La ricchezza di particolari con cui gli evangelisti raccontano il processo civile dimostra che lo ritengono essenziale. È il momento decisivo, perché ri-guarda l’accoglienza o il rifiuto del Salvatore atteso.
Pilato vuole liberare Gesù. Lo dice e lo dimostra inventando scappatoie a sorpresa. I giudei sono altrettanto tenaci nell’esigerne la morte. Hanno chiamato Gesù malfattore, poi hanno liberato un malfattore al suo posto. Nel racconto di Giovanni, il procuratore fa finta di non dare importanza alla scelta di Barabba. La sua fantasia ricorre a nuovi espedienti. Fallito quello del baratto, prepara una scena di grande effetto spettacolare: Fece prendere Gesù e lo fece flagellare, 19,1. Dopo l’inaspettata scelta di Barabba, scompare all’interno del pretorio lasciando in sospeso la folla e i capi. Forse per qualche ora, visto che alla flagellazione seguirà un arbitrario trattenimento burlesco dei soldati. L’attesa aumenta la tensione emotiva.
Tutti gli evangelisti parlano della flagellazione, ma nessuno la descrive. Luca neppure la nomina perché non conviene alla sua immagine di Gesù. La fa solo intuire dalle parole di Pilato, che si dice disposto a castigare Gesù per dare soddisfazione agli avversari. Lo punirò e lo rimetterò in libertà, 23,22. Punire perché, e di che cosa?
Matteo e Marco la collegano alla sentenza di morte, com’era di prassi. Pilato dopo aver fatto flagellare Gesù lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso, Mt 27,26. Il condannato alla croce veniva flagellato per preparare il corpo all’inchiodamento. I dolori erano attutiti, e la morte accelerata.
La meditazione sulla Passione ha dato sempre importanza alla flagellazione. Ad essa è dedicato un mistero del rosario. Era una pena tremenda. La legge ebraica la conteneva entro quaranta colpi di flagello, ma l’usanza romana non prevedeva limiti. A volontà dei flagellatori e secondo la resistenza del condannato. Questi era legato a una bassa colonna che offriva la schiena alle percosse. I flagelli erano strisce di cuoio o mazzi di corde che potevano terminare con teste di ferro. Sotto quei colpi si poteva anche morire. I romani la infliggevano solo agli schiavi e agli stranieri.
È un momento impressionante per la superficialità con cui è stato deciso e per il dolore fisico e morale della persona del condannato. Pilato l’ha permessa senza motivo, dopo aver dichiarato più volte che Gesù è innocente. Oggi quando vediamo o leggiamo di bambini maltrattati o di persone percosse durante i conflitti, la nostra sensibilità reagisce con raccapriccio. Eppure trattamenti simili hanno avuto luogo per millenni tra gli esseri umani. Gesù ha condiviso anche questi dolori dell’umanità. Nel Getsemani ha sperimentato le nostre angosce e solitudini. Nel processo condivide il nostro essere incompresi e strumentalizzati. Nella flagellazione prova i dolori a cui è sottomesso il nostro corpo.
Il corpo umano è opera di Dio, ma a causa del peccato può trovarsi a dover sopportare oceani di dolore: le malattie, le operazioni chirurgiche, le guerre con le pulizie etniche, le armi che lacerano o bruciano, le camere a gas, gli stupri e ogni genere di sfruttamento. Ci fanno orrore le flagellazioni antiche, ma il progresso della civiltà ha raffinato anche i flagelli che tormentano il corpo umano, compresi quelli derivanti dall’impiego distorto delle sue funzioni positive: la sessualità, il mangiare, il lavorare, il divertirsi. Il silenzio di Gesù esprime la dignità con cui si può sopportare per amore anche l’ingiustizia, ma nello stesso tempo denuncia tutte le violenze e gli abusi del corpo e sul corpo. Senza dimenticare che la flagellazione è anche dolore morale, perché segno del rifiuto di chi l’ha voluta.
Ciascuno può trovarsi nel dolore che afferra il corpo e ne lacera le membra in modo anche insopportabile. In questi frangenti la fede può guidarci a sperimentare la vicinanza del Cristo sofferente della Passione. Passato anche lui in queste strettoie della vita umana, resta lì ad attenderci quando ciascuno ci passerà. Anche in questo stranissimo periodo della storia, nel quale i nostri corpi sono sottoposti ai limiti della libertà, ai brividi della paura, alle flagellazioni della malattia, allo stress per assisterla e combatterla, e spesso all’umiliazione della morte a causa di un virus che la scienza non riesce a debellare.