ROMA (OLIMPICA) ALLA FINESTRA

Vent’anni dopo quella che possiamo ben definire la grande delusione, Roma mette di nuovo il naso alla finestra e ritenta la carta delle Olimpiadi. Nel 2004, come si ricorderà, il Comitato olimpico internazionale assegnò i Giochi ad Atene, che premeva da tempo e che avrebbe voluto ospitare la grande manifestazione già nel 1996, per celebrarne il centenario, ma che, per la prevalenza di altre logiche, quell’anno si era vista soppiantata da Atlanta. Quattro anni dopo, Sydney soffiò l’organizzazione dei Giochi a Roma che ambiva gestirli nel ricordo quarantennale dell’Olimpiade del 1960. Dopo Atene 2004, c’è stata l’operazione Nido d’uccello (tale era il nome dell’inutilmente avveniristico stadio costruito nella capitale cinese, vera e propria cattedrale nel deserto), vale a dire i Giochi di Pechino, assegnati alla Cina non senza polemiche prima, durante e dopo, ed è un dopo che dura ancora, non solo negli ambienti direttamente interessati. Per la convenzione, non scritta ma quasi sempre applicata, dell’alternanza geografica tra continenti, dopo l’europea Londra 2012 e l’americana Rio de Janeiro 2016, l’assegnazione dei Giochi del 2020 dovrebbe toccare a una città del vecchio continente. È anche per questo, ma non solo per questo, che la candidatura di Roma sta prendendo piede. E per la quale, dopo il secco, quasi infastidito, no del governo Monti, sia l’esecutivo Letta che quello Renzi hanno mostrato attenzione.

L'ECO di San Gabriele
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