Un cantico per Leibowitz

Nel mondo che verrà le IA ci guideranno alla scoperta del futuro, ma prima ci illustreranno il passato, che magari pensiamo già di conoscere, e di cui esse magari avranno un’interpretazione più profonda, visto che “in teoria” sono avvantaggiate per potenza di lettura e memorizzazione.

Non è fantascienza quello che segue. Sto tenendo da alcuni mesi per l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Giuseppe Toniolo, di Pescara, un corso dall’esotico nome Teologia tra scienza e fantascienza. L’intento è di trovare Semi del Verbo, secondo gli insegnamenti di Giustino Martire (e filosofo), anche in discipline che sembrano lontane dallo studio su Dio, e dunque attuare un dialogo con le forme di cultura che si presenteranno in ogni tempo. Ai miei studenti per l’esame chiedo di commentare (alla luce della teologia) un’opera cinematografica o letteraria di fantascienza. Al tempo in cui uscirà questo articolo, avranno fatto l’esame finale, speriamo tutti con esito positivo.

Le lezioni si tengono il pomeriggio, e per tornare nella capitale, dove sono di comunità, il bus impiega 2 ore abbondanti. Non è mia pratica dormire o riposare. Riesco a fare qualche preghiera, ma la maggior parte di quel tempo la passo nel rifinire le lezioni. E siccome siamo nel tempo delle IA, era praticamente impossibile che non chiedessi che cosa ne pensassero ChatGPT o Gemini di queste lezioni. Una domanda tira l’altra e alla fine, in una delle tante risposte, compare uno scritto di fantascienza che fin lì m’era sfuggito: Un cantico per Leibowitz.

Wiki dice “scritto da Walter M. Miller e pubblicato nel 1959, contiene riferimenti alla scienza, alla filosofia e alla religione. Si basa su tre racconti brevi ed è l’unico romanzo pubblicato da Miller nel corso della sua vita. È considerato un classico della fantascienza e ha vinto nel 1961 il Premio Hugo per il miglior romanzo”.

Ho finito da poco la lettura del primo dei tre racconti. Non posso che constatarne l’attualità. Quello che segue è fantascienza. Esiste ancora la Chiesa Cattolica nel mondo post-apocalittico del XXVI secolo in cui il “Diluvio di Fiamma”, un conflitto atomico, ha fatto ripiombare l’umanità in una sorta di nuovo Medioevo. L’ordine dei monaci del beato Leibowitz professa una regola tanto semplice quanto necessaria: preservare la storia umana per i pro-pro-pronipoti dei figli dei semplicioni che la volevano distruggere. I semplicioni pensavano che la causa del disastro mondiale era da attribuire alla stessa tecnologia, in particolare ai dotti dell’epoca che inventarono “grandi macchine belliche, quali non erano mai state viste sulla Terra, armi tanto potenti che avrebbero potuto contenere lo stesso fuoco dell’Inferno”. Il protagonista è, a sua insaputa, frate Francis dello Utah, un uomo santo (forse troppo) da cui dipende la santificazione del suo “fondatore”.

Quello che segue non è fantascienza. Imparerà mai l’umanità a fidarsi di sé stessa? Nel “mondo che già è” ci sono notizie di un riarmo generale, e si prospettano “sacrifici continentali” per contenere le spese. Che dire? Non sarebbe meglio fare sacrifici per l’altro? Intanto: mai scoraggiarsi nel fare il bene e nel proporre la pace, specie nel Giubileo della Speranza. Sia tu un grande potente della Terra, o un semplice frate d’uno sperduto convento nel deserto.

L'ECO di San Gabriele
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