“TANTE MALATTIE NON PIOVONO DAL CIELO…”

“PIÙ DEL 50 PER CENTO DELLE MALATTIE CRONICHE, COME DIABETE TIPO 2, INSUFFICIENZA CARDIACA, POLMONARE E RENALE, ICTUS E INFARTO CARDIACO – AFFERMA LO SCIENZIATO DI FAMA MONDIALE – PUÒ ESSERE PREVENUTO. PREVENIRE NON È SOLO EVITARE UNA MORTE PREMATURA, MA ANCHE EVITARE DI TRASCORRERE ANNI DI VITA IN CONDIZIONI DI NON SALUTE”.

I suoi 96 anni rappresentano una lente d’ingrandimento sulla bontà del suo sapere e della rigorosa applicazione nel corso di una carriera scintillante. Parliamo di Silvio Angelo Garattini, fondatore, direttore e attuale oggi presidente del prestigioso Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS. Un professionista di fama internazionale la cui ricerca, libera e indipendente, ha posto un punto fermo su quelli che devono essere i valori chiave della scienza e della sua funzione civile e sociale. Da sempre lo scienziato nativo di Bergamo batte forte sulla difesa della salute e quindi della natura e quindi della vita. Un richiamo costante nei confronti di un’umanità a dir poco distratta, auspicando il cambiamento degli stili di vita, uno sviluppo sostenibile del pianeta, una lotta concreta alle disuguaglianze economiche e soprattutto tanta, ma tanta prevenzione. Insomma una sorta di rivoluzione culturale ed etica che rompa la catena che lega pianeta e abitanti ai soli interessi economici. E questa rivoluzione non può non partire dai giovani, le future generazioni che avranno l’arduo compito di custodire il pianeta terra e i suoi inquilini.

La sfida che lancia Garattini è proprio questa: rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare, nessuno escluso, per un futuro più sano e più giusto. Tenendo sempre presente che anche la povertà e la mancanza di istruzione possono rappresentare fattori di rischio per la salute. Tanto per non farcelo dimenticare, Garattini ha messo tutto nero su bianco mandando recentemente in libreria l’interessante volume Prevenzione è rivoluzione (il Mulino, pp. 171, euro 15,00). Una sorta di guida illuminante per adottare semplici comportamenti in grado di determinare effetti importanti. Avere un pensiero costante al domani, capire che quello che mi succede oggi determinerà la mia vita futura.

Professore, partiamo dal “dio denaro” che non risparmia neanche il mercato della salute…

Come per gli altri mercati anch’esso persegue lo stesso fine: l’aumento del volume d’affari attraverso la crescente medicalizzazione della società. Test diagnostici, farmaci, integratori alimentari, dispositivi medici tendono ad aumentare, sia in termini di quantità, sia di costi, spesso senza recare contributi significativi alla salute.

Ad esempio?

Nel nostro Paese, grazie al Servizio sanitario nazionale, il mercato della medicina può contare su un meccanismo viziato perché chi paga (lo Stato) non sceglie e non utilizza i prodotti che acquista; chi sceglie i prodotti (il medico) non li paga e non li utilizza; e, infine, chi utilizza i prodotti (l’ammalato) non li sceglie e non li paga. Non è infatti logico spendere risorse umane ed economiche per curare malattie che sono in definitiva evitabili. Di fatto più del 50 per cento delle malattie croniche, come diabete tipo 2, insufficienza cardiaca, polmonare e renale, ictus e infarto cardiaco, può essere prevenuto; più del 50 per cento dei tumori è evitabile, e nonostante ciò ogni anno muoiono in Italia circa 180.000 persone per tumore. Quello che si deve fare per evitare malattie e tumori ha un nome ben preciso che non si pronuncia mai abbastanza in medicina: “prevenzione”.

Eppure siamo tra i Paesi con la più alta aspettativa di vita alla nascita. Secondo i dati Eurostat, infatti, in poco più di 40 anni, da quando è stato creato il Servizio sanitario nazionale, è aumentata di 10 anni arrivando a 81,2 anni per le persone di genere maschile e 85,6 anni per quelle di genere femminile…

Il dato a cui dovremmo prestare maggiore attenzione, però, è l’aspettativa di vita sana, cioè quella che corrisponde al numero di anni vissuti senza limitazioni alle attività quotidiane, senza malattie croniche e invalidanti. In particolare parliamo delle malattie cardiovascolari, tumori, diabete, malattie respiratorie o renali croniche che, oltre a essere responsabili della perdita di parecchi anni di vita sana, sono anche le principali cause di morte al mondo.

In che modo cambiano i dati?

Le donne alla nascita hanno un’aspettativa di vita sana di soli 66,9 anni e quindi una previsione di vivere ben 18,7 anni con problemi di salute invalidanti in misura più o meno forte. Per quanto riguarda gli uomini, se 81,2 sono gli anni dell’aspettativa di vita, 66,8 sono quelli di vita sana e quindi 14,4 gli anni in compagnia di malattie croniche.

Quindi ritorniamo alla prevenzione…

Proprio così, d’altra parte è questo il nodo cruciale. Prevenire non è solo evitare una morte prematura, ma anche evitare di trascorrere anni di vita in condizioni di non salute. La ricerca sulla prevenzione mostra come la maggior parte delle malattie non piova dal cielo, ma sia legata a una serie di fattori di rischio, spesso evitabili, influenzati dai nostri comportamenti individuali nonché da fattori che implicano responsabilità collettive. Evitare malattie, dunque, rappresenta un dovere che migliora la durata della nostra vita sana, ma ha effetti positivi sulla famiglia, sull’economia del Paese e sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, che è una inestimabile e preziosa fonte di salute.

Qual è, professore, la differenza fra malattia e fattore di rischio?

La malattia è una situazione patologica che comporta una sintomatologia che può manifestarsi con febbre, dolori, difficoltà a respirare e così via e nei casi più gravi può portare anche alla morte o a un’invalidità permanente. Il fattore di rischio non è, ovviamente, una malattia, bensì un agente esterno (alcol, fumo di sigaretta, contaminanti ambientali eccetera), un comportamento (scarsa attività fisica, eccesso di alimentazione, mancanza di un numero sufficiente di ore di sonno) o una condizione (iperglicemia, ipercolesterolemia) che predispone a una malattia: è un concetto probabilistico.

Le cattive abitudini di vita, invece, a cosa si riferiscono?

Sono condizioni che facilitano malattie o altri fattori di rischio. Ad esempio, una alimentazione squilibrata e ipercalorica può dar luogo in termini probabilistici al sovrappeso o all’obesità che, come sappiamo, sono fattori di rischio per diverse malattie croniche. Talvolta è facile fare confusione: si parla spesso per esempio di prevenire l’ipertensione (che è importantissimo), tuttavia l’ipertensione non è una malattia. L’ipertensione è una condizione di pressione sanguigna elevata rispetto ad alcuni parametri considerati standard, determinata da fattori di rischio come sovrappeso e obesità, scarsa attività fisica, stress o anche predisposizioni genetiche. A sua volta l’ipertensione arteriosa è uno dei principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, la principale causa di morte nel nostro Paese. Per esempio, chi presenta un’ipertensione ha più probabilità di avere un ictus cerebrale o un infarto cardiaco, come pure di contrarre altri tipi di malattie.

Basta un solo fattore di rischio per predisporre, in maniera determinante, a una o più patologie?

Tranne il fumo, no. È l’insieme di più fattori di rischio che predispone – ovvero aumenta il rischio – all’insorgenza di una o più patologie. Per esempio, la sedentarietà accompagnata all’alimentazione eccessiva sono fattori di rischio di un aumento di peso corporeo, e quando questo è oltre un certo limite diventa classificabile come obesità, che è a sua volta un fattore di rischio importante per il tumore del seno, per malattie muscolo scheletriche (perché facciamo sopportare all’organismo un peso che è eccessivo rispetto alla condizione per cui l’organismo umano è costruito), per la sindrome metabolica e per altre patologie.

Prima accennava al fumo come fattore di rischio certo. Possiamo dare qualche numero?

È stata dimostrata una relazione di causa-effetto, per il tumore del polmone in almeno l’80 per cento dei casi. Secondo l’Istituto superiore di sanità, in Italia i fumatori sono oltre 12,4 milioni (24,2 per cento) – il 30,2 per cento degli uomini e il 18,5 per cento delle donne. In totale al mondo l’Oms stima 1,3 miliardi di fumatori. Occorre tuttavia ricordare che il numero dei fumatori è calcolato considerando coloro che hanno più di 15 anni d’età, mentre è significativo il numero di fumatori che inizia prima dei 15 anni.

Sul consumo di alcol, invece, che c’è da dire?

Forse l’impatto dell’alcol è quello di cui le persone vorrebbero che si parlasse meno, che scomparisse dal dibattito sia scientifico, sia politico. Eppure i dati non ci permettono questo lusso… In Italia i decessi causati dall’alcol sono 41.000, 13.000 donne e 28.000 uomini. Ed è probabile che per i prossimi anni questi numeri siano destinati ad aumentare visto il progressivo aumento del consumo di alcolici registrato durante e dopo la pandemia da Covid-19, soprattutto nei giovani. Come nel caso del fumo, il rischio aumenta in relazione alla dose assunta. Ad esempio, è molto basso (ma non inesistente) per un consumo di meno di 20 grammi di alcol al giorno, mentre il rischio aumenta del 75 per cento alla dose di 100 grammi di alcol al giorno.

Il rischio molto basso come viene quantificato?

Non esiste una quantità sicura di alcol, una quantità che si possa consumare senza alcun livello di rischio e/o di conseguenze per la salute. Spesso si associano i danni per la salute a un consumo di alcol eccessivo, smisurato, patologico. I dati invece mostrano che, per lo meno nei Paesi dell’area europea esaminati dall’Organizzazione mondiale della sanità, la metà di tutti i tumori attribuibili all’alcol sono causati da un consumo “leggero” e “moderato” di alcol, ovvero meno di 1,5 litri di vino o di 3,5 litri di birra a settimana. Sempre contrariamente al pensiero comune, poi, non vi sono studi che riportino evidenze a sostegno di potenziali effetti benefici del consumo leggero e moderato di alcuni tipi di alcolici – neanche del famoso vino rosso – sulle malattie cardiovascolari e sul diabete di tipo 2.

Quando invece si parla di droghe, a cosa ci si riferisce?

Droga è un termine che si usa per definire una sostanza che tramite il continuo uso genera dipendenza. Sono droghe il tabacco, l’alcol, il gioco d’azzardo, l’eccesso di cibo, come pure alcuni farmaci antidepressivi e le benzodiazepine impropriamente utilizzate come sonniferi, nonché i derivati dell’oppio (morfina e derivati, fentanili). Queste sono droghe che l’opinione pubblica considera lecite, tanto è vero che se ne parla sempre meno. A queste dipendenze bisogna aggiungere cannabis, anfetamine, cocaina e molte altre sostanze chimiche, tipo la ketamina.

Come liberarsi da queste schiavitù che coinvolgono anche gli adolescenti?

In realtà si fa poco. I medici non danno il buon esempio, e ciò rappresenta spesso un alibi per chi vuole continuare a esserne schiavo. Si parla di droga solo per quelle che allo stato attuale sono considerate illecite. L’impiego delle droghe è molto cambiato nel tempo, e soprattutto nei giovani non è più rappresentato da una sola droga bensì da cocktail in cui si associano droghe illecite con farmaci, o con altre droghe, o con alcol. Al sabato e alla domenica il risultato di questo comportamento è molto visibile nei Pronto soccorso. Milano è, in Italia, la città con il maggior consumo di cocaina: 12 dosi ogni 1.000 abitanti al giorno. La cannabis è presente a 50 dosi sempre per 1.000 abitanti al giorno. Cannabis e cocaina sono state identificate anche nelle acque reflue delle scuole, con un aumento tra 2 e 6 volte in pochi anni. Purtroppo l’impiego delle droghe è diffuso non solo in tutte le città ma anche nei piccoli centri, indicando che il problema non è solo urbano. Occorre, insomma, un grande impegno per evitare che i consumi di droga diventino abituali soprattutto nei giovani. In altre parole, è urgente sviluppare il più presto possibile la prevenzione, una parola che si è perduta perché in conflitto di interessi con il mercato. Il problema è grave e necessita di un sollecito, di grande impegno per evitare che i consumi di droga diventino, specie nelle nuove generazioni, sempre più abituali.

A proposito di cannabis, cosa rispondere a chi vorrebbe legalizzarla?

È un brutto messaggio che lanciamo ai giovani perché isolando la cannabis dalle altre droghe si dà l’impressione che sia una droga “leggera” e dunque che, entro certi limiti, la si possa utilizzare. Conosciamo i danni che i principi attivi della cannabis inducono nel cervello, soprattutto in quello giovanile, particolarmente sensibile perché in via di sviluppo. La cannabis induce problemi nell’apprendimento e nella memoria, e rappresenta una controindicazione per la guida di auto o moto. È inoltre una porta d’accesso per l’uso di altre droghe e induce, a distanza di tempo, un rischio di comparsa di malattie mentali.

Nel libro dedica un capitolo alle cosiddette trappole disseminate lungo il cammino della prevenzione, soprattutto quello individuale. Ci fa un esempio?

Quando sono comparse sul mercato, le sigarette elettroniche sono state pubblicizzate come un’alternativa utile per i fumatori che volevano provare a smettere e a liberarsi dalla loro dipendenza. In realtà alcuni studi hanno dimostrato che erano più le persone che iniziavano a fumare rispetto a quelle che si astenevano utilizzando la sigaretta elettronica. Sia le sigarette elettroniche sia quelle riscaldate, infatti, contengono e rilasciano nicotina, il composto che induce dipendenza oltre che essere tossico per il cuore. Mantenere la dipendenza vuol dire che comunque uno dei due prodotti continuerà a essere venduto. Del resto non sorprende immaginare che le multinazionali del tabacco puntino su un mondo privo di fumo, ma non di affari. Inoltre spesso non sono conosciuti a chi adopera questi dispositivi i danni polmonari dovuti all’inalazione dei prodotti presenti nelle fiale che si inseriscono nelle e-cigarette, identificati con l’acronimo EVALI e che si traduce con “lesioni polmonari associate dall’uso di sigarette elettroniche o dispositivi di vaping”, come anche altri effetti sulla salute.

Lei parla anche di pregiudizi ingiustificati che non ci fanno seguire giusti consigli e corrette indicazioni…

Ad esempio, quando ci rivolgiamo al nostro medico per qualche problema e anziché prescriverci farmaci ci suggerisce cambiamenti nei nostri stili di vita, tendiamo a essere scontenti e a non fidarci. Invece basterebbe confrontarsi con il medico, esprimere dubbi, farsi spiegare perché si può fare a meno di alcuni farmaci e capire che in realtà è meglio non assumere medicinali di cui non si ha bisogno o che si possono evitare per superare molte delle nostre idee preconcette. Il medico migliore non è quello che prescrive molti farmaci, ma quello che semmai ne toglie per evitare interazioni o inutili potenziali tossicità.

Ciò che è naturale è buono e fa bene e ciò che è artificiale o sintetico fa male…

Quando si tratta di salute o anche di alimentazione, “naturale” è immediatamente interpretato come “sano”, o per lo meno come “più sano”, peccato però che questa traduzione sia del tutto sbagliata. Moltissime sostanze naturali sono invece nocive per il nostro organismo: alcuni tra i veleni più potenti e letali sono naturali (le tossine botuliniche, l’arsenico, il curaro, tanto per fare degli esempi). Sostanze non letali, poi, possono causare altri danni come dermatiti o infiammazioni. Inoltre, virus e batteri sono “agenti naturali” e, come abbiamo visto recentemente con la pandemia da Covid-19, ma anche in emergenze meno gravi e globali, possono rappresentare un pericolo enorme per l’uomo. Un esempio? Moltissimi farmaci che salvano la vita a milioni di persone ogni giorno.

Immagino che in ambito alimentare ci sia un vasto campionario…

Il principale pregiudizio è quello che i “prodotti senza” siano più sani. Esempio principe è quello degli “alimenti senza glutine”, che dovrebbero essere consumati solo da quelle persone che sono intolleranti al glutine o che soffrono di celiachia, ovvero meno dell’1 per cento della popolazione italiana. Eppure il pregiudizio secondo il quale il glutine sia tossico o che sia difficile da digerire ha portato a un’esplosione nel mercato di prodotti privi di questo complesso proteico, che quasi sempre hanno un costo più alto della loro controparte. Il fatturato dei prodotti “senza glutine” nel 2019 è aumentato a 7 miliardi di euro, circa il 18 per cento del totale dei prodotti alimentari. E il glutine è solo un esempio: i “prodotti senza” riguardano anche lattosio, zuccheri, olio di palma, glutammato, lievito e più di recente, in rapporto con la resistenza agli antibiotici, si nota la scritta “senza antibiotici”.

Che dire degli edulcoranti al posto dello zucchero?

Spesso per diminuire il consumo di zuccheri si impiegano sostanze dolcificanti alternative, che tuttavia non sono sempre una soluzione salutare. Ad esempio, il sucralosio è un dolcificante circa 600 volte più dolce del saccarosio (il comune zucchero) che viene utilizzato in molte situazioni per limitare l’impiego dello zucchero e quindi un eccesso di calorie. Il sucralosio viene assorbito in modo limitato per via orale, ma permane per almeno due ore nel sangue e quindi a contatto con le cellule ematiche. La dose massima ammessa è diversa per gli Stati Uniti, 5 mg/kg di peso corporeo, rispetto ai 15 mg/kg dell’Europa. Studi condotti nei topi, su dosi che determinano livelli ematici simili a quelli dell’uomo, indicano che il sucralosio interferisce con le risposte immunitarie perché riduce la proliferazione e la differenziazione delle cellule T riducendo quindi l’efficacia delle attività immunomodulatorie.

In sintesi quali azioni e abitudini possono aiutarci a ridurre il rischio di malattie croniche?

Non fumare sigarette e prodotti che contengono nicotina e inducono dipendenza;

Limitare il consumo di alcolici, ricordando sempre che non esiste una quantità sicura;

Seguire una dieta equilibrata ricca in alimenti vegetali, cereali, legumi, proteine magre e povera di grassi saturi (specialmente animali), sale, zucchero o alimenti altamente processati;

Praticare un’attività fisica regolare compatibilmente con la propria età e le proprie condizioni di salute (per esempio problemi articolari, cardiovascolari, eccetera);

Evitare aumento di peso corporeo e obesità;

Cercare di dormire a sufficienza, almeno 7 ore a notte;

Sottoporsi regolarmente a vaccinazioni e screening quando opportuno per la propria fascia di età, per il proprio genere, per le proprie condizioni di salute e non sottoporsi invece a esami inutili che possono portare a inutili trattamenti.

Un’ultima cosa. Farmaci originali e farmaci generici: come regolarsi?

Un farmaco generico contiene esattamente lo stesso principio attivo del farmaco col nome commerciale e presenta la stessa azione nonché la medesima efficacia della sua controparte originale. Viene prodotto a partire dal momento in cui il brevetto per un farmaco scade, dopo vent’anni dalla sua registrazione e quindi circa dieci dalla sua prima immissione sul mercato, e quindi può essere realizzato e venduto anche da aziende farmaceutiche di-verse dalla detentrice del brevetto originale, ma con il nome del principio attivo che contiene e non quello di fantasia.

L'ECO di San Gabriele
Panoramica privacy

Questo sito utilizza cookies per migliorare l'esperienza di navigazione.

I cookies sono piccoli files di testo salvati nel tuo browser per facilitare alcune operazioni. Grazie ai cookies, se torni a visitare il sito potrai essere riconosciuto non dovendo dare nuovamente il consenso al trattamento dei dati personali e saranno ricordale le preferenze già espresse.

Per gli sviluppatori, i cookies indicano le pagine più apprezzate dai visitatori al fine di un ulteriore sviluppo del sito.