Alle vulnerabilità economiche e sociali strutturali, di lungo periodo, si aggiungono adesso gli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia perdurante, la guerra cruenta alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica
Insicuro, malinconico, spaventato dagli eventi globali che da un momento all’altro possono compromettere presente e futuro; sempre meno disposto a seguire le sirene degli influencer e del lusso, anzi, indignato dallo sfoggio di denaro e dalle diseguaglianze economiche ostentate nella vita e sui social. Appare così l’italiano medio “radiografato” dall’ultimo rapporto del Censis. I due terzi dei nostri connazionali (il 66,5 per cento, 10 punti percentuali in più rispetto al 2019 pre-Covid) si sentono insicuri. I principali rischi globali percepiti sono: la guerra (46,2 per cento), la crisi economica (45) e poi le nuove minacce biologiche alla salute, l’instabilità dei mercati internazionali, gli eventi atmosferici catastrofici, gli attacchi informatici su vasta scala. Tutto questo, porta a una tristezza di fondo (percepita dall’89,7 per cento) e a una forte sensazione di di restare passivo, senza prendere iniziative, blindandosi nel privato (54,1). A tutto ciò fa da sfondo il primato europeo dei Neet (cioè la popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione), le aule scolastiche sempre più vuote a causa della contrazione demografica e la sanità che dovrà affrontare una carenza di personale.
Un report a tinte fosche, oseremmo dire, nel quale si ritrovano in drammatica sequenza eventi di portata mondiale: Covid, guerra in Ucraina, inflazione in crescita e crisi energetica. Quattro elementi che si sommano alle vulnerabilità preesistenti e che determinano “una rinnovata domanda di prospettive certe di benessere”, ma anche “istanze di equità non più liquidabili come aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico”. D’altronde gli italiani sono convinti che la corsa dei prezzi durerà a lungo (92 per cento), che le entrate familiari nel prossimo anno non aumenteranno (il 76,4,) e che il proprio tenore di vita peggiorerà (70). Diventano “socialmente insopportabili” diversi fenomeni che contraddistinguono questa società: l’eccessiva differenza esistente tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei manager (l’87,8 per cento), i bonus milionari di buonuscita per top manager, pagati per andarsene piuttosto che per lavorare (86,6), le tasse troppo ridotte pagate dai giganti del web (84,1), i facili – e ritenuti immeritati – guadagni degli influencer, personaggi senza un comprovato talento e competenze certe (86,6), le remunerazioni milionarie di azionisti e alti dirigenti (80,8), l’incremento boom dei patrimoni dei super-ricchi (79,7), gli eccessi e gli sprechi per le feste delle celebrità (78,8), l’uso di jet privati da parte di ricchi paperoni (73,5), lo sfrecciare di auto potenti e Suv dai consumi incontrollati (71); la presenza di piscine e giardini da innaffiare nelle grandi ville private (70,5), l’esibizione sui social network di vacanze e viaggi di gran lusso (70,5), l’ostentazione di spese stratosferiche per ristoranti, hotel, locali notturni (69,3).
A fronte di queste condivisibili insofferenze, si evidenzia una tendenza all’isolamento: salvo “improvvise fiammate” – spiega il Rapporto – non si registrano più “intense manifestazioni collettive come scioperi e cortei”, e a comprovarlo c’è anche il dato record dell’astensione elettorale. C’è piuttosto un ripiegamento in sé: “Una filosofia molto semplice – annota il Rapporto – lasciatemi vivere in pace nei miei attuali confini soggettivi”. Una tentazione alla “passività” che si riscontra nel 54,1% degli italiani. Ma, nel complesso, 4 su 5 “non hanno voglia di fare sacrifici per cambiare”: l’83,2 per cento non vuole più sacrificarsi per seguire gli influencer (ancora loro), l’81,5 per vestire alla moda, il 70,5 per acquistare prodotti di prestigio, e il 60 non ha più la smania di sentirsi più giovane o attraente. Si frena anche al lavoro: al 36,4% non interessa più sacrificarsi per far carriera o guadagnare di più. Questa specie di lassismo si può spiegare anche con quelle che vengono definite “nuove paure”: l’84,5% degli italiani – in particolare i giovani e i laureati – ritiene che anche eventi geograficamente lontani possano cambiare le loro vite; il 61% teme che possa scoppiare la Terza guerra mondiale, il 59% la bomba atomica, il 58% che il nostro Paese entri in guerra. A queste si aggiungono le solite paure: oltre metà degli italiani, inoltre, teme di rimanere vittima di reati sebbene nell’ultimo decennio le denunce siano in calo (-25,4 per cento), i numeri degli omicidi volontari e delle rapine siano diminuiti (rispettivamente del 42,4 e del 48,2 per cento) così come quelli dei furti nelle abitazioni (-47,5%). Di contro sono aumentati le violenze sessuali (+12,5%) le estorsioni (+55,2%) e i delitti informatici (78%).
Detto questo, non poteva mancare una foto sulla popolazione. Così ci viene confermato che l’Italia ha una spiccata tendenza all’impoverimento (vi sono quasi sei milioni di individui in povertà assoluta) e all’invecchiamento: gli over 65 sono il 23,8% (+60% rispetto a trent’anni fa), e si calcola che tra vent’anni la percentuale salirà al 33,7. Il trend si riflette sulla scuola, ma anche sulla sanità. Si calcola che tra 20 anni tra i banchi potrebbero sedere 1,7 milioni di giovani in meno, con uno “tsunami demografico” che investirà in primo luogo la primaria e la secondaria di primo grado: già nel 2032 la fascia di età compresa fra i 6 e i 13 potrebbe “dimagrire” di 900 mila individui. Ma questi aspetti preoccupano poco. Ciò che frulla nella mente sono i mezzi di sussistenza: la quasi totalità dei nostri connazionali (il 92,7%) è convinta che l’accelerata dell’inflazione durerà a lungo e che bisogna pensare subito a come difendersi. Il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari, il 69,3% teme che nei prossimi mesi il proprio tenore di vita si abbasserà (la percentuale sale al 79,3 tra le persone che hanno già redditi bassi), il 64,4% sta mettendo mano ai risparmi per fronteggiare l’inflazione. La moneta che perde valore rompe l’argine tra i “garantiti” e i “non garantiti” del mondo del lavoro, colpendo anche i percettori di redditi fissi, lavoratori dipendenti e pensionati, non solo i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori.
Brrrrrrrrr. Davvero stiamo messi così male? A parere degli studiosi del Censis – che hanno analizzato una montagna di aspetti – sembra di sì, anche se girando e guardandoci intorno la situazione potrebbe sembrare meno catastrofica. Parafrasando Osvaldo Soriano verrebbe da definire l’italiano “triste, solitario e pessimista”, ma prima di alzare bandiera bianca, possono venirci in soccorso i versi del poeta libanese, Khalil Gibran: “Nulla impedirà al sole di sorgere ancora/nemmeno la notte più buia/Poiché oltre la nera cortina della notte/c’è sempre un’alba che ci aspetta”. Sperando – come dice Woody Allen – che quella che si vede in fondo al tunnel non sia la luce di un treno.