L’ALTRA ITALIA…

Oggi i connazionali all’estero sono considerati per il loro valore umano, sociale, creativo ed intellettuale, hanno raggiunto risultati importanti in ogni campo. Nel periodo 1876-2005 le prime tre regioni con il maggior numero di espatri sul totale sono il Veneto, la Campania e la Sicilia. L’Abruzzo è al settimo posto

di Goffredo Palmerini

L’Italia in poco più d’un secolo ha subìto la più grande diaspora della storia dell’umanità. Circa 30 milioni di italiani dal 1861 e fino agli anni Settanta del secolo scorso hanno lasciato il Paese diretti alle varie terre d’emigrazione. Argentina, Brasile, Stati Uniti le rotte principali della prima grande emigrazione. Poi, nel secondo dopoguerra, s’aggiunsero Venezuela, Canada, Australia ed altri Paesi, quindi l’Europa, con Svizzera, Francia, Belgio, Gran Bretagna e Germania. Le varie generazioni dell’emigrazione hanno dato vita ad un’altra Italia più grande di quella dentro i confini, stimata in 80 milioni. Di questo fenomeno migratorio si tende sempre più a richiamare le rilevanti affermazioni in ogni ruolo nei Paesi d’emigrazione dove le nostre comunità hanno fortemente contribuito alla crescita e allo sviluppo, assai meno a quali costi tutto ciò è accaduto.

E tuttavia i nostri emigrati, dopo le privazioni, i sospetti e gli stigmi che hanno duramente connotato la prima grande emigrazione, sono riusciti a conquistare ragguardevoli risultati con la laboriosità, l’ingegno e l’intraprendenza creativa, tanto da guadagnarsi rispetto e stima con esemplari testimonianze di vita. Hanno reso un grande servizio all’Italia, più importante dall’averle consentito di progredire anche con le loro rimesse, nell’aver mostrato in ogni angolo del mondo qualità e doti della gente italiana.

In Italia, tuttavia, in larga parte del Paese e della classe dirigente, persistono stereotipi che segnano un deficit di conoscenza della nostra emigrazione, così limitando le opportunità di valorizzarla come risorsa. Per chi abbia interesse e umiltà, avvicinarsi alle nostre comunità all’estero permette di scoprire un patrimonio straordinario di risorse professionali, imprenditoriali e di valori civili evidenti dalla quantità di riconoscimenti guadagnati in decenni d’impegno, talvolta contro supponenze e pregiudizi. Oggi gli italiani all’estero sono considerati per il loro valore umano, sociale, creativo ed intellettuale. Hanno raggiunto risultati importanti in ogni campo. Le generazioni seguite alla prima emigrazione esprimono personalità emergenti in ogni settore, dall’imprenditoria alle professioni, dall’economia alle università, dall’arte alla politica.

Secondo i dati del Dizionario Enciclopedico Migrazioni Italiane nel Mondo, nel periodo 1876-2005 le prime tre regioni con il maggior numero di espatri sul totale sono il Veneto (3.212.919), la Campania (2.902.427), la Sicilia (2.883.552). L’Abruzzo è al settimo posto (1.254.223). Secondo il Rapporto Italiani nel Mondo al 1° gennaio 2023 i connazionali iscritti all’AIRE sono 5.933.418. Le statistiche dei residenti all’estero si riferiscono tuttavia solo alle cifre degli iscritti all’AIRE. Ben altra però è la popolazione oriunda delle varie generazioni dell’emigrazione italiana che, pur senza cittadinanza, è italiana per diritto di sangue e delle proprie origini conserva cultura, valori e tradizioni.

In termini assoluti Brasile, Argentina e Stati Uniti sono nell’ordine i Paesi che hanno la maggior presenza d’italiani. Quei 30 milioni di italiani espatriati, con le generazioni successive hanno prodotto discendenze cosicché gli italiani all’estero sono diventati 80 milioni secondo le più attendibili stime. Persone fortemente legate alle proprie radici, che amano l’Italia per la sua bellezza, la sua cultura, le tradizioni e l’immenso patrimonio d’arte. Con quest’altra Italia noi italiani dentro i confini abbiamo un dovere anche morale: di conoscerli meglio, di conoscere le loro storie e il loro valore.

Per dare ancora qualche cenno, il terzo Paese per numero di oriundi italiani sono gli Usa, con oltre 18 milioni. Gli Stati Uniti hanno avuto un atteggiamento assai duro verso gli italiani. Oggi celebriamo la parte bella dell’emigrazione italiana, ma c’è la parte dolorosa che è terribile. Molta parte di questa storia di dolore e persino di disprezzo, riguarda proprio l’atteggiamento degli americani nei confronti degli italiani della prima ondata migratoria, trattati come “gente inferiore”, rozza, sporca, incolta, violenta. Vittima talvolta di veri e propri linciaggi, come avvenuto a New Orleans nel 1891 e a Tellulah nel 1899.

Gli italiani andarono in Louisiana, Florida e Mississippi, nelle miniere di carbone del West Virginia, della Pennsylvania, dell’Arizona o in Colorado come nelle grandi aree metropolitane e industriali di New York, Filadelfia, Pittsburgh, Boston, Chicago e Detroit. Erano visti molto male in America, con pregiudizio e sospetto. Non parlo della parte marcia, criminali legati alla mafia. Parlo della stragrande maggioranza che sudava lacrime e sangue per costruirsi un futuro, subendo talvolta angherie d’ogni sorta, almeno fino a metà Novecento. Basta leggere qualche romanzo (Pascal D’Angelo, Pietro Di Donato, John Fante, etc.) per averne un’idea. Si comprenderà anche il motivo per cui molti italiani americanizzarono il proprio nome per non farsi riconoscere. Per molti decenni gli italiani hanno evitato di dichiarare le proprie origini, diversamente dall’orgoglio che ora si mostra.

Nel secondo dopoguerra crebbe l’emigrazione verso il Canada, un Paese che nella Costituzione eleva a valore il multiculturalismo, dunque la diversità delle culture, delle etnie e delle origini nazionali. Oggi in Canada, specie nelle popolose province dell’Ontario e del Quebec, molti sono gli esponenti politici di origine italiana nel Parlamento nazionale e nel Governo, come nelle istituzioni locali e provinciali, a dimostrazione dei ruoli rilevanti conquistati in quel Paese. C’è infine l’emigrazione nei Paesi europei, con una presenza forte in Francia, Germania, Svizzera, Gran Bretagna. E in Belgio, soprattutto nelle miniere di carbone. Si ricorderà la tragedia di Marcinelle, che colpì soprattutto i nostri emigrati quando l’8 agosto 1956 morirono 262 minatori, 136 erano italiani e di questi ben 60 erano abruzzesi. Tutto però cambiò da quella tragedia, a cominciare dal patto tra Italia e Belgio che negoziava braccia contro carbone senza intese su sicurezza sul lavoro, previdenza, diritti dei lavoratori.

Un cenno infine sull’emigrazione abruzzese. L’altro Abruzzo è più grande di quello dentro i confini: uomini e donne che rendono onore alla terra natale, dove affondano le loro radici. Dove s’ispirano le loro emozioni per tradizioni secolari. Dove traggono l’eredità culturale. Dove ripongono l’amore e per le ricchezze artistiche e ambientali. Di tale retaggio hanno sana fierezza, un orgoglio denso di antichi valori, specchio della millenaria civiltà delle genti d’Abruzzo. Della loro terra, borghi e città d’incanto, dello straordinario scrigno di meraviglie d’arte e architetture, della cangiante armonia che dalle vette del Gran Sasso e della Maiella scende alle rigogliose colline fino allo splendore del mare, gli abruzzesi nel mondo sono molto innamorati. E la straordinaria bellezza dell’Abruzzo la raccontano in tutta la sua suggestione, laddove vivono. Sono i migliori promoter delle meraviglie dell’Abruzzo. Chi ha la pazienza di raccogliere le storie vissute dei nostri emigrati se ne renderà conto. Avvertirà il senso e l’anima stessa di quest’altro Abruzzo, illuminato di sapienza, di talento e di valori, come delle opportunità legate al turismo delle radici, nell’anno che il Ministero degli Esteri gli ha dedicato nel 2024.

Di questo si è parlato il 4 agosto scorso in un interessante incontro al Santuario di San Gabriele, organizzato dai padri passionisti e moderato dal direttore dell’Eco padre Ciro Benedettini, al quale hanno partecipato come relatori gli studiosi d’emigrazione Giovanna Di Lello, Antonio Bini, padre Vincenzo Fabri e chi scrive. Ha portato il saluto della Regione Abruzzo il sottosegretario alla presidenza con delega al Turismo, Daniele D’Amario. L’approfondita riflessione ha riguardato la storia dell’emigrazione italiana ed abruzzese, il Turismo delle radici e quello religioso in Abruzzo, in vista del Giubileo 2025, la religiosità degli emigrati e la devozione a san Gabriele nel mondo. Inoltre le opportunità che relazioni qualificate e mature con le comunità italiane, ed abruzzesi in particolare, possono svilupparsi con il turismo di ritorno, soprattutto nei borghi dell’Abruzzo interno, ricco di bellezze e tradizioni singolari, purtroppo afflitto da spopolamento in assenza di politiche mirate. Infine le opportunità generate dal Giubileo, che vedrà arrivare a Roma 39 milioni di pellegrini. Scarsa e in ritardo l’attenzione dedicata a questo evento, nell’approntamento di progetti di promozione dell’Abruzzo e di un’adeguata politica di servizi e di accoglienza turistica. L’evento si è chiuso con l’impegno a ripetere l’iniziativa ogni anno, per mantenere viva l’attenzione delle istituzioni sulle tematiche e sulle opportunità legate all’emigrazione.

 

L'ECO di San Gabriele
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