CARI AMICI, mi auguro che abbiate trascorso nel modo migliore e gioioso la santa Pasqua. Continuiamo a scorrere il Catechismo dei giovani, ripartendo da una domanda: Come giunsero i discepoli a credere che Gesù era risorto? (YC 105). Un interrogativo sempre attuale poiché dalla risposta che diamo può dipendere il nostro modo di essere veramente discepoli di Gesù o semplici conoscitori della sua storia. Infatti, tra la fuga per la paura e l’abbandono del maestro e la dispersione per la sua morte e la sua sepoltura, solo un evento sconvolgente avrebbe potuto far ricredere i discepoli. Esso avviene attraverso l’incontro personale con colui che è risorto dai morti. Significativa per tutti è l’esperienza dei discepoli che sono sulla via verso Emmaus per tornare alla vita di prima: Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele (Lc 24,21)!
Solo l’incontro con Cristo risorto li libera dal loro irrigidimento e li colma di una fede entusiasta in Gesù Cristo, il Signore che è al di sopra della vita e della morte.
Ma ci chiediamo ancora: con la risurrezione, Gesù tornò allo stato fisico che aveva durante la sua vita terrena (YC 107)? I vangeli ci parlano in un modo che può sembrare contraddittorio: Gesù entra a porte chiuse dove gli apostoli si sono “barricati per paura” e gioiscono nel vedere le piaghe della crocifissione! Davanti al dubbio dei suoi, Gesù chiede loro qualcosa da mangiare e si affianca, lungo la strada, ai discepoli di Emmaus senza essere riconosciuto! Più che la contraddizione, con questo linguaggio gli evangelisti ci manifestano il Cristo risorto, che pur mostrando le piaghe del crocifisso, non è più legato al tempo e allo spazio e con la risurrezione è entrato in un nuovo modo di essere, così spiegato dall’apostolo Paolo: “Cristo risorto dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9).
In virtù della risurrezione di Cristo, la gioia e la speranza hanno fatto il loro ingresso nel mondo, e per noi si è aperta la prospettiva dell’eternità (YC 108)! Dopo quaranta giorni di vicinanza ai suoi discepoli, Gesù Cristo risorto con tutta la sua umanità entra nella gloria di Dio. È l’evento della “ascensione”, descritta con i simboli del monte, della nuvola e del cielo, nei vangeli di Matteo (28,16-20), Marco (16,19), Luca e negli Atti degli apostoli (1,6-11). Così l’uomo trova posto in Dio, dice papa Benedetto XVI (YC 109).
Compiuta la missione salvifica e avendo riconciliato l’umanità con il Padre, Gesù Cristo è costituito Signore del mondo e Signore della storia. Il Figlio che era nel Padre, ha ridato all’uomo la certezza dell’amore di Dio e del superamento delle tenebre del peccato, ci verrà incontro nella gloria in un giorno che noi non conosciamo, per rinnovare e portare a compimento il mondo (YC 110).
Cari amici, ciò non significa che Gesù ci ha lasciati soli. La sua vicinanza si sperimenta in primo luogo nella parola di Dio, nella partecipazione ai sacramenti, nell’assistenza ai poveri, nella preghiera comune. Lui lo aveva già detto ai suoi e a tutti coloro che lo seguivano: dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro (Mt 18,20). L’ascensione del Signore apre l’orizzonte della nostra esistenza all’eternità, quando il mondo finirà e verrà Cristo visibile a tutti (YC 111). La vittoria definitiva di Dio sul male sarà visibile; la gloria, la verità e la giustizia di Dio verranno alla luce in maniera fulgida; con l’avvento di Cristo ci saranno un cielo nuovo e una terra nuova. Si realizzerà quanto annunciato da san Giovanni nel libro dell’Apocalisse: “A-sciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,2.4). San Matteo negli ultimi capitoli del suo vangelo, prima di raccontare la passione e la morte di Gesù, parla del “giudizio finale” (Mt 25), quando Cristo giudicherà noi e tutto il mondo alla luce di ciò che lui stesso ha insegnato e vissuto sull’amore del prossimo e di Dio: ogni volta che avrete fatto una di queste cose ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! E parlava di affamati, assetati, stranieri, nudi, malati, carcerati (YC 112).
Cari amici, anche nel tempo di Pasqua ricordiamoci che l’amore verso il prossimo non è facoltativo! È piuttosto un impegno costante, quotidiano che si esprime nella solidarietà e nell’aiuto di chi è nel bisogno.