L’ultimo esempio, in ordine di tempo, è la frana di Casamicciola. La parte maggiore delle colpe andrebbe addebitata alla grande espansione urbanistica avviata negli anni cinquanta (e mai interrotta), sviluppata spesso in assenza di un’adeguata pianificazione territoriale e con tassi elevati di abusivismo edilizio
Bella e fragile. L’Italia ha un paesaggio variegato e stupendo: mare, monti, colline, pianure riempiono di gioia gli occhi. Ma è tremendamente fragile per la natura del suolo: alluvioni, frane, erosioni costiere sono fenomeni molto frequenti; eventi che si trascinano devastazioni e morti. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, è la frana di Casamicciola. Nessuna regione può dirsi al sicuro da queste calamità naturali che dipendono da diversi fattori: le caratteristiche morfologiche, climatiche e geologiche rendono la penisola soggetta all’azione degli eventi atmosferici. Infatti, le aree più soggette ad alluvioni si trovano in prossimità di coste o fiumi mentre le zone montuose risultano spesso a elevato rischio di frane. Non è solo la natura alla base di queste sciagure, una buona parte di responsabilità è anche dell’uomo. Certo, l’abbandono progressivo delle aree rurali montuose o collinari ha incrementato la vulnerabilità di diversi territori (per esempio i terrazzamenti agricoli, se privi di un’adeguata manutenzione diventano soggetti all’azione di piogge intense). Tuttavia, la parte maggiore delle colpe andrebbe addebitata alla grande espansione urbanistica avviata negli anni cinquanta (e mai interrotta), sviluppata spesso in assenza di un’adeguata pianificazione territoriale e con tassi elevati di abusivismo edilizio. Un fenomeno che ha portato un’ampia fetta della popolazione a essere esposta – spesso in maniera inconsapevole – al rischio legato al verificarsi di queste calamità.
La natura, quindi. Su 7.904 Comuni italiani 7.423 (pari al 93,9 per cento!) presentano almeno uno dei fattori di rischio: frane, alluvioni ed erosione costiera. Negli ultimi cinque anni la superficie potenzialmente soggetta a frane e alluvioni è aumentata rispettivamente del 3,8 e del 18,9 per cento. In queste zone vivono più di 8 milioni di persone: oltre 1.300.000 abitanti in zone a rischio frane e 6,8 milioni in aree a rischio alluvione. Le regioni con i valori più elevati di popolazione che vive nelle zone critiche sono Emilia-Romagna (quasi 3 milioni di abitanti), Toscana (oltre 1 milione), Campania (oltre 580 mila), Veneto (quasi 575 mila), Lombardia (oltre 475 mila), e Liguria (oltre 366 mila). Nonostante questa situazione, non si va tanto per il sottile quando si tratta di costruire, soprattutto in modo irregolare. Il caso emblematico è senza dubbio quello di Ischia: su una popolazione di 62.630 abitanti le pratiche di condono edilizio sono 27 mila! In generale, su circa 14 milioni di edifici, oltre 2 milioni sono in zone a rischio: quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata superano i 565 mila (3,9%), mentre poco più di 1,5 milioni (10,7%) ricadono in aree inondabili nello scenario medio. Gli aggregati strutturali a rischio frane oltrepassano invece i 740 mila (4%). Le industrie e i servizi costruiti in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84 mila con 220 mila addetti esposti a rischio, mentre quelli esposti al pericolo di inondazione, sempre nello scenario medio, superano i 640 mila (13,4%). Per comprendere la gravità della situazione è sufficiente sottolineare come negli ultimi trent’anni frane e inondazione hanno causato oltre 1.700 morti, più di duemila feriti, e circa 330 mila evacuati e senzatetto. Ogni anno in Italia si registrano mediamente 45 alluvioni (Legambiente ne ha classificati ben 510 dal 2010 al 2022). I dati sulla popolazione e le criticità del territorio sono riportati nel rapporto “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio”, dell’Istituto superiore per protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel quale una parte è dedicata alla tutela dei beni culturali. Qui si evidenzia che circa 38 mila siti, pari al 17,9 per cento del totale, è minacciato dalle frane. Sono numerosi i borghi storici interessati da fenomeni franosi negli ultimi anni; il maggior numero di beni culturali minacciato si trova in Campania, Toscana, Marche, Lazio ed Emilia-Romagna.
Per evitare il dissesto idrogeologico occorrono studi e fondi, tanti fondi, perché gli esperti sostengono che tra le principali soluzioni ci sono la riforestazione delle aree boschive deforestate, il controllo dello sviluppo urbano nel rispetto del ciclo idrogeologico, la pulizia e la manutenzione dei corsi d’acqua, il recupero e la stabilizzazione dei terreni d’altura. Mettere in sicurezza il Paese significa anche puntare sulla naturalizzazione del territorio secondo sistemi di gestione sostenibile delle foreste. Piantare alberi e tutelare quelli esistenti è fondamentale per stabilizzare il suolo al fine di prevenire frane o cedimenti. Le radici degli alberi e la distribuzione delle stesse nel terreno, come a formare una rete, è infatti importante per la trattenuta della terra e, di conseguenza, per la sua stabilità.
In Italia spesso si interviene soltanto dopo che si sono verificati i fenomeni di dissesto, cercando di contrastare le frane già in atto con la costruzione di manufatti o sistemi di drenaggio delle acque superficiali, e le esondazioni con argini più alti e bacini di contenimento. Quello che manca, nella maggior parte dei casi, è la volontà di prevenire i rischi e, quindi, i danni. Soprattutto, manca la volontà politica, perché di studi ne sono stati fatti e se ne fanno in continuazione; così le mappature. Ma se non si interviene drasticamente con provvedimenti cui seguono subito i fatti, è tutto inutile. Vigilare sulle costruzioni va bene, ma se poi ciclicamente arrivano condoni (1985, 1994, 2003) o condomini (2018, proprio nell’area Flegrea), è tutto inutile. I politici fanno a gara a chi piange di più sulle bare degli altri, ma non si oppongono ai desiderata di chi per un voto (…) chiede che si chiuda un occhio sulle costruzioni abusive. Questo vale sia per la politica locale, sia per quella nazionale.
Per contrastare gli abusi e gli scempi che portano ai dissesti idrogeologici ci sono i fondi (da incrementare) – non erogati, altri 27 miliardi arriveranno con il Pnrr – e le norme, spesso disattese. La prima legge sul paesaggio risale addirittura a cento anni fa e reca una firma illustre, quella di Benedetto Croce: “Perché difendiamo, per il bene di tutti, quadri, musiche e libri, e non difendiamo le bellezze della Natura?” si chiedeva il grande storico e filosofo nella presentazione del suo disegno di legge sulla Tutela delle bellezze naturali (divenne legge nel 1922). A spingerlo fu senza dubbio il suo amore per il paesaggio naturale, per le bellezze storiche e i monumenti; ma a segnarlo era stato il terremoto del 1883 di Casamicciola (!). Lui, “sepolto fino al collo”, sopravvisse, ma fra le 2.313 vittime vi erano anche i suoi genitori e la sorella. Quella legge ne ha ispirate altre e anche l’articolo 9 della Costituzione, al quale nel febbraio 2022 è stato aggiunto il comma: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Ecco, di norme ce ne sono abbastanza, manca solo la volontà di passare dalle parole ai fatti. Che sia l’anno buono prima che sia, ancora una volta, troppo tardi?
La frana di Ischia (foto Vigili del Fuoco)