LA BAMBINA FELICE SARÀ SEMPRE LÌ

NATA E VISSUTA PER DIECI ANNI A SAN PATRIGNANO, LA PIÙ GRANDE COMUNITÀ D’EUROPA CHE DA OLTRE 30 ANNI ACCOGLIE RAGAZZI CON GRAVI PROBLEMI DI DROGA, LA GIOVANE AUTRICE HA PUBBLICATO INSIEME AD ANDREA CEDROLA UN BELLISSIMO ROMANZO, LA COLLINA, ISPIRATO ALLA SUA VITA, A QUELLA DEI SUOI GENITORI E ALLE TANTE PERSONE CHE HANNO RACCONTATO LA LORO ESPERIENZA Un libro per tenere fede a una promessa fatta da bambina ai genitori. Ma soprattutto per riaccendere la luce su un periodo storico particolare della nostra Italia, gli anni 70/80, contrassegnato da fermenti reazionari, dal terrorismo e dalla droga. Già, quella maledetta polvere bianca che tante vittime ha mietuto e miete, gettando nella disperazione e nel dolore altrettante famiglie. Andrea Delogu, 32 anni, è l’autrice, insieme allo sceneggiatore Andrea Cedrola, del bellissimo romanzo autobiografico La Collina (Fandango Editore, pp. 345, euro 12,00). Anche se nel libro i nomi degli interpreti sono di fantasia, l’altura che dà il titolo al volume è quella dove sorge la comunità di San Patrignano, la più grande d’Europa, che da oltre 30 anni accoglie ragazzi e ragazze con gravi problema di droga. In Italia ha tre sedi, tutte fondate da Vincenzo Muccioli, scomparso a causa di una malattia nel 1995. La più grande, appunto, nata nel 1978, si trova nella località da cui la comunità stessa prende il nome, all’interno del comune di Coriano, nella provincia di Rimini. Lì, anni fa, erano approdati con percorsi diversi i futuri genitori di Andrea Delogu. Non si conoscevano, ma il destino, compreso Cupido, aveva dato loro appuntamento in quella comune. Il frutto di quell’amore clandestino – a San Patrignano era infatti assolutamente vietato stringere relazioni sentimentali – porta il nome di Andrea Delogu, una ragazza fantastica, sia nell’aspetto che nell’anima. Solare, trasparente, innamorata della vita e rispettosa del prossimo. I suoi occhi sprizzano una gioia contagiosa, le sue parole tratteggiano un animo libero impregnato di condivisione. Esperta di musica e cinema, twitstar, blogger, apprezzata interprete di programmi, cortometraggi e spot pubblicitari, applaudita nota femminile della nuova edizione di Stracult, il popolare magazine di Rai2 dedicato al cinema italiano di genere condotto insieme a Nino Frassica e Marco Giusti. Insomma, un concentrato di positività che parte da lontano, precisamente nel 1982 quando per la prima volta apre gli occhi al mondo. Un mondo un po’ particolare…, popolato da persone che si portano dentro l’inferno, ma che comunque riuscirà a regalarle un’infanzia felice.

Dieci anni vissuti in un luogo il cui tempo è scandito da regole rigide e non solo…, ma assolutamente appagante per una bambina come Andrea che nella condivisione troverà il timbro della sua esistenza. E poi il grande senso di libertà: ammirare la natura, dar da mangiare agli animali, giocare fino a tarda sera con gli altri bambini, impiastrarsi le mani con la creta o con la marmellata, non aver bisogno dei soldi… Una sorta di mondo incantato. Un giorno, però, suo padre Walter, autista e uomo di fiducia di Vincenzo Muccioli, rompe l’incantesimo ritenendo, d’accordo con la moglie, che sia giunto il momento di lasciare la collina per sempre. Lì, infatti, non si sente più al sicuro, soprattutto vuole dare un altro futuro alla piccola Andrea. A San Patrignano, infatti, come raccontano le cronache dell’epoca, la vita per gli ospiti non era tutta sorrisi e zucchero filato… Diversi i lati oscuri, come ad esempio i suicidi, i maltrattamenti riservati ai tossicodipendenti e addirittura l’assassinio, nel 1989, di Roberto Maranzano, 36 anni, originario di Palermo. Vincenzo Muccioli fu condannato dal Tribunale di Rimini a 8 mesi (pena condonata) per favoreggiamento, mentre gli esecutori materiali dell’omicidio incorsero in condanne dai 6 ai 10 anni.

Nel corso degli anni la figura di Vincenzo Muccioli, e quindi la sua gestione, è stata oggetto di discordanti interpretazioni. Da una parte chi l’ha sempre letta in maniera positiva, ritenendolo un capo carismatico insostituibile, un vero e proprio padre-eroe simbolo della lotta alla tossicodipendenza. Dall’altra, invece, i suoi detrattori, ovviamene di tutt’altra opinione sui metodi e sulla gestione della comunità.

A noi – è bene sottolinearlo – non interessa iscriverci a nessun elenco…, tantomeno entrare nel merito di vicende sulle quali la storia e i vari percorsi processuali hanno prodotto materiale a sufficienza. A noi incuriosisce e nello stesso tempo affascina il vissuto di quella bambina che, una volta diventata donna, ha deciso, attraverso un non facile percorso interiore, di raccontare una storia ispirata alla sua vita, a quella dei suoi genitori e alle tante persone che hanno raccontato la loro esperienza. Ne è venuto fuori un racconto assolutamente coinvolgente, incalzante, molto duro, quasi abrasivo. Ma soprattutto privo di eroi. Una storia – anche in questo caso è bene essere chiari – che non ha alcun riferimento con l’attuale nuova gestione della comunità di San Patrignano.

Andrea, fedele al suo carattere scanzonato e pieno di vita, arriva al nostro appuntamento nella capitale in tram, portandosi dietro Spilla, un’adorabile cagnetta trovatella, oggi sua inseparabile e fidata amica. Ci sistemiamo in una stanza del quartier generale Fandango. Accanto ai miei piedi, sotto il tavolo, trova posto Spilla mentre dinanzi a me campeggia il volto gradevole e spensierato della sua padrona. Cos’altro aggiungere? Assolutamente nulla, devo solo premere il tasto on del mio registratore…

Andrea, ti aspettavi tutto questo successo?

Assolutamente no. Pensa che quando ci chiamano per aggiornarci sul buon andamento delle vendite io e il mio socio ci abbracciamo…

Perché la scelta di Andrea Cedrola come compagno di viaggio?

Di questa storia avrei voluto farne un film. La mia grande passione, che tutt’oggi è pulsante, era di trasformare la storia in immagini. La mia lunga e faticosa ricerca, però, si è scontrata con tanti no… Un giorno, allora, avendo bisogno di un monologo per la mia attività teatrale mi sono imbattuta in due lavori firmati da Andrea Cedrola. Dopo averli letti sono rimasta particolarmente colpita dal suo modo di descrivere, dal suo stile diretto e asciutto ma nello stesso tempo pregno di significato. Mamma mia, ho pensato, questa è la persona che fa per me. In cuore mio speravo che accettasse la proposta visto che in tanti mi avevano sbattuta la porta in faccia… Allora l’ho chiamato e senza giri di parole gli ho detto subito che non avevo i soldi per pagarlo e che probabilmente quel mio progetto non avrebbe riscosso alcuna attenzione… Gli ho poi presentato l’argomento e parlato di ciò che avrei voluto uscisse fuori dal racconto. Infine gli ho chiesto se fosse disponibile a rischiare, insieme a me, in questa avventura…

Roba da niente…

Infatti… Avrebbe potuto tranquillamente dirmi di no, anche perché si stava costruendo una carriera…

Invece?

Con mia grande gioia ha accettato. La nostra ricerca è durata tre anni, un lungo periodo che in qualche modo avrebbe potuto farlo arrendere, anche perché erano in tanti a scoraggiarci. Fortunatamente non è stato così. Per questo non smetterò mai di ringraziarlo.

Perché questo romanzo autobiografico a distanza di anni?

Quando uscì la notizia dell’omicidio di Roberto Maranzano all’interno della comunità e quindi il successivo processo che vide implicato mio padre per la storia della cassetta, io sono stata malissimo. Avevo 14 anni e avevo lasciato San Patrignano.

Cosa ti causava tanta sofferenza?

Non ero più a casa mia… La comunità era la mia casa… È stato allora che ho aperto gli occhi e ho capito che stavo pensando solo a me, al mio malessere. Io – mi sono chiesta – sono triste e infelice perché ho lasciato quella che consideravo la mia casa,  invece i miei genitori mi avevano portato via perché erano accadute delle cose molto gravi. In pratica volevano evitare che mi ritrovassi a vivere altre eventuali situazioni e tensioni. Ho capito, pertanto, che avrei dovuto approfondire meglio quegli avvenimenti. Ho iniziato così a raccogliere il materiale nel tentativo di raccontare una storia stando dalla parte di chi l’ha vissuta dall’interno. Al grande pubblico, infatti, è stata sempre raccontata da qualche giornalista, che di certo non viveva in comunità, oppure dai cosiddetti “salvatori”. In pratica la voce dei veri protagonisti, quelli che vivevano in comunità, non è stata mai raccolta e ascoltata.

Prima accennavi alle porte in faccia… Ne hai ricevute tante?

Veramente tante.

Con quali motivazioni?

Del tipo: Perché scrivere e parlare di una persona morta…?

E tu?

Ma cosa c’entra questo? Qui non parliamo di una persona ma di una generazione, di un pezzo d’Italia…

Altre obiezioni?

È una storia troppa complicata, nessuno ti racconterà niente e nessuno mai te la pubblicherà… E poi ti rovinerai la carriera… Ma quale carriera? All’epoca presentavo programmi musicali su alcune piccole emittenti satellitari, non c’era alcuna carriera da rovinare…

C’è un “no” che ti ha fatto male più di altri?

Sicuramente i primi, in quanto ero convinta di avere comunque in mano una storia interessante, sicuramente non da liquidare con un no secco, ancor prima che entrassi nel merito e senza prendere visione di documenti e materiale vario. Tanti conoscevano il contenuto, nessuno però lo considerava interessante. Invece, grazie al cielo, il successo del libro è arrivato. E per me equivale a un “te l’avevo detto” scritto a lettere cubitali…

A distanza di anni hai ricostruito quel lungo periodo raccogliendo diverse testimonianze di ospiti del centro. Dal libro la comunità di San Patrignano ne esce maluccio…

Quando ho parlato di questo progetto a Cedrola la prima cosa che gli ho detto è stata questa: “Andrea, qui non ci sono eroi…”.

E lui?

Dopo aver dato uno sguardo alla prima scaletta si è trovato d’accordo con quella mia premessa. “Qui – mi ha detto – raccontiamo storie di vita”. Se fosse stato un romanzo del tutto inventato mi sarei potuta tranquillamente scegliere un eroe, un qualcuno a cui affezionarsi e seguire con più passione. Invece cercando di raccontare un pezzo d’Italia era più giusto, a mio avviso, essere il più possibile distaccati. In questo il mio compagno di viaggio è stato fondamentale, da sola non ce l’avrei mai fatta. Ad esempio toccare così da vicino i miei genitori… Per me sarebbe stato uno shock. Inoltre la tecnica e lo stile di Andrea sono unici.

Nel 1989 a San Patrignano fu ucciso Roberto Maranzano. Cosa ricordi?

Nulla, i miei genitori furono straordinari nel tenermi lontana da quella brutta storia. Ricordo solo che a un certo punto sono rientrata a casa e ho visto che c’erano le valigie pronte… Il giorno dopo ce ne saremmo andati… Noi abbiamo intervistato anche Giuseppe, il figlio di Maranzano, una persona a cui io e Andrea siamo molto legati. Nel libro, infatti, abbiamo cercato di mettere dentro anche le emozioni che il papà all’epoca aveva condiviso con la sua famiglia. Di lui, invece, se ne era occupata solo la cronaca nera raccontando l’omicidio. È sempre mancato, invece, il passaggio più importante, quello che riguardava l’uomo Maranzano… Si è pensato in pratica al cadavere e non all’essere umano che non c’era più. Raccontato dai suoi figli e dai suoi amici Roberto Maranzano era un uomo speciale.

E dire che quella trascorsa nella comunità di San Patrignano, come osservi nel libro, è stata per te un’infanzia felice…

Direi straordinaria e lo ripeterò sempre. Per me è stata un’infanzia incredibile, sono cresciuta in mezzo al verde, con gli animali, con tutti i miei amici sempre a portata di mano… Potevo curiosare nei vari settori, assistevo ad esempio alla preparazione del pane senza dover chiedere permesso, facevo le marmellate. È stato un periodo bellissimo indimenticabile, per questo ho sofferto tantissimo quando sono andata via.

Un giorno tuo padre, autista e uomo di fiducia di Vincenzo Muccioli, d’accordo con tua madre decide di lasciare il centro… Perché?

A suo dire le cose iniziavano a sfuggire di mano a Vincenzo Muccioli…

Ad esempio?

Cominciavano ad esserci richieste troppo violente… Mio padre mi diceva che anche quando si era reso protagonista di gesti e comportamenti intollerabili, lo aveva fatto solo ed esclusivamente con l’idea di un bene comune. Salvare, cioè, delle persone. Negli ultimi tempi, però, mio padre era veramente spaventato, terrorizzato. Allora insieme a mia madre, che non era affatto felice di restare lì, ha deciso di andare via.

Per assicurarsi una sorta di lasciapassare tuo padre registrò di nascosto un colloquio “scottante” avuto con Vincenzo Muccioli…

Sì, quella cassetta, a cui facevo riferimento prima, aveva quel significato. Ovviamente sto parlando di circostanze ed episodi che mi sono stati raccontati dai miei genitori e non, invece, di una verità assoluta.

Cos’era per te Vincenzo Muccioli?

Un padre. Sapevo che il mio vero padre era Walter, ma nella mia testa Vincenzo era il padre di tutti. Ho dovuto imparare a non amarlo. Io non potrò mai odiarlo, come credo tutti quelli che hanno fatto parte di San Patrignano. È difficile odiare una persona che ti hanno insegnato ad amare per tanti anni… Ho capito che ciò che è successo è avvenuto per “colpe” di tanti, anche perché quando a una persona viene lasciato il potere che spetta solo a Dio, e cioè di decidere sulla vita delle persone, può accadere che si perda il lume della ragione…

Oggi, una volta adulta e fuori dalla comunità, come ritoccheresti il ritratto di quel “padre di tutti”?

Come quello di un uomo con troppo potere. E non parlo di denaro, bensì mediatico, decisionale e soprattutto politico. Una cosa che non va bene a San Patrignano e in nessun’altra parte del mondo…

Quando parli di potere politico a cosa ti riferisci?

Parliamo, ad esempio, di duemila ragazzi che hanno diritto al voto e che alle loro spalle hanno genitori, nonni, parenti e amici… Ecco, allora, che il numero di potenziali votanti si fa interessante… Sicuramente non posso dire che i ragazzi erano costretti a votare ciò che il capo indicava, anche perché ero troppo piccola per capirlo. Però se ad esempio il tuo capo ti dice che una certa parte politica si sta adoperando per il bene della comunità… Magari aggiungendo: se vi va di darle una mano…

Qual è il ricordo che più ti ha segnato nella lunga permanenza in un posto capace sì di salvare tante vite dalla droga ma nello stesso tempo intriso di dolore, regole rigide, insidie, violenze e purtroppo anche morte?

Se fosse possibile vorrei citare www.lamappaperduta.com, un sito dal quale noi abbiamo acquisito numerose testimonianze. Tra cui quelle di aguzzini e persone sieropositive con i giorni contati e quindi desiderosi di un’ultima dichiarazione. Il tutto, come dicevo, raccolto da questi ragazzi che hanno dato poi vita al sito. Tornando alla tua domanda mi ricordo in particolare le punizioni in sala mensa.

Cioè?

Sberle, che per me erano una cosa normale…

A te vietarono di indossare i pantacollant…?

C’erano delle regole anche sul modo di vestire. Occorre ricordare, però, che all’epoca a San Patrignano non c’erano figure specifiche e preparate.

A cosa ti riferisci?

Non c’era ad esempio uno psicologo oppure un assistente sociale, era tutta gente di San Patrignano che a “sentimento” imparava a svolgere un lavoro o un compito. Le regole, dunque, venivano create al momento e in quel momento si pensava che anche le forme fisiche di una bambina potessero “disturbare” o solleticare fantasie particolari… Anche perché a San Patrignano vigeva l’astinenza sessuale.

Quando uscivi per andare a scuola i compagni che non vivevano in collina quale atteggiamento assumevano?

In realtà io mi consideravo una privilegiata, una bambina speciale insieme agli altri ospiti speciali che abitavano la collina… Da piccola non ho mai notato alcuna differenza nei rapporti. Ho capito che qualcosa non andava a dieci anni, quando mamma e papà mi dissero di non dire a scuola che vivevamo a San Patrignano. Ti potrebbero trattare in modo diverso, mi dissero…

Come interpretasti quella raccomandazione?

Pensai: Perché mai dovrebbero trattarmi in modo diverso? A quel punto iniziai a capire che qualcosa non andava…

È vero che a 14 anni promettesti ai tuoi genitori che un giorno avresti raccontato la vostra storia in un libro?

Proprio così, una promessa fatta non appena venni a conoscenza della storia mia e della mia famiglia.

Quale fu il tuo primo pensiero dopo aver conosciuta la verità?

Che il protagonista della mia storia sarebbe dovuta essere mia madre… Nel libro, invece, per poter collegare il tutto lei diventa una bambina. Ero molto affascinata dalla sua figura, una donna molto forte ma anche molto algida. Nei miei confronti, infatti, non è stata mai particolarmente coccolona.

Chi consigliò San Patrignano ai tuoi genitori?

All’epoca la notorietà della comunità era appena esplosa, se ne parlava tanto in giro. Mia madre era andata a San Patri-gnano per raggiungere il suo ex marito mentre mio padre era stato indirizzato dai suoi genitori.

Quindi si conobbero a San Patrignano, dove tra l’altro non era consentito instaurare relazioni sentimentali…

Proprio così. Infatti si potrebbe dire che io sono una clandestina tra i clandestini della società…

Bisognava chiedere il permesso…

Sì, ma loro non l’hanno fatto e si sono amati clandestinamente…

Dei due tua madre era la più ribelle, una volta era anche riuscita a fuggire…

Sì e una volta riacciuffata fu rinchiusa per una settimana in piccionaia…

In piccionaia?

Esattamente, veniva chiamata così una gabbia per piccioni…

C’erano altri oggetti o luoghi utilizzati per le punizioni?

Il tino, ovvero una botte messa di traverso, la pellicceria, il canile, la macelleria… Si finiva in quei luoghi se disubbidivi, se fuggivi, se rispondevi male. Le punizioni, però, non avevano uno standard comune. Può darsi, ad esempio, che se lasciavi il piatto per la terza volta in un certo modo finivi una settimana dentro il tino…

Tua madre perché era scappata?

Mia nonna mi ha raccontato che le fece avere di nascosto delle sigarette, anche se mia madre continua a parlare di cioccolata… Forse perché sa che sono contraria al fumo. Fatto sta che la scoprirono con la “merce illegale” rinchiudendola per punizione nella piccionaia.

La famiglia Moratti è stata da sempre vicina alla comunità. Fu proprio l’ex sindaco di Milano, Letizia Moratti,  a ricondurre tua madre a San Patrignano…

Proprio così, venne in macchina da Milano fino a Rimini per ritrovarla e riportarla personalmente a San Patrignano. I Moratti ci hanno sempre creduto tanto mostrandosi particolarmente sensibili e generosi nei confronti della comunità e dei suoi ospiti.

Anche tu, quella volta che ti ritrovasti con la calce negli occhi, ricevesti un prezioso aiuto da Letizia Moratti…

È vero. Fui fortunatissima che i Moratti si trovassero a San Patrignano in quel momento e che avessero il jet privato. A me piaceva molto giocare nelle stalle e in quel periodo stavano espandendo i locali e quindi c’era della calce in polvere vicino ai ricoveri degli animali. Quando davo da mangiare alle mucche prendevo con una paletta la farina dai sacchi. Feci così anche quella volta, però sbagliai contenitore e anziché la farina misi la calce nella paletta… A quel punto la mucca, trovandosi davanti un cibo poco gradito…, soffiò con forza sulla paletta gettandomi la calce negli occhi… Ricordo un dolore tremendo, gli occhi oscurati e il sangue nella gola… Non vedevo più… A Rimini non erano attrezzati per quel tipo di problema, così grazie al tempismo e alla generosità dei Moratti mi trasferirono d’urgenza a Milano con l’aereo privato per essere operata. Dopo tre settimane mi tolsero le bende e fortunatamente tornai a vedere. Letizia Moratti la ricordo come una donna molto dolce.

Oggi, guardandoti indietro, ti senti di rimproverare qualcosa ai tuoi genitori?

No, assolutamente nulla. Come anche a tutti quelli che ho conosciuto e che mi hanno dato la possibilità di essere quello che sono ora. Come puoi rimproverare persone che per vari motivi sono entrate in un tunnel di sofferenza e disperazione e che per uscirne hanno pagato anni della loro vita? La dipendenza, infatti, non è solo un dolore fisico, che tra l’altro puoi toglierlo in fretta. È quello che hai nella mente e nell’anima che ti distrugge… Per me, dunque, sono degli eroi, e non parlo solo dei miei genitori. Chi ne esce fuori merita il massimo rispetto.

Che rapporto hai con i tuoi?

Ottimo. Si sono separati ma tra loro c’è una bellissima e profonda amicizia. Tra l’altro mio padre mi ha “regalato” un fratellino che oggi ha sei anni…

Come hanno preso l’uscita del libro?

Inizialmente erano molto spaventati, d’altra parte è difficile scrollarsi di dosso la paura di quel periodo… Ragazzi, gli ho detto – li chiamo così quando siamo insieme – questa è una storia romanzata che racconta una parte dell’Italia.

Temevano qualche “ritorsione” nei tuoi confronti?

Sì, e ho detto loro di stare tranquilli in quanto non siamo più in quegli anni e nessuno mi avrebbe fatto del male.

Hai mai avuto il desiderio di tornare a San Patrignano?

Certamente, è un luogo meraviglioso, una struttura incredibile. Per lavoro vado spesso all’estero ma non credo di averne mai viste di strutture così. Ci sono tornata con il mio amico Cedrola. Dopo l’uscita di scena di Andrea Muccioli e quindi l’avvento della nuova fondazione creata su iniziativa dei Moratti, ho chiesto di poter tornare a vedere i luoghi della mia infanzia e molto gentilmente mi hanno accontentato. È stato bellissimo tornare a casa…

Sapevano del libro che stavi scrivendo?

No, e credo che se l’avessero saputo forse, giustamente, non mi avrebbero fatto entrare… Ad accompagnarmi nella visita è stato il mio ex baby sitter della comunità, una persona che è dentro il cerchio delle persone a cui voglio più bene.

I tuoi genitori sono completamente usciti dal tunnel della droga?

Assolutamente sì, da molti anni, subito dopo aver lasciato San Patrignano.

Quindi la comunità anche con loro ha funzionato…

Su questo argomento da anni c’è un grande dibattito e sinceramente non so cosa rispondere. Mia madre, ad esempio, dice di avercela fatta nonostante San Patrignano, forse perché a quei tempi esistevano già altri metodi più “dolci”, privi cioè di violenze, vessazioni e paura. Chiaramente, però, la comunità doveva essere di piccole dimensioni mentre San Patrignano si è espansa quasi in maniera incontrollabile. Lei dice che alcuni suoi compagni sono usciti dalla dipendenza dopo due anni senza portare dentro quel tipo di ferite… Io, osserva mia madre, sono stata a San Patrignano dodici anni uscendo fuori senza poter contare su una lira di contributo. Certo, mi avete dato vitto e alloggio ma voi siete una comunità di recupero e a un certo punto, quindi, il recupero deve finire. Non essendoci però psicologi e personale specializzato, a chi spettava il compito di fissare una data? Si navigava un po’ a vista, a sensazione. Io, quindi, ho trascorso dodici anni in quel luogo senza che mai nessuno fissasse una data di “fine recupero”. Nessuno che mi dicesse ok, sei pronta, esci fuori, trovati un lavoro e rifatti una vita. In questo periodo, dunque, sto riflettendo molto su questo. Dodici anni sono tanti e una persona entrata in comunità, ad esempio a vent’anni, una volta fuori, a trentadue anni fa veramente fatica a specializzarsi in qualcosa e a trovare un lavoro in quanto non ti rilasciano neanche un attestato.

Che lavoro svolgeva tua madre?

Lavorava in fotolito ma quando è uscita non aveva nulla in mano… Certi aspetti, dunque, non hanno avuto un’evoluzione controllata. Dodici anni senza un contributo per la pensione e senza un cosiddetto pezzo di carta alla fine pesano, ti lasciano dentro interrogativi che ti consumano. Sì, sono uscita dalla dipendenza ma a che costo? Siamo sicuri che non avrei potuto farlo maturando però qualche beneficio anche sul piano lavorativo? Ci tengo a precisare, comunque, che questa è solo un’opinione personale, anche perché tante persone intervistate, e dico tante, hanno parlato benissimo ed erano felicissime di San Patrignano. In questa storia il rincorrersi del bianco e del nero, allora, necessitava di una persona lucida che con occhi diversi potesse raccontare questa vicenda. E Andrea Cedrola l’ha fatto meravigliosamente.

Della droga e delle sue tante vittime che idea ti sei fatta?

Anche in questo caso ci sarebbe da scrivere un romanzo… L’eroina ha avuto il suo boom nel periodo cosiddetto caldo, quando cioè iniziavano a esserci i veri tentativi pesanti di colpo di stato… Le testimonianze raccolte disegnavano all’epoca uno scenario dove lo stato avrebbe in qualche modo chiuso gli occhi. Come dire, ma sì, facciamoli calmare… Lasciamo loro questa sorta di sedativo… Poi, però, sempre secondo i sostenitori di questa teoria, le cose sarebbero sfuggite di mano con tutte le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. E la droga, purtroppo, oggi c’è ancora, ha solo cambiato nome… Essa può essere anche una sigaretta oppure l’alcol o anche il gioco. Qualunque tipo di dipendenza può metterti al tappeto e il rischio è sempre dietro l’angolo.

Quale consiglio, allora, per evitare le tante trappole?

Dare consigli è sempre difficile. Le persone che abbiamo intervistato in questi anni di ricerca si vergognavano di raccontare la loro storia… Tanti, infatti, non hanno voluto che li riprendessimo o che scrivessimo i loro nomi.

Perché

Perché il marchio di ex tossico pesa su di loro come un macigno. Se tu rubi una macchina non resti un ex ladro per tutta la vita… Come mai? Se picchi tua moglie non resti un ex violento per tutta la vita. Come mai? Tu, invece, ti sei fatto del male da solo ma per tutta la vita resti un ex tossicodipendente… Sai allora che ti dico?

No…

Queste persone potrebbero andare nelle scuole e dire agli studenti: a me è successo questo, questo e questo. Poi, però, con l’aiuto di questo, questo e questo ho capito che stavo sbagliando e ne sono uscito fuori. Sono certa che se un ragazzo vedesse gli occhi di una persona che ha vissuto l’inferno ma che ora ne è uscita e sta bene ne resterebbe colpito. Molto di più se a raccontarglielo fosse una maestra o una insegnante che, buon per lei, nel corso della vita non ha avuto mai nulla a che fare, neanche di striscio, con il problema droga. Oppure le solite immagini del telegiornale con dei ragazzi che ballano in discoteca e il sermone finale sulle droghe… Tu chi sei per dirmi questo? Io non mi fido di te che mi guardi dall’alto… Ripeto, a mio avviso bisognerebbe dare grande considerazione a quelli che io chiamo “gli eroi della società”, persone che tra tante sofferenze e dolore sono riuscite a farcela.

Se fossi madre di un ragazzo finito nel tunnel della droga, lo spingeresti a entrare in comunità?

Sì, ma sceglierei con molta attenzione la comunità. Quella della comunità, infatti, è una terapia che funziona. A mio parere, però, in Italia non ci sono ancora abbastanza controlli; alcuni centri sono veramente straordinari altri, invece, meno. Bisognerebbe solo capire come controllarli tutti nel modo giusto. L’opzione comunità è una terapia, però ce ne sono anche altre, di conseguenza bisognerebbe trovarsi davanti a questo problema per capire meglio quale strada seguire. Si tratta, infatti, di un dramma enorme, non solo per chi fa uso di droga ma anche per i genitori e la famiglia tutta.

Senza quell’esperienza a San Patrignano oggi Andrea Delogu che ragazza sarebbe?

Sicuramente molto più incosciente. E probabilmente non avrei questa grande voglia di condividere qualsiasi cosa. Forse proprio per questo mi piacciono così tanto i social, avverto il bisogno di scrivere e condividere ogni mia cosa. Anche quando trovo un locale dove si mangia bene sento di doverlo comunicare al mondo intero…

Rimpiangi qualcosa di quel periodo?

In comunità avevo un fidanzatino, Mattia, di cui ero innamoratissima. A distanza di anni ogni tanto ancora ci penso. All’epoca ascoltavo le canzoni di Claudio Baglioni e m’immaginavo la vita con Mattia… A parte questo dolce ricordo, credo che il rimpianto più grande sia il fatto di non aver potuto rivedere spesso i miei amici.

Sull’opportunità di pubblicare questo libro hai maturato invece qualche pentimento?

Niente, nulla. Sono felicissima di averlo fatto, mi sono tolta un peso enorme. E la cosa più bella sono le tante persone che mi hanno scritto, su facebook, sul mio sito. Sia i genitori che sono tornati ad accettare e quindi ad avere un rapporto con i figli vittime della droga, sia i tanti ragazzi e ragazze, alcuni con la mia stessa storia e che attraverso il libro hanno ricevuto un po’ di luce… Sono arcicontenta che sia passato questo messaggio.

Che rapporto hai con la fede?

Credo all’esistenza di Dio. Non mi sono mai soffermata a pensare sotto quale forma debba immaginarmelo, ma so che c’è. Se uno imposta la propria vita nella ricerca del bene comune e nell’agire senza pensare a ottenerne un ritorno, Dio in cambio ti dona il giusto equilibrio interiore che ti rende felice. Quando io e Andrea Cedrola abbiamo deciso di mettere in piedi questo progetto non abbiamo minimamente pensato al tipo di contratto da stipulare, alle varie percentuali di guadagno e così via. A noi interessava solo pubblicare un lavoro che fosse degno delle storie e delle testimonianze di quanti avevano messo in gioco la loro vita.

Dopo la pubblicazione del libro hai ricevuto qualche minaccia?

Sì, ma sono cose a cui non do alcun peso. Tra l’altro non sono neanche persone che vivono a San Patrignano e che magari avrebbero avuto il diritto di chiedermi conto di qualcosa. Gli unici interlocutori che avrebbero potuto muovermi delle obiezioni, infatti, sono gli amici che sono cresciuti con me o quelli che mi hanno vista crescere in comunità. Persone che potrebbero avere un’opinione diversa dalla mia ma che non arriverebbero mai a minacciarmi o insultarmi.

Oggi sono trascorsi ventidue anni dal giorno in cui la sbarra posta all’uscita di San Patrignano si è abbassata dietro di te… Cos’hai trovato oltre la collina…?

Una nuova vita. Ho dovuto ricominciare ed è stato come un gioco perché ho dovuto capire e imparare le nuove regole di una vita al di là della collina… Una parte di me, però, sarà sempre lì. Quella bambina felice resterà per sempre su quella collina. Lì ho trascorso un periodo stupendo della mia vita.

Ora qual è il tuo sogno nel cassetto?

Vorrei tanto che questo libro si trasformasse in tante immagini, che diventasse un film. I passi, però, vanno fatti uno alla volta… Per il momento, allora, io e l’altro Andrea ci godiamo il libro…