Nel numero 57 di questa rubrica (ottobre 2022) concludevo: “Per colui che crede, vedere uno spettacolo così multicolore (come la regione di formazione stellare, la culla delle stelle) non è da meno che ammirare un tramonto sulla Terra. Tutto ci dice che c’è una Bellezza che ci precede. E che ci aspetta”.
In quasi 2 anni di osservazioni, il telescopio James Webb non ha tradito le aspettative, anzi ha prodotto risultati scientifici a profusione, e straordinariamente… belli. Basta scorrere la lista delle scoperte di questi ultimi mesi per valutare la “scorpacciata di novità”: 22 settembre: scoperta una fonte di carbonio sul satellite gioviano Europa; 12 settembre confermato il tasso di espansione dell’universo misurato da Hubble; 10 settembre: scoperto metano e anidride carbonica (e forse dimetilsolfuro, prodotto sulla terra solo da organismi viventi) nell’atmosfera di un esopianeta; 22 agosto: l’osservazione dettagliata della nebulosa ad anello M57 rivela cerchi concentrici che suggeriscono una coppia binaria di stelle al centro.
Webb si è spinto “indietro nel tempo” mostrandoci immagini di galassie e stelle del primitivo universo: 12 agosto, inquadra con maggiore dettaglio rispetto al fratello Hubble, la stella Earendel la cui luce ci giunge da 12,8 miliardi di anni fa (l’universo aveva appena 1 miliardo di anni). E anche la fine delle stelle non è velata agli occhi di Webb, dopo aver visto in dettaglio la stella WR124 ci fa comprendere come si prepara il “gran botto” di luce delle future supernove di questa classe di stelle.
E allora ci dobbiamo domandare: quale è il fascino delle immagini di Webb, e perché dunque abbiamo bisogno dei telescopi spaziali?
È il fascino del nuovo, dell’imprevisto e dell’imprevedibile, dello strutturato e del caos, della luce e del buio, della forza di gravità che tutto costruisce e che tutto vuol tenere legato a sé, ma che deve fare i conti con un universo in continua espansione. È il confine mobile che non si vede, ma anche l’oltre che si intuisce. È la potenza della luce che illumina la materia, ma è anche quel bel po’ in più di parte oscura che rimane ancora velata. È il mistero che si lascia scoprire per farci scoprire quanto non sappiamo della sua profondità. È la vita che con i suoi elementi chimici di base viene preparata nel cuore delle stelle e disseminata per il cosmo alla loro morte, e che noi cerchiamo di replicare su questa terra o trovare replicata in qualche mondo lontano. È il fascino di essere soli e unici, ma anche il desiderio di trovare un giorno qualcuno che ci sia pari a cui comunicare la nostra intelligenza. È il mistero del tutto, che sondiamo senza mai esaurire. È la domanda che ci portiamo appresso da quando nasciamo fino al nostro quietarci come particelle che si disperdono in quel meraviglioso universo da cui provengono: tutto questo dove va? Io, che senso ho?
Ecco, la bellezza di queste foto ci fa sperare che ci sia un senso oltre l’orizzonte del cosmo e del tempo in cui verremo accolti. Per sempre.
marco.staffolani.stf@gmail.com