Mi è capitato durante l’estate di partecipare, di venerdì, a un ricevimento offerto da un istituto di suore per festeggiare il cinquantesimo anniversario di professione religiosa di una suora. In quell’occasione non sono mancati panini alla carne. Allora ho pensato di chiedere a lei di ricordare, a me e ai lettori, le norme dell’astinenza. Adele (Termoli)
L’astenersi dalle carni il venerdì è un’antica usanza cristiana per ricordare la passione e morte del Signore Gesù, come del resto privarsi di qualcosa che piace è un’antichissima prassi ascetica, comune a tante religioni, per rafforzare la padronanza di sé e riaffermare la superiorità dello spirito sul corpo. Fin dall’origine del cristianesimo, per ricordare la passione e morte del Signore, i fedeli hanno consacrato il venerdì come giorno penitenziale, non solo astenendosi da alcune cose come la carne, ma addirittura facendo digiuno, cioè privandosi del cibo per tutta la giornata o per parte di essa.
In tempi diversi dai nostri la carne era il segno della festa e dei banchetti, i cristiani hanno pensato bene di assumere la prassi di astenersi da essa in tutti i venerdì dell’anno per manifestare in qualche modo la comunione con il sacrificio di Cristo sulla croce.
Negli ultimi cinquant’anni il contesto sociale è profondamente cambiato e la carne non è più il segno della festa e l’astinenza da essa è tutt’altro che il segno del sacrificio. È stato Paolo VI, nel 1966, ad alleggerire la rigidità della normativa vigente negli ultimi secoli. Pur volendo mantenere un certo rispetto per l’antica pratica, la normativa limita l’astinenza solo ai venerdì di quaresima. Tuttavia è sempre possibile “sostituire del tutto o in parte l’astinenza con altre forme di penitenza, specialmente con opere di carità ed esercizi di pietà”. A questa pratica sono tenuti solo coloro che hanno compiuto i 14 anni fino ai 60 anni. La prassi penitenziale è stata introdotta nella chiesa per ricordare ai fedeli la precarietà della vita e la necessità di esercitare la volontà a fare poi la grande rinuncia del peccato, che è il grande e vero nemico da combattere.