Dal prossimo anno scolastico addio ai giudizi descrittivi, si tornerà a quelli tradizionali che vanno da ottimo a insufficiente. La protesta di pedagogisti ed esperti
Cambia il governo e cambiano le regole. È quasi una condanna per la scuola italiana tra riforme discusse per anni, approvate in Parlamento dopo lunghe discussioni e poi smontate dopo qualche anno. Esempio emblematico l’esame di maturità con la girandola di modifiche su come devono essere composte le commissioni esaminatrici che varia (quasi) ogni anno. Stavolta la questione riguarda i voti agli alunni della scuola elementare (oggi si chiama primaria).
Il governo Meloni attraverso il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara vuole cambiare i metodi di valutazione riportando in uso, dal prossimo anno scolastico, i voti sintetici – risalenti agli anni settanta – da “ottimo” a “insufficiente” e annullando la riforma del 2020 che dopo diversi anni di dibattito e di studio da parte degli esperti aveva introdotto i giudizi descrittivi che rappresentavano quattro differenti livelli di apprendimento raggiunti: “in via di acquisizione”, “base”, “intermedio” e “avanzato”. In questo modo, gli insegnanti non avrebbero più assegnato un generico voto in una materia, ma comunicato a che punto del processo di apprendimento si trovano gli alunni e le alunne nel comprendere o scrivere un testo, fare un’operazione matematica o assimilare la storia. Un metodo di valutazione che secondo docenti e pedagogisti è in grado di garantire a studenti e studentesse un metodo di valutazione in ottica formativa e non punitiva.
Il ministro Valditara è di parere opposto e ha detto che se un bimbo delle elementari torna a casa con un “avanzato” o “in via di prima acquisizione” sulla pagella lui e la sua famiglia si trovano davanti un giudizio “astruso e incomprensibile”: “Come fa un genitore o un bambino a capire che “in via di prima acquisizione vuol dire insufficiente? È una questione di chiarezza”. La sottosegretaria Paola Frassinetti, che per prima ha sostenuto l’opportunità di tornare ai voti numerici, ha spiegato di aver “riscontrato molte difficoltà da parte dei genitori, soprattutto stranieri, a comprendere gli attuali giudizi alle scuole primarie introdotti dall’ordinanza Azzolina”.
Se la “riforma” andrà in porto, si tratterà del quarto cambiamento a partire dal 2008: fino a quell’anno si usarono i giudizi, poi si passò ai voti, nel 2020 vennero introdotti i giudizi descrittivi e ora si passerà ai giudizi sintetici.
Alla riforma del 2020 si è arrivati dopo un lungo e complesso lavoro di pedagogisti, docenti ed esperti che hanno definito gli obiettivi di apprendimento, gli strumenti di verifica e organizzato percorsi formativi per mettere gli insegnanti nelle condizioni di poter comprendere e applicare al meglio il nuovo metodo.
Il cambiamento annunciato da Valditara non è stato accolto bene dal mondo della scuola e ha raccolto invece molte critiche da insegnanti, esperti, associazioni di categoria e dei genitori, che ne contestano l’efficacia formativa, l’assenza di una discussione pubblica sul tema e le tempistiche con cui si smantellerà una riforma appena avviata, senza aver dato il tempo di attuarla a pieno regime e averne verificato i risultati.
La protesta di pedagogisti ed esperti
In una lettera aperta al ministero dell’Istruzione intitolata Tornare ai voti? No grazie, l’Associazione nazionale dirigenti scolastici, l’Associazione italiana maestri cattolici, la Cgil scuola e altre 9 organizzazioni di categoria hanno descritto la scelta del governo come “contraddittoria, priva di una visione pedagogica coerente e duratura” e “immotivata dal punto di vista pedagogico”, che va a “interrompere un processo di rinnovamento della cultura e delle pratiche valutative” senza nemmeno avere “una documentazione sui processi in atto, una verifica sulle esperienze condotte nelle scuole o un’interlocuzione con il mondo della scuola e della ricerca”. Per chi ha firmato la lettera, inoltre, “una valutazione con i voti, infatti, non dice quali sono gli apprendimenti realizzati, i punti di forza e di debolezza, le tappe del percorso, ma si limita a fotografare la situazione in un dato momento senza cogliere le fasi del processo di insegnamento-apprendimento per intervenire sulla sua regolazione”.
Lo stesso appello per rivedere questa decisione è stato lanciato da numerosi pedagogisti e personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo che hanno lanciato una petizione sul sito Change.org: “Un nuovo cambiamento in tempi così rapidi non consente un serio confronto con il mondo della scuola”, scrivono il pedagogista Daniele Novara e il maestro Alex Corlazzoli nella petizione sostenuta da educatori e ricercatori tra cui Elisabetta Nigris, Alberto Pellai, Silvia Vegetti Finzi, Milena Santerini, Raffaele Mantegazza tra gli altri e numerosi esponenti del mondo della cultura come Luca Zingaretti, Stefano Accorsi, Carlotta Natoli, Moni Ovadia e Pierfrancesco Favino. “Valutare – scrivono Novara e Corlazzoli – significa dare valore, la valutazione ha la finalità più ampia di dare valore al percorso di apprendimento di ogni singolo alunno che deve tener conto del contesto da cui proviene, dello stato di partenza, delle difficoltà incontrate come la mancata continuità didattica, ad esempio, dovuta al precariato. Valutare non è certificare, attestare, rendicontare ma ‘descrivere’ il cammino umano e pedagogico di uno studente”.
Per Novara e Corlazzoli: “Etimologicamente c’è differenza tra ‘in via d’acquisizione’ e ‘insufficiente’. Fare chiarezza non significa né semplificare con dei giudizi da pagelle anni trenta né applicare la logica della punizione. Pretendere che ‘gravemente insufficiente’ rappresenti un elemento di chiarezza significa confermare l’intenzione di procedere al ritorno di un apparato mortificatorio nei confronti dei bambini, che sviluppano il loro percorso di apprendimento con errori e sbagli”.
Dello stesso avviso anche Cristiano Corsini, docente di Pedagogia sperimentale all’università di Roma 3, secondo cui la valutazione sintetica inibisce il processo di apprendimento, basandosi esclusivamente su fallimento e successo, mentre quella descrittiva utilizza gli errori come strumento di apprendimento. Corsini, sottolinea che evitare di dare un “brutto voto” non dovrebbe essere visto come un atto diseducativo, ma piuttosto come un’opportunità per promuovere una cultura dell’apprendimento diversa. Tale approccio richiede un cambio di paradigma che allontani la valutazione dall’essere un “capriccio degli adulti” e la trasformi in uno strumento effettivo per lo sviluppo educativo e personale degli studenti.
Le critiche degli esperti al governo riguardano anche le tempistiche del cambiamento dopo appena quattro anni dall’introduzione della riforma: “La scuola primaria ha perseguito l’obiettivo di una valutazione descrittiva per molto tempo, basandosi su solide prove della ricerca pedagogica e didattica”, ha spiegato su Orizzonte Scuola Maria Mellone, docente di didattica della Matematica dell’università Federico II di Napoli e presidente della Commissione italiana per l’insegnamento della Matematica dell’Unione matematica italiana (Umi-Ciim), “queste evidenze giustificano pienamente questa scelta. Tuttavia, mettere in discussione questo senso con il ritorno ai giudizi sintetici, senza dare il tempo di verificare realmente l’efficacia e di considerare l’adattamento che ogni processo di rinnovamento comporta, è discutibile. Se, come spesso accade in Italia, dopo poco tempo si annulla tutto dall’alto, vanificando gli enormi sforzi compiuti, sarà sempre più difficile per la scuola assumersi la responsabilità di nuove riforme importanti”.