UN PAESE CARATTERIZZATO DALLA PRECARIETÀ

La fotografia aggiornata del Centro Astalli, la sede italiana del servizio dei gesuiti, evidenzia i problemi di accesso alla protezione per chi chiede aiuto e la difficoltà di raggiungere un sistema di accoglienza unico nel territorio italiano

Nonostante il trend mondiale dei richiedenti asilo e rifugiati sia diminuito nel mondo e anche nel nostro paese (in Italia nel 2017 sono stati 119.369 rispetto ai 181.436 dell’anno precedente), il numero di persone che si rivolge al centri Astalli sul nostro territorio è rimasto pressoché invariato. È quanto emerge dal Rapporto annuale del Centro Astalli 2018, che nel 2017 nelle diverse sedi (Catania, Palermo, Grumo Nevano-Napoli, Vicenza, Padova e Trento) ha risposto ai bisogni di circa 30mila persone, 14mila delle quali a Roma. “Anche quest’anno abbiamo avuto un’attenzione particolare per le persone più vulnerabili: donne sole, vittime di tortura e di violenza intenzionale, nuclei familiari con particolare riguardo a quelli monoparentali, persone con problemi di salute e problemi psichici o che si trovano a vivere per strada”, scrive padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, nella presentazione del rapporto.

Le strutture di accoglienza del Centro Astalli hanno ospitato circa 900 persone, di cui un terzo solo a Roma. I progetti sono stati 13, con un’attenzione particolare per le vulnerabilità: donne sole, vittime di tortura e di violenza intenzionale, nuclei familiari con particolare riguardo a quelli monoparentali, persone con problemi di salute e problemi psichici o che si trovano a vivere per strada.

Le realtà della rete territoriale del Centro Astalli lavorano prevalentemente nell’ambito dello Sprar, dove nel 2017 hanno accolto 494 persone, di cui 255 a Roma. Si è registrata però una carenza nei servizi di bassa soglia: molte persone – e il loro numero è crescente – rimangono fuori dal servizio di accoglienza e vivono per strada. Questo accade soprattutto nella capitale dove confluiscono molti richiedenti asilo che hanno abbandonato i Cas (Centri di accoglienza straordinaria) delle diverse regioni italiane dove erano stati inizialmente accolti e che per questo, avendo ricevuto la revoca delle misure di accoglienza, restano tagliati fuori da ogni forma di accompagnamento e di supporto, materiale e legale. In questo modo, anche le procedure di richieste di asilo rimangono sospese e la situazione si è aggravata – sempre nella capitale – da quando è entrata in vigore la delibera comunale che revoca agli enti di tutela – come il Centro Astalli – abilitati la possibilità di rilasciare il proprio indirizzo a richiedenti asilo e rifugiati per l’iscrizione anagrafica.

Anche dal punto di vista della salute, le cose non vanno meglio. “La situazione di marginalità e di povertà favorisce l’insorgere di patologie e l’aumento della precarietà di vita di molti richiedenti e titolari di protezione internazionale – spiega padre Camillo Ripamonti – ha ripercussioni importanti sulla loro salute. Di tutto questo siamo testimoni nell’ambulatorio di via degli Astalli, dove molti medici e farmacisti volontari prestano con dedizione e competenza il loro servizio a chi, il più delle volte vive per strada (quasi 2.700 visite nel 2017). Un dato interessante è che in questo servizio la nazionalità maggiormente rappresentata è quella afgana. Un altro dato preoccupante nel corso del 2017 è stato l’aumento del numero di persone traumatizzate dal viaggio e soprattutto dalla detenzione nei centri in Libia”.

“Nel corso del 2017 abbiamo lavorato intensamente per abbattere muri e costruire ponti – prosegue padre Ripamonti – soprattutto dal punto di vista della sensibilizzazione, per uscire dalla dicotomia noi – loro e essere sempre più comunità solidale”. Sui territori l’impegno dei Gesuiti in favore dei migranti sono si esplica solo attraverso l’accoglienza ma anche con progetti nelle scuole e con l’impegno dei volontari. “I progetti nelle scuole hanno avuto un ulteriore incremento: 200 istituti, 28.000 studenti, in tutta Italia che hanno partecipato al progetto Finestre- Storie di rifugiati e Incontri sul dialogo interreligioso” spiega ancora il gesuita. Tutto grazie ai numerosi volontari: “Nelle varie sedi territoriali sono state 687 le persone che hanno condiviso con noi i nostri ideali con coraggio e anche non curanti di molti attacchi che nel corso del 2017 sono stati scagliati contro le organizzazioni umanitarie. Occuparsi con umanità dei migranti in alcuni momenti è stato considerato un atteggiamento di cui vergognarsi, aiutare è diventato sinonimo di malaffare e in alcuni frangenti ad alcune persone è stato imputato come reato. Non dobbiamo vergognarci di quanto abbiamo fatto e di quanto facciamo ogni giorno per i nostri fratelli e sorelle migranti. Occorre continuare a farlo sempre meglio e andando avanti con un coraggio sempre maggiore. Non siamo poveracci che aiutano dei poveri, siamo uomini e donne che con senso di responsabilità civile non vogliono smarrire il proprio senso di umanità, perché credono nella dignità della persona e si impegnano a restituirla a coloro ai quali è stata tolta, con solidarietà, secondo il sentire della nostra Costituzione”.

 

L'ECO di San Gabriele
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