STEFANO, IL CORAGGIO DELLA TESTIMONIANZA

Egli si impone non solo per la sua eroica fine ma anche per la luminosità della sua fede professata alla luce della “storia della salvezza”

La “franchezza” del diacono Stefano

Tra i sette responsabili posti a servizio delle mense nella comunità di Gerusalemme (At 6,1-7) spiccano le figure di Stefano e Filippo. Quest’ultimo proseguirà la missione passando per la Samaria (8,26-40), mentre Stefano subisce il martirio nella città santa. Nello sviluppo del suo racconto Luca vuole porre in grande evidenza la personalità di Stefano. Egli si impone non solo per la sua eroica fine (7,55-60) ma anche per la luminosità della sua fede professata alla luce della “storia della salvezza”. Il lettore rimane stupito nel leggere il discorso che, con franchezza e libertà di cuore, Stefano pronuncia davanti ai suoi giudici e accusatori (7,2-53). Il filo conduttore che guida la difesa di Stefano è contrassegnato dalla “storia di amore” di Dio per il suo popolo eletto e per la sorte dell’intera umanità.

L’innocente di fronte ai suoi accusatori

Mentre a Gerusalemme la vita ecclesiale cresce e fa si rende sempre più visibile, aumenta anche il malcontento e l’avversione contro questo nuovo movimento spirituale che proclama la vita nuova in Gesù Cristo, crocifisso e risorto. Di fronte alla sapienza e allo Spirito con cui Stefano annuncia la Parola, alcuni della sinagoga “detta dei Liberti, dei Cirenei e degli Alessandrini” non potendo controbattere la sua autorevolezza, lo fecero accusare ingiustamente (At 6,11). L’accusa verte su due motivi, ribaditi con insistenza. Il primo riguarda la bestemmia: “lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme e contro Mosè e contro Dio” (6,11). Il secondo concerne la propaganda sovversiva contro il Tempio e la Legge di Mosè: “Costui non fa altro che parlare contro questo luogo santo e contro la Legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato” (6,14). Il tempio, Mosè e la Legge rappresentano l’identità inviolabile del popolo giudaico, messa in discussione dalla predicazione cristiana. Così sulle orme del maestro, anche Stefano sperimenta l’iniquità e l’ingiustizia, che riecheggiarono nel processo di Gesù (cf. Mt 26,62-66). Mediante il violento attacco contro Stefano, i suoi avversari miravano a togliere ancora una volta di mezzo quel “Nazareno” che continuava a operare mediante i suoi servi.

È Dio che guida le sorti della storia

Condotto davanti al sinedrio, Stefano è chiamato a dare ragione della sua fede. Su invito del sommo sacerdote (At 7,1), il testimone parla con franchezza al cospetto dell’assemblea e rilegge la storia di Israele in chiave messianica. È il discorso più lungo presente nel libro degli Atti e assume una funzione programmatica per riflettere sullo sviluppo della storia di Israele e sulla sua connotazione epifanica. Il discorso prende le mosse dalla vocazione di Abramo, di cui ne sottolinea la fede intrepida. Nel “si” che il patriarca ripete a Dio va letto il dinamismo generativo della promessa (Gen 15,1-6). Abramo genera Isacco e questi Giacobbe, a cui seguirono i “dodici patriarchi” (At 7,8). Il cammino della fede s’incrocia con la negatività del male: i figli di Giacobbe, gelosi di Giuseppe, lo vendettero abbandonandolo al suo destino in Egitto. Dio però era con il giovane rifiutato dai fratelli e la sua vicenda si è trasformata in provvidenza, grazie alla condiscendenza divina (7,10-16). Manifestando la sua autorità sulla storia, Dio guida le sorti del popolo oppresso in Egitto e permette a un suo figlio Mosè, di diventare protagonista dell’esodo dalla terra di schiavitù (7,17-44). La straordinaria riflessione di Stefano culmina con la figura di Giosuè che conduce il popolo nella terra promessa (7,45). Il periodo monarchico è contrassegnato dall’impeto militare di Davide e dalla sapienza di Salomone (7,46-47), costruttore del tempio (7,48). L’edificio templare con tutta la sua sontuosità è solo una “figura” della dimora dell’Altissimo, che non abita in costruzioni fatte da mani d’uomo (cf. Is 66,1-2).

L’invito alla conversione

Il discorso culmina con un annuncio profetico accompagnato da un coraggioso invito alla conversione. All’opera di Dio si è contrapposta la riluttanza di Israele, espressa nell’esteriorità del servizio divino, nella gelosia, nella disobbedienza e nell’idolatria (At 7,51-52; cf. Dt 9,13, Ger 4,4). Stefano applica l’insegnamento storico alla situazione presente dei discendenti di Israele. Occorre evitare di ricadere nel peccato dei padri, che hanno perseguitato e ucciso i profeti (cf. Mt 23,34-35), passando dalla violenza alla fiducia nell’opera di Dio. Il discorso di Stefano si traduce in un energico invito a rileggere con sapienza lo storia della salvezza. Non è mai tropo tardi per ricominciare, confidando nella misericordia divina. Il discorso di Stefano diventa un’occasione favorevole per un radicale cambiamento di vita. Rivivendo le esigenze dell’alleanza che Yhwh aveva sancito mediante il dono della Legge, ciascun credente è chiamato a “ritornare a Dio” abbandonando la via del peccato e dell’iniquità. Colpisce la forza profetica con cui il testimone collega il passato al presente e senza timore, si rivolge al cuore dei suoi uditori, confidando che si aprano all’azione vitale dello Spirito Santo.

Non imputare loro questo peccato

Il discorso di Stefano produce una reazione negativa: “all’udire queste cose erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano” (At 7,54). Con la stessa violenza che aveva connotato l’ingiusto arresto e l’accusa di blasfemia, i calunniatori non reggono di fronte allo splendore innocente del volto di Stefano. Come agnello immolato, il testimone “pieno di Spirito Santo” fissa il cielo e contempla il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio (7,55-56; cf. Dn 7,13). La descrizione che segue esprime tutta la violenza brutale del male contro il candore della verità e della giustizia. Presi dalla rabbia vendicativa, gli empi si turarono gli orecchi, si scagliarono contro di lui, lo trascinarono fuori dalla città e si misero a lapidarlo (7,57-58). Mentre prevale il linciaggio popolare, Stefano muore come Gesù, piegando le ginocchia e gridando a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato” (7,60; cf. Lc 23.34).

 

L'ECO di San Gabriele
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