IL CACIO FIORE AQUILANO BENEFICIA DEI FIORI DI CARLINA PER LA CAGLIATURA E DELLO ZAFFERANO PER IL TOCCO INCONFONDIBILE DI COLORE E SAPORE. FINITO NELL’OBLIO PER DIVERSI DECENNI, OGGI VIENE RIPROPOSTO CON SUCCESSO A CASTEL DEL MONTE, ALLE FALDE DEL GRAN SASSO
Una specialità che nasce dall’incontro del mondo animale con quello ve-getale, anche se quest’ultimo risulta il più generoso perché offre la ricchezza dei pascoli montani, che poi si declina in un latte di pecora di prima qualità grazie all’importante apporto della lavorazione dei fiori di piante d’altura. Il cacio fiore aquilano beneficia, infatti, dei fiori di carlina (infusione) per la cagliatura e di quelli dello zafferano (polvere) per il tocco inconfondibile di colore e sapore, ma viene prodotto anche senza l’aggiunta di questa spezia. È un formaggio fresco, particolarmente delicato, tradizionalmente collegato alla provincia aquilana, dalle antiche origini legate ai pascoli in quota. Finito nell’oblio per diversi decenni, oggi viene riproposto con successo a Castel del Monte, alle falde del Gran Sasso, dove peraltro vengono realizzati altri pecorini di alta qualità come il canestrato e il marcetto.
Il cacio fiore aquilano è un prodotto tipico riconosciuto dal ministero delle Politiche agricole e alimentari e fatto salire da Slow Food sull’Arca del Gusto come un sapere/sapore da non perdere per la comunità che lo ha preservato nel tempo, ma anche come bene comune. Di colore giallognolo quello con lo zafferano, bianco crema quello senza. Dal sapore molto delicato è ottimo da consumare fresco o semifresco, può essere usato come condimento della pasta, tagliato a pezzetti e unito al burro, oppure per gratinare la verdura (zucchine e carote in particolare). L’utilizzo del caglio vegetale, usando il “carciofo selvatico” ovvero la Carlina acaulis, rende questo formaggio adatto per la dieta vegetariana. È un prodotto caseario la cui pasta è morbida, cremosa, senza occhiatura. La forma ha facce di circa 13-15 cm di diametro, uno spessore di 7-8 cm e un peso di 0,5-1 kg. Viene realizzato con latte ovino crudo, filtrato e scaldato a una temperatura di 36°-37° (per migliorare l’acidificazione si può aggiungere siero o latte innesto) a cui si unisce il caglio. Dopo aver agitato la massa per qualche minuto, si lascia riposare per altri 30-40 minuti per l’ottenimento della coagulazione. Si procede, poi, alla duplice rottura della cagliata: la prima volta effettuata in modo grossolano, la seconda, poco dopo in maniera più fine con frammenti della grandezza di un chicco di mais. Estratta manualmente, la massa viene versata in piccoli canestrini detti fiscelle la cui forma determina la scolpitura della crosta. Segue la sgrondatura per la scolatura del siero, mentre nei due giorni seguenti si effettuano quattro rivoltamenti.
In erboristeria della Carlina si utilizzano le radici, raccolte tra ottobre e novembre, essiccate al sole e conservate in barattoli di vetro o porcellana. Gli si riconoscono proprietà diuretiche, sudorifere, cicatrizzanti e detersive. Per uso esterno è consigliata in caso di dermatosi.
La pianta, secondo una leggenda, deve il nome all’imperatore Carlo Magno. A seguito di un sogno gli fu indicata, da un angelo, quale rimedio contro la peste: “Scaccerà ogni velenoso contagio e ti restituirà salvo l’esercito”.
Castel del Monte (Aq), conosciuto anche come la “capitale dei pastori”, è tra i Borghi più belli d’Italia. È caratterizzato da una torre a forma di stella, se visto dall’alto, grazie al suo impianto urbanistico che segue le curve di livello del terreno e sfrutta le cinque alture che lo circondano. La cucina paesana si basa su ingredienti semplici ma gustosi, che includono una grande varietà di paste “ammassate” a base di farina e acqua: strangolapreti, surge sfunnete, laganelle, ciafrichiglie, taccuzzelle. La pasta viene unita a ortaggi, patate e legumi. In primavera si usa aggiungere i volacri, una pianta selvatica con la quale si realizza un’originale ricetta: surge i foglia. Altro piatto locale è la pecora alla “chiarinese”. Tra i dolci tipici: crespeglie, calciuniglie, mustaccioglie e néule.
L’esaltazione massima del palato avviene quando l’assunzione di cibo sopraffino avviene in un contesto architettonico e paesaggistico straordinario.
In ogni angolo d’Abruzzo è un’esperienza possibile.