematico immobilismo rispetto alle grandi questioni del Paese. Offrendo inoltre un forte nuovo supporto alle opposizioni, ormai appiattite sulla richiesta di elezioni anticipate. E a proposito della spinta entusiasta del M5S a questi parlamentari per aggregarsi in un nuovo gruppo parlamentare, mi sembra giusto ricordare che il Movimento, nel programma per le elezioni del 2018, proponeva di costituzionalizzare il divieto per i parlamentari di passaggio a un gruppo diverso da quello della forza politica per il quale erano stati eletti, con una sola alternativa: le dimissioni.

L'ECO di San Gabriele
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