IL CALVARIO DI ALEPPO

Pare senza speranza il calvario di Aleppo che, nella guerra civile siriana in corso da cinque anni,  resterà nella storia della ferocia umana come la distruzione di Coventry, le bombe al napalm su Dresda, l’assedio di Leningrado, l’atomica su Hiroshima e Nagasaki. Sono falliti uno dopo l’altro i ripetuti tentativi di tregua, l’ultimo dei quali a metà settembre stipulato direttamente fra Washington e Mosca per permettere l’apertura di un corridoio umanitario attraverso il quale soccorrere le centinaia di migliaia di civili rimasti in città e stretti nel sanguinoso conflitto fra le opposte fazioni, i governativi di Bashar el-Assad e i ribelli, a loro volta divisi fra libertari (una definizione peraltro approssimativa) e terroristi  islamici. La battaglia di Aleppo dura da quattro anni ed è ritenuta decisiva dalle due parti poiché coinvolge la seconda città della Siria, al nord, nodo centrale di comunicazione verso la Turchia. Ed è condotta senza pietà, con attacchi aerei che non risparmiano vecchi, donne e bambini, scuole e ospedali: gli abitanti rimasti, da due milioni circa che erano, sono attualmente attorno ai 250mila, senza acqua, luce, cibo e medicinali. La tregua concordata del citato corridoio umanitario era principalmente a loro favore ma la logica della guerra (da parte russa in favore di Assad, da parte Usa in appoggio ai ribelli) sembra non voler permettere la cessazione dei bombardamenti, né l’inoltro degli aiuti ai civili indifesi. Con una cifra terrificante: dal 2011 sono stati uccisi 757 fra medici e personale sanitario, e attualmente ne restano 35, veri eroi di umanità.

Aleppo è (meglio: era) una delle più affascinanti città del Medioriente, con una storia che si estende lungo cinquemila anni. Nel 1986 era stata dichiarata patrimonio dell’umanità: e a questo proposito sarebbe opportuno che le organizzazioni mondiali, come l’Unesco, chiamassero a giudizio le potenze, principalmente Russia e Stati Uniti, le cui bombe e raid aerei dilapidano quel patrimonio, con l’apertura di un processo simile a quello che si sta conducendo al responsabile delle distruzioni di tesori  culturali a Timbuctù, la capitale del Mali, attualmente giudicato da un tribunale internazionale. È augurabile che ad Aleppo vengano risparmiati edifici di grande interesse storico e architettonico, come la grande moschea degli Omayyadi (detta anche “di Zaccaria”, perché contiene reliquie del padre di Giovanni Battista), la Cittadella, le antiche chiese delle varie confessioni cristiane, il caravanserraglio. Ma è lecito sperarlo se le cose continuano così come si stanno svolgendo?

Il conflitto siriano ha fatto sinora 300mila vittime, e fra esse decine di migliaia di bambini. I profughi sono oltre cinque milioni (nessuno di loro è ospitato dalle ricche monarchie arabe), sette milioni sono gli sfollati interni. Il paese è stremato economicamente, è crollata la produzione del petrolio, che trainava la ricchezza della Siria, da 500mila barili al giorno a poche decine di migliaia. Si calcola che, per una eventuale ricostruzione (ma quando?) al momento servirebbero 200miliardi di dollari, e anni di lavoro. Ma per ora le potenze “protettrici”, Russia e Stati Uniti, si rimpallano la responsabilità della mancata attuazione della tregua, che si è conclusa. E, a vergogna dell’umanità, violenza e morte continuano a incombere su Aleppo.

L'ECO di San Gabriele
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