Se diamo uno sguardo ai mesi dell’anno, ci accorgiamo che maggio davvero è il mese della vita, della speranza, di una primavera che sembra voglia rivestirsi degli abiti solenni di una sposa. E la chiesa ha voluto dedicare questo mese alla Madonna, che è la mamma per tutti, anche qui in terra, ed è il grande modello per come ogni donna debba essere mamma.
Ed è forse per questo che, in questo mese, si celebra la Festa della mamma. Le cronache, purtroppo, pare amino mettere in scena le vicende di donne in cui la maternità naufraga in storie che ne sono solo una cattiva ombra, quando invece la maternità è la bellezza irrinunciabile per ognuno che viene alla vita. Credo proprio che sulla terra nessun nome goda della dolcezza di questo titolo di mamma. E Maria si pone come delicatissima maestra, pronta a darci una mano per non smarrire la via della dolcezza e della grande missione a cui è chiamata ogni mamma dal padre, che le affida i suoi figli perché trasmetta loro, con fedeltà e intensità, il suo amore, che è il senso della vita.
Maria, leggiamo nel vangelo, sposa di Giuseppe, certamente aveva il grande desiderio di essere mamma: l’intimo desiderio di ogni donna. Ricordo la festa che faceva mia mamma ogni volta che nasceva un figlio. Era la grande festa di un amore che non era trattenuto in sé egoisticamente, come un tesoro in cassaforte, ma si faceva dono nel figlio. E, quindi, si riteneva che più figli si avevano, più amati si era da Dio. Maria, il figlio, lo ha avuto direttamente da Dio, per opera dello Spirito Santo.
E subito esulta nel Magnificat. Va incontro, restando nella pace, a tutte le disavventure, di cui narra il vangelo. Dà alla luce il Figlio nella povertà di una stalla, perché non c’era posto per loro. Conosce la minaccia di Erode e quindi la fuga in Egitto. Si rattrista quando a Gerusalemme Gesù viene smarrito e trovato dopo tre giorni nel tempio, mentre discute con i dottori della legge, stupendoli tutti. Lo segue poi nella sua missione di Messia, ascoltato, discusso, minacciato tra gli uomini del suo tempo. Gli è vicina sempre, con una discrezione e tenerezza che non ha paragoni, fino a condividere il disegno di salvezza del figlio sotto la croce.
Una condivisione totale, tanto che il vangelo la descrive con un solo verbo: stava. Ed è in questo momento supremo che accoglie l’invito a essere nostra madre: “Donna, ecco tuo figlio”, la madre di tutti, anche di coloro che le stavano uccidendo il figlio tanto amato! Gioisce nella risurrezione e diviene madre della chiesa, stando con gli apostoli, nel cenacolo, il giorno della Pentecoste, per poi accompagnarli nei primi difficili passi.
Oggi, forse, si esalta nella donna il desiderio di realizzarsi, concorrendo nei posti che contano per fare carriera. Ma ciò che davvero fa grande la donna è la sua maternità. Abbiamo bisogno, tutti, della tenerezza e della capacità della mamma a starci vicino sempre. Che poi ricopra ruoli di prestigio, ossia che colori di rosa il parlamento o l’industria, o quello che volete, va bene, ma non deve mai cancellare o reprimere o rinunciare alla sua maternità. Maria è davvero maestra e dolce compagnia per tutte le mamme.
È a questo modello che dovrebbero ispirarsi tutte le donne, se davvero vogliono esprimere la grande missione che Dio ha affidato loro. Ma non solo. Come ricordava papa Francesco in un’omelia a Santa Marta, la maternità di Maria possiamo dire che va oltre ed è contagiosa. Infatti, riprendendo le meditazioni di un antico abate del monastero di Stella, Isacco, afferma che c’è anche una seconda maternità, quella della nostra santa madre chiesa, che ci genera nel battesimo, ci fa crescere nella sua comunità e ha gli atteggiamenti propri della maternità: la mitezza, la bontà; la madre Maria e la madre chiesa sanno carezzare i loro figli, danno tenerezza.
E ha dichiarato che pensare la chiesa senza questa maternità, è come pensare a un’associazione rigida, un’associazione sen-za calore umano, orfana. La chiesa, invece, è madre e ci riceve come madre: Maria madre, la chiesa madre. E non è tutto. Francesco ha affermato che l’abate Isacco ha aggiunto un altro particolare che ci potrebbe scandalizzare, e cioè che anche la nostra anima è madre, anche in noi è presente una maternità che si esprime negli atteggiamenti di umiltà, di accoglienza, di comprensione, di bontà, di perdono e di tenerezza. Ognuna di queste maternità proviene proprio dalle parole di Gesù a sua madre che si trovava sotto la croce.
Mia mamma, che Dio mi lasciò vicina fino a quando aveva 99 anni, l’ultimo giorno della sua vita, conoscendo la mia difficile missione di vescovo, tenendomi stretto per mano, come per affidarmi un testamento, mi disse: “Tu, Antonio, va’ e non fermarti mai”. Che dono, mia mamma!
Preghiamo il Signore che ci faccia sentire sempre, soprattutto nei momenti di maggior difficoltà, le parole: “Figlio, ecco tua madre!” e ritroveremo la serenità e la pace.