NIENTE ATTENTATI ISIS? RINGRAZIAMO L’ANTISTATO…

intervista a Oliviero Beha
By Gino Consorti
Pubblicato il 3 Gennaio 2017

“In questi anni siamo stati risparmiati dAll’Isis perché abbiamo un efficiente servizio di sicurezza – osserva il famoso scrittore, giornalista e conduttore dello storico programma Radio Zorro – oppure perché il controllo del territorio è affidato alla Camorra, alla ‘Ndrangheta e a Cosa Nostra che realizzano affari anche con questi qui e quindi non si fanno la guerra…? Queste cose le sanno tutti però naturalmente salterebbe il banco se si dicesse che la mancanza di attentati è dovuta all’antistato che gestisce il tutto…”. Si annuncia un successo il suo ultimo libro Mio nipote nella giungla – Tutto ciò che lo attende (nel caso fosse onesto)

Radio Zorro è il suo marchio di fabbrica. Un programma di servizio di RadioRai nato nel 1992 il cui successo ha toccato livelli mai più raggiunti da altre trasmissioni. Uno straordinario contenitore dove venivano denunciati i disservizi, pubblici e privati, e dove il conduttore Oliviero Beha tentava di risolverli in diretta. Oltre centomila richieste di intervento, con una media di 300 telefonate in diretta nell’ora e mezza di trasmissione. E ancora migliaia e migliaia di lettere e fax a testimonianza di un incredibile rapporto attivo e di fiducia con la gente. E tra i numerosissimi estimatori e habitué radiofonici del programma c’era anche papa Wojtyla il quale, come ha svelato lo storico direttore della sala stampa vaticana Joaquín Navarro Valls, credeva di ascoltare una trasmissione comica visti gli argomenti trattati. Casi surreali che sembravano nascere, secondo il pontefice, dalla fertile mente di un ottimo conduttore-comico. Pur-troppo, però, ahinoi, erano reali, figli di un paese pieno di contraddizioni, storture, illegalità, soprusi, eccetera, eccetera…

Ovviamente Oliviero Beha è anche uno scrittore di successo e un giornalista dalla penna vivace e intelligente, cultore della lingua italiana, profondo conoscitore del tessuto italiano, dei vizi del sistema, del mondo dell’informazione e tanto altro ancora. Nasce come giornalista sportivo per poi diventare un apprezzato commentatore e studioso della società a tutto tondo firmando inchieste e speciali televisivi in Italia e all’estero. Autore di numerosi libri, testi teatrali, stimato docente universitario, brillante relatore in convegni prestigiosi e vincitore di premi di assoluto livello. Due lauree, tanta gavetta e soprattutto tanta censura. Proveniente da destra, dal centro e da sinistra, tanto per non scontentare nessuno… Tutti contro il fustigatore di costumi, intrallazzi, abusi, prepotenze, spartizioni e via su questa strada. Il pensiero, però, si sa, non può essere imprigionato ed ecco allora che nel corso degli anni tramite i suoi scritti Oliviero Beha è riuscito comunque a farsi sentire, mostrando doti di autentico cantore, così come le aveva definite il premio nobel Dario Fo. E proprio qualche settimana fa ha mandato in libreria il suo ultimo lavoro Mio nipote nella giungla – Tutto ciò che lo attende (nel caso fosse onesto) – Chiarelettere, pp.168, ero 15,00. Un manuale appassionato di sopravvivenza pratica e intellettuale che non nasconde i pericoli senza consegnarsi alla rassegnazione. Il tutto prende spunto dall’arrivo in casa dell’amato nipotino che, come d’incanto, da uomo “immortale” lo ha trasformato in un nonno alle prese con il futuro che diventa presente. Ed ecco allora che Beha, attraverso la geniale metafora della giungla si butta in un’impresa particolarmente ardua, ma nello stesso tempo gratificante e soprattutto necessaria: tirare fuori dalla “provetta” del suo sapere e della sua esperienza una sorta di “vaccino” per il suo e per tutti i nipoti d’Italia che si affacciano al mondo.

Puntuale come pochi, mi riceve di buon’ora a casa sua, in una capitale sferzata dal freddo. Il nipotino è ancora nelle braccia di Morfeo, quindi posso premere il tasto del registratore e interrogarlo. Ovviamente a bassa voce…

Quale meccanismo l’ha spinta a scrivere un libro il cui interlocutore è un bimbo di due anni?

Quando solitamente si ha un’età in cui si è troppo occupati a pensare a sé, inconsapevolmente si pensa alla propria immortalità e quindi non ci si vede nel tempo. Un nipote, dunque, arriva nel momento in cui -almeno è quello che è successo a me – uno inizia a fare i bilanci anagrafici della propria vita. E un bambino che gira per casa e inizia a parlare e ad avere delle esigenze ti mette in condizione di pensare all’esistenza che continua. Da questo punto di vista nasce l’idea di pensare al futuro, è come se questo bambino mi avesse permesso di evadere da me stesso per rivolgermi agli altri.

La ricognizione di ciò che vede dalla sua finestra quali chiavi di lettura offre al lettore?

Vedo liane su liane, una giungla fitta che però non è soltanto esteriore, anzi è soprattutto interiore.

Cioè?

Mi chiedo e le chiedo: Ognuno di noi quanto tempo passa con se stesso? L’individuo che curiosità ha nei propri confronti? Mi riferisco al fatto di sapere chi è, nel bene come nel male, vedere dove può correggersi, cosa sta dando agli altri, cosa sta dando a se stesso. Questa è una forma di onestà intellettuale che non ha niente a che vedere o molto a che vedere, secondo i punti di vista, con l’onestà tradotta con un comportamento che non preveda reati giudiziari. Ed è molto più impegnativa perché va al nocciolo dell’essere umano.

Com’è nel suo dna anche questo libro, pur intriso di affetto per il piccolo nipote, non fa sconti a nessuno. Pagine crude ma necessarie. Perché?

Perché almeno lui ha diritto alla chiarezza. Nella mia categoria credo di essere conosciuto per uno che non fa sconti e che per questo atteggiamento ha pagato prezzi modestamente alti… Quando ero giovane tendevo, forse con un qualcosa che mi veniva da lontano, a fare un generico vittimismo della mia situazione. Però ho smesso presto, anche perché non serve a niente. Sono passato allora rapidamente a dirmi: ma se fai queste battaglie, principalmente per te, devi avere pure le spalle abbastanza larghe per sopportare determinate cose. Avendo allora pagato un prezzo pesante certamente al bambino devo raccontare tutto e soprattutto con chiarezza.

In questo immaginario viaggio nella giungla inizia col mettere sotto la lente   d’ingrandimento alcuni sentieri che rappresentano gli “elementi ponte” fondamentali tra la vita e la morte di un individuo: la sanità e quindi la salute, il cibo e la parola. Partiamo dal “capitalismo della salute”. Ancora oggi, al Sud, osserva amaramente, l’ospedale migliore è l’Alitalia…

In questo libro non ho bisogno di fare esempi o nomi, ce ne sono solo alcuni sul piano biografico perché li ho visti con i miei occhi e quindi mi sembrava propedeutico a quello che dovevo raccontare a mio nipote. Ho seguito la logica del bambino. Qual è la prima cosa di cui ci si preoccupa? Ovvia-mente la salute. Ecco, allora, che questa parola rimanda a una serie di considerazioni, a iniziare dall’idea che si ha della salute. E poi: coincide l’idea che si ha della salute con l’organizzazione sanitaria di questo paese? Ormai la sanità pubblica è una forma di marketing aziendale. Io faccio il paragone con il sarto: non è obbligatorio avere un sarto a cinque stelle per vestirsi, basta comperare roba decente… Per quanto riguarda la salute, invece, perché in un paese civile tutti non devono avere diritto a una salute a cinque stelle?

Vuol dire che oggi la salute è considerata alla stregua di una merce qualsiasi?

Esattamente. Non è più l’idea di una volta, è decisamente peggiorata sotto tanti punti di vista a iniziare dalla terminologia. “Azienda ospedaliera” è un termine che non lascia scampo a equivoci. L’ospedale non è un’azienda ospedaliera. Per carità, gli sprechi sono da evitare ma non c’è assolutamente bisogno che si trasformi in un’azienda. Anni fa l’attenzione verso il paziente e il rapporto umano erano assolutamente migliori.

Cosa in particolare deve temere il cucciolo che s’inoltra nella giungla della sanità pubblica?

Troverà diverse specie in agguato, soprattutto manager, direttori e primari di ospedali che sempre più dipendono dalla politica. Trovarne uno che non ha “legami” con la politica ma è lì solo per meriti significa imbattersi in un “miracolo”… Una volta era il contrario, oggi invece quello che non è stato segnalato dalla politica viene indicato come caso raro… Ecco allora che se il paziente, che ormai nella logica della salute come merce viene chiamato utente, non è presente a se stesso può succedere qualunque cosa…

Tipo?

Siamo arrivati a un punto, molto al di là del tollerabile, in cui sarebbe meglio che il paziente prima di essere anestetizzato indicasse la gamba da operare…

Passiamo al cibo.  I numeri della fame, osserva nel capitolo Mangio, dunque sono: ma chi? atterriscono all’istante e scompaiono un momento dopo…

Proprio così. Ogni anno nel mondo 3,1 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono per scarsa o mancanza totale di alimentazione. E il 45% dello spaventoso totale riguarda l’Asia e l’Africa. Senza dimenticare gli 800 milioni di denutriti e i 66 milioni di minori in età scolare che frequentano le lezioni a stomaco vuoto, 23 milioni dei quali sono in Africa… Evidente-mente questi e altri numeri sono talmente forti, stordenti e umilianti per il concetto di umanità che spariscono in un attimo in un pianeta dove trionfa lo spreco, l’obesità, il “recital degli chef”, l’improvvisa vocazione a “laureati della scienza gastronomica” a mezzo tv, in Italia e non solo.

In effetti ormai la televisione è inflazionata dalla presenza di chef, cuochi e piatti stellati…

È talmente malata l’idea di società che abbiamo che un giovane universitario una mattina si sveglia e confessa al genitore di voler lasciare, ad esempio la facoltà di Ingegneria, per andare a fare lo chef… Per carità può starci, però bisognerebbe fargli capire che non basta mettersi un grembiule e un cappello da chef per diventare il re della cucina famoso, ricco e stellato proprio come si vede in tv. È lo stesso discorso di chi pratica il calcio: quanti diventano bravi, ricchi e famosi come Totti, Messi o Ronaldo? La realtà e quindi i numeri dicono tutt’altra cosa… La sindrome della cucina contrapposta al discorso della fame nel mondo dovrebbe avere un effetto più che allarmante. Dovrebbe accendere la vergogna del singolo e della collettività e ovviamente della politica.

Eccoci alla parola. Bellissimo il suo aforisma introduttivo: La lingua non batte dove il dente duole. Batte, e basta. Anch’essa è diventata una regola commerciale? Sembra proprio che la parola non sia più necessaria in un mondo fondato sulla comunicazione…

Proprio così, risente della stessa legge della salute, è una merce. Adesso cos’è che si vende bene? La parola smozzicata che non faccia far fatica a chi l’ascolta, a chi la legge.

Perché gli esempi di Gomorra e Dov’è Mario?

Sono due serie televisive che hanno avuto successo, la prima in particolare, l’altra meno reclamizzata, ma entrambe utili al discorso che faccio sulla parola. Gomorra, al di là di altre valutazioni che non faccio nel libro in quanto non posso parlare di tutto, che altro è se non oralità gestuale? Ci sono suoni gutturali, addirittura per noi italiani c’è bisogno dei sottotitoli… Le parole sono trasformate in messaggi incomprensibili in un napoletano strettissimo. In realtà non parlano, esprimono dei suoni. In Dov’è Mario si coglie lo stesso fenomeno legato alla scomparsa della parola come l’abbiamo intesa e valorizzata o svalorizzata fino all’altro ieri, ma in modo opposto e addirittura più subdolo e contundente. Corrado Guzzanti, vero genio della comicità e della satira, mette in scena ridicolizzandolo un caso macroscopico di sdoppiamento della personalità.  Alla fine, però, non resta niente se non la parolaccia. La piazza tv si riempie di parlanti in realtà non parlanti, salvo quando Guzzanti dice parolacce, letterali, simboliche o liberatorie. Quelle restano impresse, divertendo più o meno, ma fungendo da cartelli segnaletici della storia.

L’argomento parola non può non considerare l’avvento delle nuove tecnologie… 

Una tecnologia che ha tanti pregi ma altrettanti rischi… Noi, infatti, siamo diventati protesi dei nostri smartphone… Un oggetto che non prevede un discorso articolato bensì smozzicato e questo mi ha portato nel libro ad approfondire un altro tema che è quello del pensiero. Cioè il tema centrale visto che la parola non è altro che la traduzione del pensiero. Se ci si orizzonta sempre più verso un mondo di pensieri smozzicati, che mondo ci attende? Se l’essere tecnologizzati e quindi così avanti su tante cose fa però restare dietro il pensiero, cioè una parte centrale di noi, appare lecita una domanda: stiamo andando avanti oppure indietro? Se le scoperte sono al servizio dell’uomo non c’è problema; se invece è l’uomo a essere al servizio delle scoperte, in questo caso perché si devono vendere i telefonini, capirà che siamo caduti dall’altra parte del cavallo…

Con internet quanto è alto il rischio di un nozionismo acritico capace solo di “ammobiliare il cervello”?

Nella vita in generale c’è poco tempo e credo che il mancato valore del tempo sia un altro dei grossi guai e danni di questa epoca. Noi non reggiamo la velocità dei cambiamenti. Internet, sempre per sintetizzare, è una lama senza impugnatura, cioè può essere utile per tante cose, può essere un modo di avvicinare le persone e avvicinarle all’informazione, però deresponsabilizza in un modo straordinario, l’esatto opposto di ciò che avrebbe invece bisogno oggi il mondo, cioè una pre-sa di responsabilità a partire da quella individuale. Internet fa invece esattamente il contrario, nonostante le sue enormi potenzialità che potrebbero esser positive. Ripeto è una lama senza manico, come la impugni ti ferisci…

Perché ritiene il web una solitudine camuffata e molto affollata?

Perché mi sembra che non risolva il problema della solitudine, anzi per certi versi credo l’accentui non appena uno pensa a se stesso. Il vero problema è che il web ti fa uscire fuori da te mentre il problema di oggi è rientrare in se.

Tornando alla tv, nel corso degli anni abbiamo assistito a una terribile involuzione: da antidoto all’analfabetismo a omologazione di cervelli. A chi dare la colpa?

Il discorso meriterebbe un approfondimento che però per questioni di tempo e spazio non possiamo fare. La televisione resta un mezzo di massa formidabile, anche se oggi i giovani preferiscono il web. Il segreto però sta in quello che ci metti dentro. Lo stesso discorso di internet. Purtroppo oggi la televisione ha completamente abolito la voce “servizio”, quell’utilità che c’era invece nell’idea di partenza.

Pianeta scuola. Qualità e motivazione degli insegnanti, scarsa attenzione della politica, genitori carenti nella loro funzione pedagogica: a chi e con quale percentuale distribuire le colpe di una progressiva desertificazione del sapere e dei rapporti umani?

La scuola è un’agenzia di formazione indispensabile, come la famiglia, ha delle responsabilità enormi. Negli anni 50 e 60 era indubbiamente migliore, è inutile che ci prendiamo in giro. Quando allora un’agenzia di formazione così importante peggiora negli anni e nello stesso tempo si continua a parlare di grande evoluzione e progresso, forse c’è qualcosa che non va… Siamo un paese lontano dall’eccellenza: l’ultima classifica ci colloca nel mondo con il  Politecnico di Milano, prima tra le università italiane, al 183esimo posto. Anche i genitori, comunque, hanno la loro parte di responsabilità visto che spesso sono pronti a scaricare sugli insegnanti tonnellate di disagio individuale, famigliare e sociale, in uno scaricabarile letale per tutti, così da trovare un capro espiatorio a una situazione allarmante.  Guai a minacciare con una sberla un bambino indisponente, o a mettere un brutto voto, o a sospendere se non addirittura bocciare un ragazzo…

Ci spiega brevemente il fondamentalismo del denaro?

Tutti lo capiscono se lo mettiamo a confronto con quello del terrorismo. Paragonato al fondamentalismo terrorista e in Occidente e in Europa si dice che non dobbiamo farci cambiare lo stile di vita. Intanto domandiamoci qual è il nostro stile di vita. In cosa consiste? Quale la sua priorità? Semplicemente il denaro… Lo dice il papa, e fa benissimo, ma lo dico pure io e credo tanti altri. Siamo quindi dinanzi a un tipo di fondamentalismo spaventoso, una volta il denaro serviva per delle cose, adesso il denaro serve per il denaro. È un circolo vizioso dove il mezzo e il fine combaciano ed è un segno di disumanizzazione spaventoso.

All’interno di questo fondamentalismo ci mette anche le organizzazioni malavitose…

Come non potrei? Di fatto oggi rappresentano lo “stato nello stato” e non “contro lo stato”. Organizzazioni criminali efficientissime che ben controllano il territorio nazionale. Il controllo illegale del territorio italiano e quindi anche di compravendite e trasferimenti di armi è notoriamente di pertinenza della Camorra, che come la ‘Ndrangheta e Cosa Nostra ha fatto grandi “salti di qualità”. Sono associazioni per delinquere che operano ormai ai massimi livelli internazionali, nel mercato degli armamenti come delle droghe, degli essere umani e dei rifiuti. Quello italiano è ormai un marketing ristretto e colonizzato persino in termini di malavita. Posso farle un esempio che completa il discorso più generale sul sistema di cui parlo?

Prego…

Secondo l’opinione corrente crede veramente che in questi anni siamo stati risparmiati dagli attentati dell’Isis perché abbiamo un efficiente servizio di sicurezza? Oppure perché il controllo del territorio è affidato alla Camorra soprattutto, alla ‘Ndrangheta e a Cosa Nostra che fanno affari anche con questi qui e quindi non si fanno la guerra…? Queste cose le sanno tutti però naturalmente salterebbe il banco se si dicesse che la mancanza di attentati è dovuta all’antistato che gestisce il tutto…

Sulla parola democrazia, invece, cosa ha da dire al bambino che si affaccia alla vita?

Anche in questo caso egli pretende la massima chiarezza di conseguenza gli dico che in Italia da tempo non c’è nulla di realmente democratico, da nessun punto di vista, nelle istituzioni come nei partiti come nella società, in qualunque suo settore. Siamo al deserto offerto alle scorrerie di una classe dirigente arricchita economicamente e impoverita da ogni altro punto di vista a spese di una moltitudine diretta che se ha mai avuto un’anima oggi l’ha smarrita. E per i giovani, e per i cuccioli, lungo questa china ripida e pericolante nella giungla è sempre più dura.

Come giudica l’involuzione vissuta dai media in questi anni? Sono ancora credibili le definizioni di “cani da guardia” e “quarto potere”?

Cane da guardia è una definizione che escluderei assolutamente. Nell’altro caso, invece, più che di quarto potere parlerei di una cinghia di trasmissione fra gli altri poteri. E poi non c’è libertà di pensiero, non c’è gusto nel pensare, nell’osservare, si rifanno tutti alla stessa fonte. La responsabilità dei mezzi di informazione nell’aver costruito, o se vuole distrutto, questa società è enorme. Anche perché contano più di una volta. C’è una responsabilità deontologica, etica, politica e poi naturalmente sullo sfondo c’è un’arretratezza professionale che mette paura. In questo paese i magistrati buoni sono quelli che vengono ammazzati o finiscono sotto scorta, e i giornalisti buoni quelli che vengono messi in condizione di non lavorare. Qualunque riferimento al mio caso personale è puramente voluto….

Quale commento al dopo referendum?

Al di là dei temi della riforma è stato un no della gente che non ne può più, nonostante le impressionanti risorse messe in campo dal governo renziano… Se dunque ha vinto il no in maniera così netta è perché questo paese, al di là di quello che vogliono farci credere disegnando una realtà inesistente, non ne può più. Ho visto l’ex presidente Renzi urlare viva l’Italia con il tricolore alle sue spalle… Viva l’Italia? Tu da un presidente ti aspetti fatti concreti non slogan che urlano i tifosi allo stadio mentre gioca la nazionale di calcio, tra l’altro sponsorizzata da una società di scommesse…

Le piace papa Francesco?

Sì, molto. Io sono nato cattolico anche se attualmente mi definisco un dubitante… Il papa, a cui auguro lunga vita, ha dimostrato una speciale sintonia con i tempi oscuri che stiamo vivendo, sa benissimo della giungla, insomma. Eppure nello stesso tempo cerca di non farsi trascinare da una modernizzazione che risulta in palese contraddizione con l’eternità professata dal cattolicesimo che lui rappresenta, in nome di tutta la cristianità. La differenza “politica” di leadership, sia pure nella diversità totale, tra Bergoglio e i leader mondiali, con in coda i nostri, per chi ha occhi e orecchie è un continuo schiaffo morale e materiale. È una radura allargata di interiorità in mezzo alla stessa giungla, cresciuta sul fondamentalismo ma dei soldi, in una dimensione di amoralità che “questo” papa sembra aver identificato appieno, rifuggendone.

Quanta soddisfazione c’è nel vedere vivo, a distanza di anni, nella memoria della gente l’apprezzamento per le sue trasmissioni censurate dai politici di turno?

Indubbiamente la soddisfazione è tanta, come diceva lei ancora oggi ci sono persone che mi fermano per strada per dirmelo. Se da un lato però c’è la soddisfazione dall’altro diventa ancora più forte il rammarico del censurato. Anche perché il vero censurato non sono io ma coloro che non possono usufruire del mio lavoro. I giovani non sanno chi io sia. Ma non è un mio problema, io non vendo pannolini quindi non devo vendere il mio brand, io scrivo libri e basta. La censura nei miei confronti è di tipo ontologico, è per la persona, per come sono fatto io. E quindi negli anni ho pagato sempre lo stesso prezzo con persone diverse. Mi è stata inibita la possibilità di parlare ai giovani, quelli che oggi hanno 30-35 anni non mi conoscono, io ho parlato ai loro genitori. Ma siccome la trasmissione del sapere e dell’etica tra genitori e figli è uno dei problemi o il problema di questa società, non sono riuscito a parlargli.

È un grande cruccio?

Se vogliamo usare una terminologia delicata visto che siamo in presenza di un libro in cui si parla di nipotini, diciamo che è un profondo disagio, un disappunto forte.

Un’ultima cosa: se l’amato nipotino le chiedesse chi è nonno Oliviero, cosa risponderebbe?

Gli direi che anche grazie a lui, cioè al fatto di occuparmi di lui e di identificare in una cosa vivente la vita e il futuro, cosa che nessuno talk show può riassumere, adesso so un pochino di più chi sia nonno Oliviero.

Lo dice anche a noi?

Una persona che è vissuta un po’ imprigionata in se stesso per molti anni e che adesso grazie a una serie di situazioni, è evaso da se stesso, almeno in parte, e quindi si è dedicato agli altri in un certo modo.

 

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