A questo punto della nostra storia, di quella, sportiva, che il cronista è solito raccontare nel mese di giugno, avremmo dovuto scrivere di ruote e pedivelle, di capitani e gregari, di salite dolomitiche e tappe a cronometro. Perché, appunto a giugno, lo sport inneggia sì al calcio di campionato nella sua fase finale, ma celebra tradizionalmente il ciclismo, che in Italia si identifica tout court con il Giro. La ben nota e invasiva pandemia, come si sa, ha invece dirottato la grande corsa nazionale ad altro tempo, si presume all’autunno secondo il nuovo calendario messo a punto dalla federazione internazionale.
E il calcio? Il calcio (potremmo chiosare: non ci facciamo mancare proprio nulla…) s’è attirato non poche reprimende, anche da chi, attento come avrebbe dovuto essere alla globalità del “sistema sport”, s’è lasciato andare a poco commendevoli rimbrotti, ancorché sia giusto ricordare la “linea di prudenza” adottata dal Comitato tecnico scientifico le cui indicazioni “stringenti e vincolanti” sono state trasmesse alla federazione “per i doverosi adeguamenti del Protocollo in modo da consentire la ripresa in sicurezza degli allenamenti di squadra. E poi? Intuire quel che potrà avvenire, nello sport e nel calcio, ma soprattutto nella nostra vita di cittadini, è praticamente impossibile: frasi come “si naviga a vista” sono state, e drammaticamente sono tuttora, all’ordine del giorno, nessun dirigente, nessun politico, nessuno scienziato, essendo in grado di dare certezze. E in questa situazione magmatica, i vertici calcistici si sono distinti per dare corpo al nulla, consentendo ai media di trastullarsi dalle “trasferte” della famiglia di Cristiano Ronaldo alle improbabili vicende del cosiddetto calciomercato, fino al fastidioso bailamme scatenato (suo malgrado?) dalle intemerate affermazioni di Chiellini contro l’Inter e Balotelli.