Molti anni fa, credo di ricordare che fosse a metà degli anni 80, il settimanale L’Espresso, – che all’epoca era tra i periodici che attraversavano il periodo ruggente – dedicò un inserto mensile all’Abruzzo. Uno dei primi servizi realizzati fu sullo spopolamento dei centri delle montagne abruzzesi. Il titolo era: “Lassù a monte fantasma”. In sostanza si sosteneva quello che oggi è sotto gli occhi di tutti e che all’epoca evidenziava i primi significatici sintomi: l’abbandono delle case e il crollo demografico dei paesi arroccati sull’Appennino abruzzese. Il servizio rilevava una contraddizione, forse nemmeno tanto contraddizione, tra l’attrattiva che questi paesi esercitavano sui registi e sulla filmografia dell’epoca e la scarsa offerta di vita decente per gli abitanti che cominciavano allora a preferire altri lidi. Proprio così: lidi di mare.
Il cinema, insomma, sceglieva la montagna abruzzese per filmare scenari naturali e suggestivi scorci paesaggistici, mentre la gente scendeva a valle. L’Abruzzo, dunque, set naturale. Tanto naturale che bisogna portarsi le comparse dalla città. Salvo casi particolari. L’elenco dei film girati sulle nostre montagne è sterminato. Tra i più importanti: “Il deserto dei tartari”, di Valerio Zurlini; “Lady Hawk”, con la bellissima Michelle Pfeiffer; “Il nome della Rosa”, King David”; “Così è la vita” con Aldo Giovanni e Giacomo. E ancora: la serie di “Trinità” con Bud Spencer e Terence Hill; “La volpe e la bambina”, “Straziami da di baci saziami”, “Fontamara”. È di qualche settimana fa la notizia che il regista britannico Ridley Scott, quello del “Gladiatore”, ha scelto l’Abruzzo per il suo nuovo film, “The Dogs Stars”. Il set sarà situato tra Ovindoli, il Parco del Sirente-Velino e l’aeroporto di Preturo. Nessuna di queste pellicole denunciava apertamente quello che stava avvenendo, ossia la desertificazione dei paesi di montagna.
Lo scorso anno un regista di quelli che una volta si definiva impegnati, Riccardo Milani, con una leggerezza degna di una delle mancate “Lezioni americane” di Italo Calvino, ha portato in scena e fatto vedere e forse anche capire a milioni di italiani quello che la sconfinata letteratura giornalistica non è riuscita a spiegare efficacemente all’opinione pubblica e inculcare nell’animo dei ceti dirigenti. Con il suo film “Un mondo a parte” ha fatto udire al mondo il grido di dolore di quello che resta delle popolazioni della montagna. “Abbiamo bisogno di aiuto, non ci abbandonate”.