“Penso che dopo questa pandemia – afferma don Fabio Rosini, responsabile della pastorale vocazionale della diocesi di Roma – ci sarà un crollo delle relazioni e tanta gente si separerà”. “I ragazzi – sottolinea invece la psicoterapeuta Stefania Andreoli – hanno riscoperto il gusto della lentezza, del romanticismo, dell’anelito”
Più del movimento, della voglia di uscire e delle passeggiate ci sono mancati, forse, gli abbracci, i baci, il contatto fisico con chi è distante. I gesti che solitamente comunicano più di mille parole, in un momento d’isolamento (terminato, si spera) e di distanziamento sociale (terminerà, prima o poi) hanno dovuto stare a riposo e lasciare il posto alle parole, alla prudenza, a qualche videochiamata. Da lontano, tutto è diventato faticoso e complicato, troppo vicini, anche. Il virus ha messo in pausa gli amori a distanza, e a dura prova i conviventi in crisi e gli amanti. Ha lavorato ai fianchi delle persone sole e duellato con la pazienza degli adolescenti. Molto è cambiato senza che forse nemmeno ce ne accorgessimo. Nella coda di questo estenuante isolamento, il dibattito è stato monopolizzato su chi fossero esattamente i “congiunti” da andare a trovare nella fase due e su che cosa intendessero i burocrati di Palazzo Chigi per “affetti stabili”. Il groviglio dei sentimenti s’è ripreso la scena. È possibile fare un bilancio della quarantena che ha messo a soqquadro le nostre vite dal punto di vista dei sentimenti? Certo, non è mai facile parlare d’amore. È questione spinosa e complessa. Troppe le sfumature e le varianti.
Il nostro viaggio comincia da don Fabio Rosini, musicista, scrittore, sacerdote dal 1991, responsabile della pastorale vocazionale della diocesi di Roma e autore di seguitissimi corsi prematrimoniali e di catechesi per giovani. A metà aprile è uscito il suo ultimo libro L’arte di guarire – L’emorroissa e il sentiero della vita sana (San Paolo, pp. 336, € 16). Rosini è un prete che non le manda a dire e non ha paura del politicamente scorretto: “Penso che dopo questa pandemia ci sarà un crollo delle relazioni e tanta gente si separerà, mi arrivano tante storie in questo senso – afferma – ci sono coppie che mi hanno scritto dicendo di essere in crisi nera e altre che, invece, hanno fatto il salto di qualità. Hanno fatto verità sul loro matrimonio, sul legame che li unisce, sulle scelte che hanno compiuto”. Rosini non cede alla retorica del “dopo saremo tutti più buoni” perché nell’umano non c’è nulla di scontato: “Se dicessi che saremo tutti più buoni o più cattivi non terrei conto della libertà personale che è sempre un enigma. Una cosa è certa: rispetto ad altre occasioni, stavolta siamo stati toccati personalmente e anche profondamente ma potremmo non sfruttare o sfruttare male anche questa lezione. Chi lo sa”. Rosini è esperto di quella che nel gergo ecclesiastico si chiama “pastorale matrimoniale” e spiega: “La quarantena con tutto quello che ha comportato, dal vivere in simbiosi 24 ore su 24, magari in uno spazio angusto, al condividere molte cose, è stato un momento di verità, di prova sul campo – spiega – è emerso che noi preti talvolta abbiamo lasciato mettere in piedi matrimoni senza alcun fondamento. Questo tipo di matrimoni, secondo me, è la stragrande maggioranza: sono costruiti sull’impressione che uno ha dell’altro e che poi, alla prova dei fatti, si frantuma. Lo dico sempre ai miei corsi che il compito di un buon fidanzamento non è sposarsi a tutti costi ma arrivare alla verità sul proprio sentimento, la relazione e l’altro. L’obiettivo dei corsi prematrimoniali dovrebbe essere quello di ‘salvare’ dal matrimonio le persone che non sono pronte, altro che incoraggiarle. Nel dubbio meglio non sposarsi”.
Se la prima virtù del cristiano è il realismo, Rosini dimostra di averne in abbondanza: “Noi abbiamo mandato la gente al massacro. Ecco perché insisto sulla debolezza del sapersi, come l’emorroissa del Vangelo, malati. Abbiamo incoraggiato al matrimonio gente che andava assolutamente scoraggiata. Anch’io, lo dico sinceramente, mi ritengo colpevole in qualche caso. Il matrimonio significa amare una persona per tutta la vita, è come scalare l’Everest. Ma non possiamo mandare, come spesso abbiamo fatto e continuiamo a fare, la gente a scalare l’Everest con le scarpe di ginnastica”.
Gli adolescenti e il desiderio come valore
In Cina, dove hanno affrontato la pandemia prima di noi, al termine della quarantena c’è stata un’impennata di divorzi. “Ho l’impressione – ha scritto la psicoterapeuta Stefania Andreoli – che l’isolamento non abbia inventato nulla che non esistesse già prima. Piuttosto la pandemia sta producendo sugli equilibri e i rapporti lo stesso svelamento di quel bambino che assistette alla sfilata dell’imperatore con i suoi abiti nuovi ma non poté risparmiarsi di dire che, per come la vedeva lui, il sovrano fosse nudo”. Andreoli è alle prese con gli adulti (“anche noi quarantacinquenni ci sentiamo adolescenti, ogni volta che soffriamo per amore”, le ha confidato una paziente) e anche con gli adolescenti. “A differenza degli adulti – ha spiegato – i ragazzi con cui interloquisco non hanno mancato anche stavolta di sorprendermi, quando nel racconto pacifico e complessivamente adattato alle circostanze imposte dalla quarantena mi hanno detto che no, con le persone con le quali fanno coppia fila tutto piuttosto liscio, senza grossi problemi”. Cita l’esempio di Lucilla, 17 anni, che “certamente le spiace non poter incontrare Lorenzo, non potergli dare un bacio, tuttavia c’è una dolcezza nell’imposizione di non potersi vedere: non stiamo insieme da molto e l’obbligo di potersi sentire solo al telefono fa sì che parliamo più di quanto non avremmo forse fatto tra cinema, concerti o uscite con gli amici. Così mi pare che possiamo conoscerci meglio: più gradualmente, più in profondità”.
E quello di Francesco, 18 anni: “Mi ha confermato di non patire particolarmente il fatto di dover rispettare le misure restrittive: Secondo me non farà male al rapporto, al contrario, lo irrobustirà. Visto che siamo costretti ad affrontare una crisi, immagino che sarà più probabile che non ci stancheremo facilmente l’uno dell’altra”.
Andreoli racconta quante volte i “suoi” ragazzi si sentivano con i rispettivi partner: tre o quattro volte la settimana via FaceTime o Zoom, una delle app più gettonate per vedersi e dialogare a distanza. C’è chi come Sonia, 19 anni, ha confidato di temere l’eccesso di parole: “A volte si deve sapere tacere e non dire tutto. Oppure poi non c’è più nulla da raccontarsi e a quel punto ci si lascia”.
Una prova di maturità che (in parte) ha stupito Andreoli: “Qualcosa del loro modo di (non) stare in relazione la sapevo già – spiega – cresciuti a latte e rassicurazioni genitoriali su quanto fossero unici e strabilianti, hanno imparato a temere l’avvicinarsi di qualcuno da cui sentirsi scrutati e forse persino smascherati nella loro umana normalità. Bombardati da messaggi sessualizzati sin da giovanissimi, hanno intuito di non riuscire a competere con i corpi e le prestazioni del porno trovate su Internet senza dover fare nessuna fatica né praticare alcun rito di iniziazione”. Ma cosa ha favorito questa quarantena con l’isolamento forzato e l’impossibilità di vedersi? “Questi ragazzi – risponde la psicoterapeuta – forse messi in guardia dalle debacle sentimentali degli adulti prima di loro, hanno riscoperto il gusto della lentezza, del romanticismo, dell’anelito. Nella distanza ne hanno approfittato per conoscersi, si aspettano, si concedono di innamorarsi più, credo, di quanto non farebbero se potessero darsi appuntamento: in questo modo, la loro paura di consegnare se stessi nelle mani di un altro trova una direzione funzionale e una rinnovata dignità, e il fatto di non azzardare troppo nell’affondo per raggiungere il cuore e il corpo dell’amato non chiedeva più di essere giustificato perché, semplicemente, non poteva avvenire”.
Una bella lezione dalla generazione delle app di incontri online e che molto osservatori hanno bollato come vicina al fast-food sentimentale: “prendere” quello che si vuole, quando e come si vuole. “Mentre gli adulti avevano e hanno la preoccupazione di vivere in un mondo che girava alla velocità della luce, è arrivata la generazione degli adolescenti – osserva Andreoli – che riscopre il desiderio come un valore, l’astenersi dal consumare relazioni per non sciuparle”. Chi l’avrebbe mai detto?