LA MISERICORDIA CONTINUA IL SUO CAMMINO

IL PAPA VENUTO DA LONTANO STA SGRETOLANDO, CON GESUITICA PERSEVERANZA E FRANCESCANO SORRISO, LE MURA DELLA VECCHIA CITTADELLA ASSEDIATA DAI BARBARI DEL RELATIVISMO CULTURALE E DEL MODERNISMO ANTICATTOLICO Il dibattito a volte è stato aspro, come si conviene a chi si guarda in faccia e cerca la verità nel volto dell’altro. E quei 62 punti della Relatio Synodi, votati uno per uno a colpi di maggioranza e dati in pasto ai giornalisti e alla pubblica opinione, nonché voluti da papa Francesco in persona, sono apparsi, anche ai più timorosi, la dimostrazione vivente che la democrazia – in termini ecclesiali diremmo corresponsabilità – ha preso piedi anche dentro le fondamenta di un monolite monarchico come la chiesa cattolica. E mai come oggi i lavori di un sinodo, seppur straordinario, sono stati seguiti con un’attenzione tale da far qualche volta confondere obiettività dell’informazione e passione ecclesiale.

Il coraggio di Francesco sta spiazzando tutti. Perfino i suoi amici. Con un’azione sobria, lenta ma continua, il papa ricostruisce il tempio di una chiesa arroccata su se stessa e le dona nuova umanità e voglia di misericordia.

Sta sgretolando le mura della vecchia cittadella assediata dai barbari del relativismo culturale e del modernismo anticattolico, il papa venuto da lontano. Con gesuitica perseveranza, e francescano sorriso. Senza encicliche, non pronunciando dogmi e condanne. Ai motu proprio preferisce il coraggio dei gesti e la bontà di un sorriso. Alla legge, il lessico dell’anima.

E non c’è momento o parola di Francesco che non vada in questa direzione. Ci si parla chiaro, si vota, anche su questioni controverse, però poi i padri sinodali applaudono per cinque minuti all’unanimità lo splendido discorso di Francesco a chiusura dell’assise sinodale. La congregazione per la dottrina della fede non fa più la parte del leone, sembra non essere più il giudice severo di una volta. Come se ogni verbo che abbia un pur minimo accenno di somiglianza con dovere, potere, ottenere, sia stato derubricato a lessico di serie “b”. Non per volere di qualcuno. Bensì per un atto liberale e molto evangelico di buona speranza dove il sorriso, la tenerezza, la misericordia, il dialogo con (ogni) uomo, hanno disintegrato le distanze temporali e gerarchiche tra la chiesa che legifera e la chiesa che ama.

Francesco offre la sua solitudine di Petrus al servizio di una chiesa che ha voglia di uscire dal guado della difesa a oltranza dal mondo contaminato. Lo fa alla sua maniera. Magari molto “sudamericana”, come dicono i suoi detrattori. Intanto sta demolendo il tempio dell’ipocrisia burocratica e delle mediazioni curiali. Perché, dopo il capolavoro dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, giudicata dai suoi detrattori materiale per campesinos, che infatti piace tanto al popolo di Dio e ai tanti lontani sparsi per il mondo e molto meno a taluni presbiteri vescovi e cardinali, sta portando la sua (e la nostra) chiesa, con scosse telluriche che sanno di gesti, di volti, di abbracci, verso la terra dell’incontro con l’altro.

La sinodalità. Non a caso fu proprio l’altro uomo solo, Paolo VI, a inventarsi il sinodo. La forza del dialogo, e quindi del parlarsi in faccia, sta avendo con Francesco la sua incarnazione terrena. È profumata di olio santo e di maleodorante polvere di strada. Sa di parresia evangelica, ma non ha paura delle insidie delle umane debolezze.

Sì, fa paura questo Francesco. Oggi ancora di più. Lo avevano messo lì, sul trono di Pietro, per allontanare i (brutti) ricordi di chi aveva scambiato la sede apostolica per una pattumiera di scandali e ripicche, dove il dio denaro era molto più ben voluto del Signore della croce. Non avrebbero mai creduto che Francesco avesse il coraggio di accompagnare la chiesa lungo le strade del vangelo, senza ulteriori deviazioni.

La valenza della discussione al sinodo ha una portata rivoluzionaria, per quanto “rivoluzione” sia una parola mal digerita dai potentati ecclesiastici, e sebbene il più grande rivoluzionario della storia fu proprio Gesù di Nazareth. È rivoluzionaria nello stile, nel modo in cui i lavori sinodali si sono svolti. E quei voti ai 62 punti della Relatio Synodi finale, voluti dal papa in persona, come se fosse la naturale conseguenza di un dibattito aperto e vero, fa entrare, di diritto e di etica, la democrazia all’interno dell’istituzione più graniticamente monarchica  del mondo.

Una democrazia che si aggrappa, però, non ai numeri ma alla forza dello Spirito e alla bellezza del vangelo. Una democrazia che squarcia il velo del tempio e rende la solitudine di Francesco, questa solitudine evangelicamente cristiana e laicamente etica, non un limite ma una straordinaria occasione di nuova speranza.

Tempo fa, Enzo Bianchi diceva che ogni rivoluzione, anche ecclesiale, porta con sé divisioni, anche dure. Ecco perché la solitudine di Francesco è, deve essere, oggi, la forza e il coraggio di un popolo di Dio che vede all’orizzonte i segni, inevitabili, di una terra che abbraccia il cielo.

Non è una questione di gay e divorziati. Qui è in gioco una chiesa che più che accogliere, deve essere accolta. Francesco lo sa. E come per tutti i grandi papi e santi della millenaria storia della chiesa, ce ne accorgeremo un po’ più tardi. Nella speranza che il tragitto sia stato, almeno, un po’ intrapreso.

 

L'ECO di San Gabriele
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