Il Giubileo della Comunicazione
“UN’INFORMAZIONE LIBERA, RESPONSABILE E CORRETTA – SOTTOLINEA PAPA FRANCESCO – SIA UN PATRIMONIO DI CONOSCENZA, DI ESPERIENZA E DI VIRTÙ CHE VA CUSTODITO E PROMOSSO. VOI COMUNICATORI AVETE UN RUOLO FONDAMENTALE PER LA SOCIETÀ OGGI, NEL RACCONTARE I FATTI E NEL MODO IN CUI LI RACCONTATE”
Per papa Francesco il mondo della comunicazione “è vitale”, soprattutto in questo tempo in cui viviamo un momento difficile della storia dell’umanità, con il mondo ancora ferito da guerre e violenze, dallo spargimento di tanto sangue innocente. “Per questo – sono sempre le parole del Papa – voglio prima di tutto dire grazie a tutti gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra. Desidero ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno sacrificato la vita in quest’ultimo anno, uno dei più letali per i giornalisti. Preghiamo in silenzio per i vostri colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue. Voglio poi ricordare insieme a voi anche tutti coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Sono tanti! Ma in questo Anno Santo, in questo giubileo del mondo della comunicazione, chiedo a chi ha potere di farlo che vengano liberati tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati. Sia aperta anche per loro una ‘porta’ attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi. La loro libertà è libertà per ognuno di noi”.
Il Giubileo della comunicazione, celebrato lo scorso 25 gennaio da moltissimi operatori dei media accorsi a Roma per vivere una giornata molto particolare, è stato il primo dei grandi eventi giubilari di questo lungo Anno Santo. Non a caso il primo. Perché, solo dalla percezione di una vera comunicazione, la democrazia, la libertà e la dignità dell’uomo saranno salve.
Il mondo dei media da alcuni anni vive un processo di trasformazione, ormai irreversibile. Assorbito quasi completamente dalle new digitali, fatica a trovare una sua strada dove poter costruire le nuove fondamenta della comunicazione 2.0, e assalito dalle fake news che su un certo tipo di comunicazione, veloce, senza filtri e quasi senza morale, affonda le sue radici.
Nel percorso a ostacoli che i media attraversano oggi, ne risente in modo particolare la cosiddetta stampa cattolica, quella che, almeno nel secolo passato, aveva fatto la storia dell’informazione in Italia. I giornali diocesani stanno in gran parte chiudendo e quelli che rimangono in vita soffrono la mancanza di prospettive future. La crisi è economica, senza dubbio, ma anche prima i giornali costavano. Solo che l’attenzione generale del mondo cattolico era molto più vigile sotto questo aspetto. Rimangono come impatto e tirature, il quotidiano edito dalla Cei, qualche periodico del gruppo San Paolo e di qualche altra congregazione religiosa, una rivista storica che si è dovuta reinventare per essere ancora sul mercato, e ovviamente i media del Vaticano. Ma, sostanzialmente, la crisi c’è e arriva a tutti: Chiese locali, associazioni, movimenti, congregazioni religiose. E ognuno risponde a modo suo, marcando però in questo modo uno dei tratti salienti della crisi che vede le singole realtà ed esperienze muoversi per conto proprio.
Papa Francesco, nel discorso rivolto ai giornalisti durante il Giubileo, ha ripetuto come un’informazione libera, responsabile e corretta sia un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso. “Voi comunicatori avete un ruolo fondamentale per la società oggi, nel raccontare i fatti e nel modo in cui li raccontate”. Abbiamo bisogno, dunque, di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità.
Perché questo si concretizzi è sempre più urgente un impegno comune, un lavoro in rete, con attenzione costante alle persone e alle comunità. La Chiesa italiana, per esempio, già lo fa dal 1991, grazie ai fondi dell’8xmille, in 72 Paesi per 178 milioni di euro ha sostenuto 1.616 progetti rivolti in modo specifico proprio alla comunicazione. Interventi che aiutano a condividere e moltiplicare speranza, legata a un progetto comunitario, attraverso il racconto di storie e testimonianze. Storie di cambiamento, come quelle contenute nel documentario prodotto dalla Fondazione Fontana ME, WE Only Through Community, che nascono nel contesto africano del St. Martin, un’organizzazione che da 25 anni a Nyahururu, 200 km a nord di Nairobi, sugli altopiani del Kenya si prende cura e valorizza le persone più vulnerabili. Oppure con l’esperienza in Messico di Radio Huaya, un’emittente comunitaria, avviata per raggiungere i contadini in condizione di povertà ed emarginazione. Dal 1973 i gesuiti hanno ampliato il piano educativo che trasmette da Huayacocotla, a 2.200 metri di altitudine, in 4 lingue: spagnolo, nahuatl, otomì e tepehuas. È stato così possibile tenere unite e restituire la parola alle comunità indigene, migliaia di persone di oltre 1.300 villaggi e 140 municipi, riuscendo anche ad ottenere la restituzione di 5.000 ettari di terre sottratte ai contadini. Così Radio Huaya da radioscuola è diventata radio sociale: partecipazione politico-civica della comunità, difesa del territorio e riaffermazione dei diritti.
Raccontare, allora, storie di speranza, storie che nutrono la vita. È questo il compito che ci aspetta. “Il vostro storytelling – scrive il Papa – sia anche hopetelling. Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza. Significa accorgersi dei germogli che spuntano quando la terra è ancora coperta dalle ceneri”. Insomma, raccontare la speranza, significa condividerla. “Questa è – come direbbe san Paolo – la vostra buona battaglia”.