In presa diretta, con il tu. Non è la ripetitività delle giaculatorie ma il rapporto che si ha con la madre, in questo caso la Madre dalla emme maiuscola, l’archetipo di ogni mamma. Santi e peccatori, credenti e increduli alla corte di Maria. Nessun essere umano – eccetto Cristo, che è pure Dio – ha mai ricevuto tanta attenzione (addirittura nel Corano) quanta ne ha avuta e continua ad averne la Madonna.
Fra poesia e preghiera il confine è spesso labile. Del resto alcuni inni sacri dedicati alla Vergine risuonano come altissime testimonianze liriche: possiamo citare l’antica tradizione delle Chiese orientali e quella più recente delle Chiese ortodosse. Alla Vergine abbiamo pensato di dedicare in questo mese di maggio, con i sei componimenti che seguono, uno spazio di ascolto, come un nostro modo di esprimere, sia pure in forma letteraria, una devozione mariana.
Suggeriamo, come partenza di un itinerario mariologico, l’evocazione di Koata Ingo, angolano, in Madre nera, anche come evocazione di recenti drammi e naufragi di disperati fuggiaschi nel Mediterraneo.
Mare ampio e profondo, così piccolo
ai tuoi occhi; mare è il tuo volto
scavato dal pianto, ricettacolo di
lacrime amaramente versate.
piangi la vita dei figli a te strappati,
imbarcati, deportati, dispersi
ai quattro venti, oltraggiati e morti:
essi furono e mai più ritorneranno!
Mare vero, Africa certa –
tutti sapevano –
eppure nessuno lo sa all’infuori
del tuo cuore: tu Madre Nera!
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Una delle voci poetiche più sensibili degli ultimi decenni appartiene ad Alda Merini, la cui vita dalle vicende turbolente si è conclusa nel 2009 nel segno della fede. Dalla raccolta Magnificat, interamente dedicata a un “incontro” con la Madonna, proponiamo l’intensa atmosfera di Spavento di Maria.
Una voce come la Tua
che entra nel cuore di una vergine
e lo spaventa,
una voce di carne e di anima,
una voce che non si vede,
un figlio promesso a me,
tu ancella che non conosci l’amore,
un figlio mio e dell’albero,
un figlio mio e del prato,
un figlio mio e dell’acqua,
un figlio solo:
il Tuo.
Come non spaventarmi
e fuggire lontano
se non fosse per quell’ala di uomo
che mi è sembrato un angelo?
Ma in realtà, mio Dio,
chi era?
Uno che si raccomanda,
uno che mi dice di tacere,
uno che non tace,
uno che dice un mistero
e lo divulga a tutti.
Io sola, povera fanciulla ebrea
che devo credere e che ho paura, Signore,
perché la fede è una mano
che ti prende le viscere,
la fede è una mano
che ti fa partorire.
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Anche le litanie trovano un loro spazio di invenzione lirica che non si esaurisce nella giaculatoria o nella pia invocazione. Una serie particolarmente suggestiva è quella composta per i suoi amici caduti nella prima guerra mondiale dal francese Max Jacob, passato dall’ebraismo al cattolicesimo e morto nel 1944 in un campo di concentramento nazista perché – nonostante la sua conversione risalisse a molti anni prima dell’applicazione delle leggi razziali – volle condividere la sorte dei suoi fratelli d’origine. Una intensa, tormentata vita di fede e di peccato non distolse mai Jacob dal culto della Madonna: ne incastoniamo alcune litanie fra le altre poesie di questa serie.
Vergine tanto meravigliosamente cangiante da riflettere le luci dello Spirito Santo
Vergine tanto unicamente simile al cielo che il Cielo la sposò
Sola madre possibile per il Signore
Bambina di quindici anni che ha parlato con l’Angelo
Onorata da un matrimonio con Dio
Onorata dalla maternità di Dio
Madre e sposa del cielo
Miracolata e miracolosa
Guardiana del tesoro unico
Guardiana del tesoro della terra
Guardiana del tesoro del cielo
Madre di speranza e di angoscia
Viscere divinizzate
Totus tuus era iscritto nello stemma di Karol Wojtyla, un eccezionale papa-poeta come non se ne era avuto da cinquecento anni a questa parte. Fra le non poche liriche che hanno Maria per protagonista, proponiamo Stupore davanti all’Unigenito, della raccolta Il sapore del pane.
Questa luce scavava lentamente gli eventi d’ogni giorno,
a cui fin dall’infanzia si abituano occhi e mani di ogni donna –
Lentamente, in questi eventi, si scoprì così sconfinato chiarore
che le mani da sole si congiunsero quando la parola perse la sua dimensione.
Figlio mio – nel villaggio dove tutti ci conoscevano entrambi
mi dicevi “Mamma” – e nessuno scrutò fino in fondo
gli eventi incredibili che tutti ogni giorno sfioravano
e la tua vita si confuse con la vita dei poveri
a cui volesti appartenere nella fatica quotidiana delle braccia.
Ma io sapevo: la luce che si snoda in questi eventi
come fibra di una scintilla nascosta sotto la scorza dei giorni
sei Tu.
Non io l’irradiavo
pure fosti più mio in quel bagliore,
in quel silenzio
che come frutto della mia carne
e del mio sangue.
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Con Calendimaggio di Elena Clementelli Maria diventa protagonista di un rapporto affettuoso, pieno di freschezza e aperto alla speranza, che intercetta le bellezze della natura in fiore.
Rose alla Vergine Maria.
Rose alla Madonna di maggio.
Ave a te, con Bernardo,
ave Maria.
Esplodono le acacie,
spande il mirto
brividi e aromi.
Nelle mie vene primavera tace
ma il cuore è un canto d’acute memorie.
E l’amore disperso nei canali muti del tempo
è questa voce ritrovata.
Alta sul muro del vecchio collegio,
la celeste figura che mi attende
giorno su giorno,
freno all’abbrivo quotidiano,
risponde al mio saluto frettoloso
con l’invito gentile d’un gesto aperto,
che mitiga l’affanno e lo sgomento.
Dolce Signora di questo maggio,
per la tua corona
accogli anche la rosa d’una fede distratta,
d’una speranza intatta +++
Sotto la Croce c’è tutta la sofferenza della Madre che assiste all’agonia del Figlio. Di grande drammaticità ne Il libro della Passione il racconto de L’agonia nell’orto dello scrittore spagnolo José Miguel Ibanez Lan-glois, che ricorda le atmosfere severe dei quadri di El Greco.
Dormono gli apostoli ma la madre veglia
la madre è in agonia fino alla fine del mondo
la madre di Gesù come la luna piena
illumina tutta la valle di Giosafat
tende le sue pure mani quasi traslucide
verso l’orto che la chiama come il suo sangue
perché è sangue del suo sangue il sangue di Dio
che ella deterge a distanza con le sue mani
di luce con tanto amore che Gesù la sente
meglio che se toccassero la sua faccia oscura
ah che sollievo quest’unica consolazione della terra
che tenerezza del cielo consola il suo viso
come se niente fosse successo in questi tre anni
niente in questi ultimi trentatré
Gesù sta piangendo d’amore come un bimbo
perché il cielo e la terra lo abbandonano
ma il lebbroso l’abbandonato il rampollo
ha una madre e sua madre è tutta l’amore
del cielo e della terra e lo sta vegliando
e gli sta lavando il volto bagnato di sangue
per azione a distanza come la luce
come a Betlemme un giorno il suo stesso sangue
il lebbroso di Dio l’uomo eterno
ha una madre e sua madre è tutta la consolazione
del regno di questo mondo il dolce regno
perché esiste Maria sulla terra oscura
e Dio agonizzante le sussurra madre
non abbandonarmi madre madre mia.