di Samantha Harvey,
Traduzione di Gioia Guerzoni,
NN Editore, pp. 176, euro 18,00
Sulla stazione spaziale il tempo scorre in modo differente. Albe e tramonti si rincorrono senza sosta, cime innevate lasciano il posto al blu profondo degli oceani; di notte le luci artificiali disegnano continenti luminosi, senza confini e soluzioni di continuità.
La sensazione che si ha leggendo Orbital è che i sei astronauti protagonisti, esperti abitanti dello spazio, non riescano a staccare gli occhi dalla Terra. È il ribaltamento del paradosso del nostro presente: la corsa allo spazio, la ricerca del pianeta del futuro che non rispetta abbastanza quello già vivo, o almeno non abbastanza da salvarlo. Eppure quando a Pietro, unico cosmonauta italiano, viene
chiesto di pensare a un oggetto terrestre di cui senta particolarmente la mancanza, la risposta non lascia spazio a equivoci: “Un tappeto. Così me ne starei disteso, a sognare lo spazio”. Una risposta accolta da tutti gli abitanti della stazione internazionale, che mentre viaggiano spediti verso la Luna pensano alla vita che li attende a casa (o almeno, in una casa). Non cambierebbero la loro missione con nulla al mondo, se non con il mondo stesso.