UN APPRODO NATURALE…

By redazione Eco
Pubblicato il 3 Novembre 2019

Per una Chiesa che vuole essere in dialogo con il mondo intero, l’Asia, anche la lontanissima Asia, rappresenta un approdo naturale. Un approdo ovviamente che risente dei tempi della diplomazia e di un lavoro secolare di inculturazione della fede che i missionari cattolici hanno spesso svolto in silenzio e all’ombra di persecuzioni.

La lontanissima Asia oggi ha il volto del Giappone e della Thailandia, che Francesco visiterà entrambi in questo mese di novembre. Dal 20 al 23 novembre, infatti, sarà in Thailandia e dal 23 al 26 novembre in Giappone. Si tratta del 32mo viaggio internazionale del Pontefice, che avrà anche momenti forti di impatto mediatico: il papa in Giappone visiterà la capitale Tokyo e le città di Hiroshima e Nagasaki, entrambe devastate dalle bombe atomiche durante il secondo conflitto mondiale e non mancherà un incontro con l’imperatore Naruhito e il premier Shinzo Abe.

Papa Francesco atterrerà in Sol Levante dopo aver indetto per ottobre scorso un Mese missionario straordinario, “al fine di risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale”. Una Chiesa in uscita, missionaria, – ha detto Francesco presentando il Mese missionario – “è una Chiesa che non perde tempo a piangere le cose che non vanno, i fedeli che non ha più, i valori di un tempo che non ci sono più”. Dunque “una Chiesa che non cerca oasi protette per stare tranquilla; desidera solo essere sale della terra e lievito per il mondo. Sa che questa è la sua forza, la stessa di Gesù: non la rilevanza sociale o istituzionale, ma l’amore umile e gratuito”.

Un’ansia missionaria che lo porta, dunque, oggi in Giappone. Già papa San Giovanni Paolo II arrivò nell’arcipelago nipponico nel 1981, visitando Pakistan, Filippine, Guam e Alaska. E sempre Wojtyla si recò nel 1984 in Thailandia, Corea, Papua Nuova Guinea e Isole Salomone.

Una sana “inquietudine evangelizzatrice” che Bergoglio continua. Qui siamo di fronte a un innamoramento verso questa terra così lontana dalle nostre usanze occidentali, che risale alla storia dei gesuiti e anche a quella sua personale, quando, da giovane, desiderava andare missionario proprio in Giappone. Una terra, il Giappone, che da sempre ha suscitato nei gesuiti un fascino particolare fin da quando, nel 1549, Francesco Saverio ci mise piede. Anche gli ultimi prepositi generali, Pedro Arrupe e Adolfo Nicolás, hanno vissuto molti anni in Giappone. In una delle prime omelie di Santa Marta all’inizio del suo Pontificato, papa Francesco ricordò le persecuzioni in Giappone nel 17esimo secolo, quando i missionari cattolici furono cacciati e le comunità cristiane restarono per 200 anni senza preti. “Al loro ritorno i missionari trovarono tutte le comunità a posto, tutti battezzati, tutti catechizzati, tutti sposati in chiesa. Grazie all’opera dei battezzati”.

Prima del Giappone, però, Francesco visiterà la Thailandia. Il motto del viaggio in Thailandia è Discepoli di Cristo, discepoli missionari, con un richiamo a un anniversario importante: nel 2019, infatti, spiega bene il portale vaticano Vatican news, ricorrono i 350 anni dell’istituzione del Vicariato Apostolico di Siam, eretto nel 1669. Un evento ricordato anche dal logo preparato per la visita: Francesco vi appare sorridente e benedicente, mentre in basso vi è disegnata una barca, simbolo dell’evangelizzazione, sormontata da un albero a tre vele, che richiamano la Trinità. A sorreggere l’imbarcazione è la raffigurazione stilizzata della mano della Vergine Maria. Infine, una Croce dorata esorta tutta la Chiesa cattolica thailandese a essere testimone della Buona Novella.

Il tema del viaggio in Giappone si concentra, invece, sulla tutela della vita e del Creato. “Proteggere ogni vita, con la “t” nella parola “vita” a forma di croce, è infatti il motto scelto per la visita, tratto dalla Preghiera cristiana con il creato che conclude l’Enciclica di Francesco Laudato si’ sulla cura della casa comune”. L’esortazione è a rispettare non solo la dignità di ogni persona, ma anche l’ambiente, soprattutto in un paese come il Giappone in cui la minaccia nucleare rimane un problema persistente. “Tre fiamme di tre colori diversi caratterizzano il logo: una fiamma rossa a ricordare i martiri, fondamento della Chiesa in Giappone; una fiamma azzurra a rappresentare la Beata Maria che abbraccia tutta l’umanità come suoi figli, e una fiamma verde che richiama sia la natura del Giappone, sia la missione di proclamare il Vangelo della speranza. Un cerchio rosso, come un sole, avvolge ogni vita, a simboleggiare l’amore. Il papa, raffigurato in modo stilizzato in blu, appare benedicente”.

Un viaggio importante, dunque. Per fortificare nella fede la piccola minoranza cattolica, 540mila fedeli (intorno allo 0,5 della popolazione), ma anche per promuovere la pace e il dialogo interreligioso.

Riguardo invece il viaggio in Thailandia, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, visitando il paese ha detto recentemente: “Questo momento storico del 350° anniversario dell’inizio dell’istituzione della gerarchia porta alla nostra attenzione la necessità di un nuovo slancio missionario. Gli sforzi pionieristici dei missionari che hanno portato la Buona Novella della salvezza al popolo thailandese devono continuare. La formazione missionaria è ora compito della Chiesa locale. Questo lavoro deve essere visto come centrale per la missione della Chiesa in Thailandia. Pertanto, ogni sforzo per l’evangelizzazione deve essere un elemento chiave nell’attività pastorale degli istituti religiosi, di parrocchie, scuole, movimenti laicali e, in particolare, dei gruppi di giovani nelle vostre Chiese particolari”.

La Chiesa itinerante di Francesco varca ancora una volta i portoni romani di San Pietro. La destinazione è lontana: ma l’idea di essere “prossima”, e quindi vicina, ai fedeli cattolici, rappresenta il cuore di quella santa e benedetta inquietudine missionaria che incontra il Vangelo lungo le strade degli uomini. Essere missionari oggi significa “diventare attivi nel bene, non notai della fede e guardiani della grazia”, né tanto meno vivere una “fede da sagrestia”.

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