UN POPOLO DI PESSIMISTI?
IL PEW RESEARCH, UNO DEI PIÙ PRESTIGIOSI E INDIPENDENTI ISTITUTI AMERICANI DI RICERCA, PONE GLI ITALIANI AL FONDO DELLA GRADUATORIA DI UNO STUDIO CHE SONDA L’IDEA DI FUTURO CHE HANNO GLI ABITANTI, LE OPPORTUNITÀ, LE POSSIBILITÀ DI MIGLIORAMENTO, OLTRE AI PROBLEMI, SOPRATTUTTO ECONOMICI, CHE FANNO DA FRENO ALLO SVILUPPO
Pizza, sole e mandolino: l’Italia del boom che attraversò gli anni sessanta. Uno stereotipo che, in seguito, abbiamo sopportato con malcelato fastidio perché lo si riteneva una macchietta, troppo riduttivo e, a volte, irridente nei confronti di un paese che aveva voglia di fare, che aveva fiducia, che era ottimista. Una volta le lavanderie, le autoscuole, i bar e tante altre attività accompagnavano il proprio nome con “duemila” scritto anche a numeri. Segno di speranza e di sguardo rivolto al futuro. Adesso impera la passione per il passato, fenomeno generato non dalla nostalgia degli anni che passano, ma dall’atmosfera di incertezza e precarietà che si respira.
Cosa ci è successo per trasformare in pessimista un popolo di inguaribili ottimisti? Ora c’è un pessimismo diffuso che va oltre le motivazioni legate alla crisi generale. Siamo diventati dei pessimisti incalliti; lo verifichiamo ogni giorno parlando con gli amici, facendo le chiacchiere nelle lunghe file agli sportelli degli uffici pubblici, al bar. Questo nostro stato d’animo traspare talmente tanto che se n’è accorto anche uno dei più prestigiosi e indipendenti istituti americani di ricerca, il Pew Research. Ci ha posto al fondo della graduatoria di uno studio-sondaggio che confronta le tendenze e le opinioni in decine di paesi diversi, appartenenti sia all’Occidente più ricco che ai paesi emergenti o in via di sviluppo. La ricerca sonda l’idea di futuro che hanno gli abitanti, le opportunità, le possibilità di miglioramento, oltre ai problemi, soprattutto economici, che fanno da freno allo sviluppo.
Allo stato attuale – certifica Pew Research – solo il 15 per cento degli italiani ritiene che i suoi figli si troveranno in una posizione economica migliore. Solo i cugini francesi riescono a fare peggio, con il 13%. Per il resto, i greci (25%) – forse convinti che abbiano toccato il fondo e si possa solo risalire – polacchi (28%), statunitensi e spagnoli stanno meglio (30%), i tedeschi ancora di più, anche se con il loro 38% sono lontanissimi dai cileni (77%), dai cinesi (84% e, addirittura, dai vietnamiti (94). Questo dato riflette la grande differenza tra le aree in via di sviluppo o emergenti e quelle che hanno maggiore benessere. Guardano con maggiore fiducia al futuro l’Asia (68%) – eccezion fatta per il Giappone (14%) – l’Africa (51%), il Sud America (50%), mentre sono più pessimisti nel Medioriente (35%) negli Stati Uniti (30%) e in Europa (25%), al di sotto della cui media si piazza, appunto, l’Italia.
In effetti, una chiave di lettura c’è e non è neppure troppo difficile da immaginare: ovvero il tasso di crescita dell’economia come vero e proprio spartiacque tra il mondo ottimista e quello pessimista. Naturalmente è un dato in diretta relazione con il reddito procapite assoluto, anzi: forse se una correlazione c’è è negativa, perché quello che viene percepito in chi pensa al proprio futuro o a quello dei figli non è la situazione attuale, presa staticamente, ma come sta evolvendo.
Dallo studio emerge, inoltre, che, tra gli occidentali, gli italiani sono quelli più scettici sulle politiche di redistribuzione del reddito come mezzo per eliminare le disuguaglianze. Infatti, al quesito su cosa contribuirebbe maggiormente a ridurre il divario ricchi/poveri, solo il 12% ritiene che siano le tasse più alte, mentre il 68% ritiene che lo farebbe una tassazione più bassa. Una differenza enorme rispetto a paesi in cui le tasse sulle ricchezze sono favorite: 61% per i tedeschi, 54% per gli spagnoli, 53% per i coreani del sud, 50% per i britannici e 49% per gli statunitensi.
C’è, poi, la sfiducia sui risultati che potrebbero derivare dal lavorare sodo: il 35 per cento degli italiani ritiene che sia molto importante, contro il 49% dei tedeschi, il 60% dei britannici e il 70% degli statunitensi. Lo scoramento deriva, forse, dalla consapevolezza che il successo nella vita sia determinato da fattori che sfuggono al nostro controllo. Insomma, la maggioranza (66%) è convinta che le amicizie giuste e le raccomandazioni contino più del saper fare. Ora, se può esserci del vero nel proverbio russo che dice “il pessimista è uno che si è informato”, per affrontare quest’anno sarebbe meglio pensare a Gustave Flaubert il quale sosteneva: “Ottimista è chi dice: domani è domenica; pessimista è chi dice: dopodomani è lunedì”, e credere che oggi sia sabato.