Ultime notizie dal fronte dei vecchi: secondo le statistiche sempre più anziani finiscono nelle case di cura. Non ho niente contro questi istituti, forse alcuni saranno anche bellissimi e confortevoli (ce ne sono anche di orribili) ma preferisco che quando l’età avanza ognuno – se può – resti a casa sua e finisca i suoi giorni fra le mura domestiche.
Quand’ero bambino e sentivo di questi ricoveri venivo preso da un senso di paura e anche oggi mi è rimasta quest’impressione di una fine ingloriosa per tanti vecchi. Vedo molte pubblicità accattivanti, foto di edifici moderni, di sale con tanti uomini e donne che sorridono felici con dentiere bianchissime, riunioni davanti a un mazzo di carte, vedo infermiere inappuntabili con grembiuli stiratissimi, case di serie A, di serie B e di serie C, e sento una nota di falso.
C’è qualcosa certamente che non dipende dagli uomini ma dai mutamenti del proprio tempo, si vive più a lungo, si raggiungono facilmente gli ottanta e anche i novanta, e dunque il problema diventa problema sociale eppure c’è qualcosa che mi lascia dubbioso. E questo qualcosa è il concetto stesso di vecchiaia. Ha ragione il Papa quando parla degli anziani non come un peso ma come una ricchezza, come un’età da curare e valorizzare, mentre purtroppo viviamo in un’epoca giovanilistica. Il cosiddetto lifting, cioè il tirar su la pelle perché appaia liscia e sana, è diventato una moda. Prima andavano dall’estetista solamente le donne ora anche gli uomini di spettacolo si sottopongono – in segreto – a iniezioni e ritocchi per apparire giovani. La lotta alla vecchiaia è diventata un “business”, grandioso, miliardario ed è anche comprensibile che qualcuno cerchi di ingannare la carta d’identità.
Se dunque dobbiamo lottare contro il tempo, se dunque dobbiamo cancellare i segni dell’età, se dunque dobbiamo sembrare trentenni anche quando ne abbiamo ottanta, allora significa che la vecchiaia va cancellata, non esiste, si muore giovani e anche l’immagine della terza o quarta età va archiviata. I vecchi, sembra dire questa teoria, vanno esiliati, emarginati, ignorati, non debbono oscurare la nostra corsa alla giovinezza perpetua, sono portatori solo di problemi e dunque non c’è niente di meglio che metterli in qualche casa più o meno accogliente perché diano meno fastidio. Eppure questa terza età – andrebbe detto – è anche portatrice di valori, se non di saggezza almeno di esperienza, se non di futuro almeno di presente. E penso a quanti capolavori sono stati scritti in questa stagione della vita che oggi sarebbe denominata veneranda. Goethe lavorò al Faust fin oltre gli ottant’anni, e anche Manzoni intinse gli ultimi panni in Arno quando aveva i capelli bianchi e Kant dette l’ultimo tocco alla “ragion pura” quand’era pieno di reumatismi.
Penso che dovremmo riguadagnare il significato e la ricchezza di questa terza età non come un’età da ignorare ma come un pezzo di vita che anche nel tramonto può dare bagliori di luce.
In Cina c’è una grande venerazione per i vecchi, l’antica millenaria civiltà cinese ci dà qualche lezione – almeno su questo – di umanità. Il nostro giovanilismo non è segno di progresso ma solo di arretramento ideologico, lottare contro il tempo, illudersi che la clessidra fermi la sabbia che cade inesorabile, forse anche la morte non esiste.
Nelle grandi banche americane danno il benservito a quarantotto, cinquant’anni quando pensano che il cervello è stato spremuto abbastanza e non ha nient’altro da dare. Un sessantenne non è più merce da lavoro.
Ogni tempo ha le proprie illusioni e sarebbe di buon auspicio questa corsa all’estrema giovinezza, bellissima, entusiasmante, affascinante per tutti. Se solamente fosse vera.