MENENIO AGRIPPA, QUANTO CI MANCHI…

Come non fosse successo niente… Dimissioni, certo. Promesse di cambiamento a bizzeffe, certo. Facce nuove (qualcuna) accanto a facce vecchie (non poche). Proclami e organigrammi, programmi e strutture, il “ci penso io” come miracoloso toccasana alternativo… Nei giorni caldi di luglio il calcio italiano non si è fatto mancare proprio nulla. Tranne forse un progetto completo, che avremmo volentieri definito anche serio se avessimo potuto percepire un qualche punto di contatto tra le due anime del pianeta calcio che, in Italia almeno (ma gli attriti non mancano neppure a livello internazionale), sono da tempo in conflitto: il professionismo e il calcio come passione, divertissement, svago tout court. Per dirla in chiaro: da una parte la Federazione (un milione di iscritti, campionati organizzati in maniera uniforme e con cronologia encomiabile dalle Alpi a capo Passero, da sempre bacino di traino per tutto lo sport italiano…), dall’altra la Lega, e le leghe, che gestisce/gestiscono il professionistico barnum che ruota intorno a questo benedetto pallone e che non manca mai di ricordare il suo “status” socioeconomico. Il presidente della Federazione è chiamato a contemperare questi due mondi che, lo si voglia o no, devono necessariamente, diremmo obbligatoriamente, convivere, coesistere, pena, in caso contrario, la fine di tutto, magari sotto la forma del commissariamento (non nuovo, del resto, da quelle parti). E ci viene in mente, al proposito, il celebrato apologo di Menenio Agrippa quando riuscì a convincere i Romani che il dissidio in atto tra popolo e patriziato meritava una qualche soluzione.

L'ECO di San Gabriele
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