IO, SOPRAVVISSUTO DUE VOLTE ALL’INFERNO…

“Dopo l’attentato di Capaci dal quale sono uscito miracolosamente vivo – afferma Giuseppe Costanza – tornato al lavoro sono rimasto vittima di una vicenda surreale… A mio avviso bisognerebbe ricostituire il pool antimafia, sarebbe un segnale importantissimo. Se avessi guidato io saremmo morti tutti…”.

Ventiquattro anni sono pochi per chi è nato nel 1992, ma tanti per chi in quell’anno ha vissuto l’inferno, nel corpo e nell’anima. Il 23 maggio, infatti, la mafia firmò il brutale e sanguinario attentato nei confronti di Giovanni Falcone, simbolo della lotta a Cosa nostra, magistrato rigoroso e brillante contraddistinto da uno straordinario spirito di servizio verso lo stato. Insieme a lui, nell’esplosione avvenuta in un tratto dell’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, a pochi chilometri da Palermo, persero la vita sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Quel poco che restava della loro auto fu ritrovato a oltre cento metri di distanza in un giardino di olivi insieme ai corpi dilaniati degli agenti. La loro Croma marrone, infatti, fu investita in pieno dall’esplosione generata da oltre 500 chili di tritolo sistemati sotto il manto stradale. La Croma bianca, invece, quel pomeriggio insolitamente guidata da Giovanni Falcone, si schiantò contro un muro di detriti creatosi in conseguenza dell’esplosione. A bordo, insieme ai coniugi Falcone, seduto sul sedile posteriore c’era anche il fidato autista del magistrato, Giuseppe Costanza, l’unico sopravvissuto dei tre, colui che da ventiquattro anni, appunto, convive con l’inferno nel cuore. Anche gli altri occupanti della seconda auto della scorta, gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo, uscirono vivi dall’esplosione.

Ovviamente i nati del 92 di quell’attentato e di altri, come ad esempio l’uccisione, quasi due mesi dopo, di Paolo Borsellino, altro magistrato di altissimo valore e degli agenti della scorta, conservano solo le immagini viste in tv e i racconti della carta stampata. Parliamo delle nuove generazioni sulle cui gambe, come ripetevano spesso Falcone e Borsellino nei loro incontri pubblici, continueranno a camminare le loro idee con l’obiettivo di trasmettere nella quotidianità il concetto di legalità e del rispetto delle regole. Giuseppe Costanza, però, come dicevamo, in tutti questi anni ha vissuto un doppio travaglio interiore. Prima l’attentato, poi la complicata per non dire allucinante vicenda legata al suo reinserimento nel mondo del lavoro. Al tutto, poi, aggiungiamo la grande amarezza per essere stato dimenticato. Sia come sopravvissuto della strage di Capaci, sia come ombra fedele di Giovanni Falcone. Otto anni, dal 1984 fino al 23 maggio 1992, trascorsi come autista, amico e confidente. Era il suo uomo di fiducia, non ha saltato un solo giorno di lavoro, lo accompagnava in ogni spostamento e di lui Giovanni Falcone aveva grande stima. Oggi, dopo essersi messo alle spalle con buon senso e intelligenza varie “incomprensioni” che, di fatto, l’hanno visto ai margini delle manifestazioni commemorative, l’ex autista di Giovanni Falcone gira l’Italia incontrando gli studenti. Un’opera assolutamente lodevole, anche perché la scuola resta un importante veicolo per trasmettere ai nostri giovani i giusti valori. L’opera delle forze dell’ordine e della magistratura – non dovremmo mai dimenticarlo – se pur straordinaria avrebbe sempre una forma incompleta e insufficiente senza l’affiancamento di una classe dirigente impegnata quotidianamente, anche con piccole azioni, a combattere ogni forma di illegalità evitando qualsiasi tipo di compromesso. E in questa direzione occorre ricordare sempre che la Fondazione Falcone presieduta dalla professoressa Maria Falcone, sorella del magistrato, in collaborazione con il Miur, nel lontano 2002 ha fatto da apripista avviando, in maniera lungimirante, numerosi percorsi di educazione alla legalità a livello nazionale.

Incontro Giuseppe Costanza proprio in occasione di uno dei suoi tanti incontri. Tra un treno e l’altro ci siamo dati appuntamento alla stazione Termini in una capitale arsa dall’afa. Nonostante alcuni impegni ravvicinati la sua disponibilità non ne risente minimamente. Si mette a completa disposizione del mio registratore, ha tante cosa da raccontargli…

Perché Giuseppe, a distanza di anni, uscire vivo dall’infermo di Capaci l’hai definita una disgrazia?

Perché dopo l’attentato dal quale sono uscito miracolosamente vivo sono rimasto vittima di una vicenda surreale, ho dovuto combattere un’assurda “battaglia” per ottenere riconoscimenti che ritenevo doverosi da parte dello stato nei miei confronti.

A cosa ti riferisci in particolare?

All’epoca, ad esempio, non c’era alcuna legge che tutelasse le vittime del terrorismo. Dopo le mie proteste e il mio agire finalmente è nata la legge 407…

Proteste di che tipo?

Con grande vergogna, lo confesso, nel 1993 mi sono dovuto incatenare dinanzi all’ingresso del tribunale di Palermo per avere un minimo di attenzione su una vicenda che definire assurda è poco. Una mortificazione che non potrò mai dimenticare ma che è stata decisiva per poter accendere i riflettori su quanto accaduto.

Attenzione che si è tramutata in cosa?

Hanno emanato una legge che in qualche modo rende giustizia a quanti restano vittime di atti terroristici.

In questa storia cosa ti ha dato più fastidio?

Sicuramente il mio rientro al lavoro non lo dimenticherò…

Perché?

Dopo l’attentato e quindi la lunga degenza mi sono trovato ad affrontare un altro vero e proprio trauma. Una volta tornato in servizio, infatti, lo stato non sapeva cosa farne di Giuseppe Costanza… Non essendo più idoneo a svolgere il mio precedente incarico il ministero della Giustizia ha allora ritenuto giusto degradarmi retrocedendomi a commesso… Con tutto il rispetto per quanti appartengono a questa categoria lavorativa, la cosa non l’ho proprio gradita…

Il nuovo incarico da svolgere dove?

Sempre nel tribunale di Palermo, anche perché sono un civile e non un militare.

Scusa ma non colgo la differenza…

Per i militari, a differenza dei civili, esiste una norma che li tutela in casi del genere. Come se il piombo che prendo io fosse diverso da quello sparato a un mio collega in divisa…

Dopo il declassamento cosa hai fatto?

Ho iniziato una lunga battaglia legale con l’obiettivo di vedere riconosciuti dei diritti sacrosanti. Così alla fine, riconoscendo l’errore o la leggerezza commessa, il ministero ha ripristinato lo status precedente riposizionandomi al quarto livello.

Con quale incarico?

Nullafacente…

Sarebbe a dire?

Non avevo alcun compito…

E come passavi le giornate?

Girandomi i pollici e tenendo gli occhi sull’orologio in attesa che arrivasse il momento di timbrare il cartellino e tornare a casa…

Una sorta di fantasma…

Proprio così. Dopo aver svolto per otto anni un incarico di responsabilità e di fiducia accanto a un magistrato del calibro di Giovanni Falcone, d’un tratto mi sono ritrovato inutilizzato…

Quanto è durata questa assurda vicenda?

Dieci anni…, finché non ho retto più il peso di quella situazione alienante… Così sono finito in malattia…

Per quanto tempo?

Diciotto mesi.

E poi?

Quando un dipendente pubblico supera questo limite deve sottoporsi a una visita medica collegiale. In quella occasione, dunque, hanno stabilito che non ero più idoneo a svolgere una qualsiasi funzione nell’ambito dell’amministrazione. A quel punto sono stato collocato in pensione.

Con buona pace di tutti quanti…

Esattamente… Anche perché credo di aver fatto un favore a molti togliendo il disturbo…

Tornando al tuo incarico di autista e al tempo trascorso a stretto contatto con Giovanni Falcone, perché hai scelto di disertare le manifestazioni in memoria delle vittime di Capaci?

Tutto ebbe inizio quando il presidente del Consiglio Romano Prodi, subito dopo il suo insediamento, fece visita a Palermo alla Fondazione Falcone. Seppi dell’evento dai giornali così, di mia iniziativa, mi presentai all’incontro. Non avendo però un invito ufficiale il servizio d’ordine mi sbarrò l’ingresso…

Ti eri qualificato?

Certamente, però non servì a niente. Restai fuori.

Cosa pensasti?

Che probabilmente c’erano stati dei problemi nella stesura degli inviti o nella consegna degli stessi. Siccome la cosa si è ripetuta negli anni, ovviamente qualche cattivo pensiero l’ho fatto…

Stai dicendo che non sei mai stato invitato alle varie commemorazioni?

Mai, nonostante abbia più volte segnalato questa carenza… Dopo 22 anni, però, un giorno sono stato chiamato al telefono di casa dalla professoressa Maria Falcone che mi invitava a vederci in Fondazione. Ci siamo parlati e spiegati. Pensavo, mi disse, che ognuno di noi avesse preso la propria strada…

E tu?

Le dissi che la mia unica strada era quella che quel maledetto 23 maggio mi era saltata sotto i piedi a Capaci… Alla fine, comunque, ci siamo chiariti e in occasione del successivo anniversario ho ricevuto con grande gioia l’invito alla manifestazione in programma nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. Stiamo parlando del 2014. Tra i tanti posti riservati, però, mancava la sedia con sopra il mio nome… Una signora dell’organizzazione, allora, molto gentilmente vedendomi in difficoltà recuperò una sedia da un’altra stanza e la collocò tra le varie file. Mi aspettavo che nel corso della commemorazione qualcuno segnalasse anche la mia presenza, purtroppo non andò così. Se non ci fossi stato non sarebbe cambiato nulla… Così, nonostante l’invito l’anno dopo non andai.

Lo scorso 23 maggio però sei tornato nell’aula bunker di Palermo…

Sì, anche perché recentemente ho notato una sorta di risveglio da parte delle istituzioni nei miei confronti…

Cioè?

Sono stato contattato dalla dottoressa Giovanna Boda, direttore generale del Dipartimento per l’istruzione per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione, che mi ha invitato a Roma. Scusandosi per quanto accaduto nel passato, si è mostrata particolarmente sensibile nei confronti della mia vicenda. Tra l’altro, in occasione dell’ultima manifestazione di Palermo a cui facevi riferimento, ha fatto sì che tutte le personalità che negli anni precedenti sfilavano sul palco trovassero collocazione in mezzo alla gente “comune”. Inoltre le ho fatto i nomi anche di altri “sopravvissuti” ai quali ha inoltrato l’invito.

Una volta lasciato l’ospedale e tornato alla vita di tutti i giorni, chi ti è stato più vicino?

Direi nessuno, anche perché più parlavo più si creava il vuoto intorno a me… Un giorno, poi, mi telefonò un assessore del Comune di Bologna, Nadia Monti, dicendo che voleva conoscermi. Aveva saputo del mio disagio e della mia assurda situazione. Mi venne a trovare a Palermo e da quel momento è nato tra noi un sincero rapporto di collaborazione. Sono andato spesso a Bologna a parlare alle scolaresche raccontando la mia storia. Fu allora che intorno al mio nome iniziò ad aleggiare un’aria direi positiva, suscitando anche l’attenzione delle istituzioni. Oggi, dunque, a distanza di tempo non posso che dire grazie a Bologna, neanche a Palermo ho trovato una simile sensibilità.

Ma con la professoressa Maria Falcone non hai avuto modo di chiarirti ulteriormente? Lei, infatti, non avrebbe avuto alcuno interesse a non invitarti…

Sì, tramite la dottoressa Boda ci siamo nuovamente incontrati e abbiano messo una pietra sopra a tutte le incomprensioni. Il nostro rapporto è ripartito come nuovo e spero proprio che le sensazioni positive registrate vengano confermate negli anni a venire.

In alcune dichiarazioni rese alla stampa hai parlato di antimafia di facciata… A cosa ti riferisci in particolare?

A tutta quella gente che si è messa in mostra dopo l’attentato di Capaci e che di fatto mi ha emarginato. Sarei dovuto essere uno dei testimoni di quanto accaduto, invece per far ascoltare la mia voce sono stato costretto a rivolgermi alla stampa e ad adottare iniziative eclatanti di cui ancora oggi sono mortificato…

Ti stai battendo per la ricostituzione a Palermo del pool antimafia. Perché?

Sarebbe un segnale positivo nella lotta alla criminalità organizzata. Un segno forte che lo stato dovrebbe dare a tutta la collettività. Dire, cioè, che l’indicazione di Caponnetto e Falcone di costituire un pool antimafia era più che mai giusta. Ripeto, a mio avviso sarebbe la strada migliore per trasmettere fiducia e speranza alla popolazione.

Concretamente quali effetti positivi sortirebbe?

Ad esempio in caso di accertamenti e indagini tutti i componenti del pool verrebbero a conoscenza dell’oggetto, più persone conoscerebbero i fatti complicando, così, la vita ai mafiosi… Condividere le notizie contenute nei vari fascicoli in modo da evidenziare eventuali relazioni e dinamiche mafiose, significherebbe compiere passi fondamentali nelle indagini.

Ritieni che questo possa avvenire?

Credo sia molto difficile se non addirittura impossibile, anche perché potrebbe scatenarsi una lotta tra i vari poteri…

Lasciamo l’attualità e torniamo a quel pomeriggio del 23 maggio 1992. Chi ti disse di andare all’aeroporto di Punta Raisi?

Quella stessa mattina, alle sette, mi chiamò a casa il dottor Falcone comunicandomi l’orario del suo arrivo a Palermo.

Accadeva sempre così? Era questo il protocollo?

Certamente, ero io il suo contatto diretto. Poi giravo il tutto agli uomini della scorta.

Nel viaggio di andata notasti qualcosa di strano?

Mentre viaggiavo verso l’aeroporto, con lo sguardo andai sull’altra corsia e vidi ferma in autostrada una Fiat 131. Successivamente segnalai questo episodio alle autorità inquirenti, ma non ho mai avuto più notizie in merito. Probabilmente era un qualcosa di irrilevante.

Cosa ti disse Falcone una volta sbarcato? Di che umore era?

Nulla di diverso dalle altre volte, dopo i saluti di rito senza dirmi niente si mise alla guida dell’auto e sua moglie si accomodò accanto a lui.

Solitamente chi guidava?

Quando era solo guidavo sempre io. In quel tragitto dall’aeroporto a Palermo era la prima volta che si metteva alla guida…

Nulla di strano neanche al ritorno?

Nulla.

Di cosa parlaste durante il viaggio?

Del fatto che una volta arrivato Palermo lui avrebbe dovuto incontrare alcuni magistrati pertanto non si sarebbe fermato a casa. Visto allora che avrei dovuto accompagnare sua moglie, gli dissi che avrei avuto bisogno delle mie chiavi per riprendere la macchina il lunedì successivo. Lui, allora, istintivamente tirò fuori la chiave di accensione dal quadro della macchina… Io, allora, con tono preoccupato gli dissi: “Dottore cosa fa? Così ci ammazziamo…”.

E lui?

Si girò verso di me e, annuendo con la testa, si scusò inserendo nuovamente la chiave nel cruscotto. Quell’imprevisto, probabilmente, mi salvò la vita…

Perché?

Eravamo nei pressi dell’uscita di Capaci e la macchina, una volta spenta, rallentò la sua corsa facendoci perdere qualche metro. Quel tanto per non essere colpiti in pieno dall’esplosione…

La moglie commentò l’episodio delle chiavi?

No, non ci fu neanche tempo perché qualche istante dopo si scatenò l’inferno… E i miei ricordi si fermano lì.

In quali condizioni fisiche arrivasti in ospedale? Quanto tempo sei stato ricoverato?

Per un periodo sono stato in coma. Mi fu asportata la milza, ricucirono una parte dell’intestino, mandibola e denti fratturati, un problema all’occhio sinistro, un trauma cranico, un serio problema alla colonna vertebrale con cinque ernie discali e una forte contusione alla spalla destra…

Quando hai saputo della morte di Giovanni Falcone, di sua moglie e dei tre agenti della scorta?

Fui informato molto tempo dopo, ero ancora in ospedale. Inizialmente mi dissero che era successo un incidente, solo successivamente venni a conoscenza dell’attentato. Quando mi svegliai dal coma una delle prime persone che vidi fu il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

Dopo essere stato informato della strage quale fu il tuo primo pensiero?

All’inizio sinceramente credevo che il giudice Falcone fosse ancora vivo e che l’avessero messo in sicurezza… Col passare dei giorni, però, mi resi conto che purtroppo non era così.

Una volta dimesso dall’ospedale sei subito andato a Capaci…

Mi sono fatto accompagnare sul luogo dell’attentato, se non ci fossi andato in quel momento probabilmente non sarei più riuscito a passare da quelle parti… In un certo senso ho voluto esorcizzare ciò che mi era rimasto dentro.

Cosa hai provato?

Sono restato basito, davanti a me c’era un cratere immenso e delle due corsie autostradali nessuna traccia… C’erano solo i segni della distruzione e della morte. A distanza di anni ancora sono sconvolto, nella mia mente i ricordi si fermano all’episodio delle chiavi. Qualcuno mi ha detto che magari, un giorno, qualcosa potrebbe tornare più chiaro nella mia mente, ma visto il tempo trascorso non ci credo più… Forse si tratta di un’autodifesa del cervello dinanzi a tale scempio…

In base alla dinamica dell’esplosione, dunque, se Falcone e sua moglie si fossero seduti dietro probabilmente oggi sarebbero ancora vivi, mentre tu…

No, non è così. Il sistema che solitamente adottavamo con me alla guida prevedeva una disposizione diversa…

Puoi spiegarcela?

Quel pomeriggio Falcone guidava come un normale automobilista, mentre con me c’era un protocollo da seguire. In pratica io e le due auto di scorta ci tallonavamo lateralmente occupando l’intera carreggiata. Una macchina avanti sulla sinistra, l’altra subito dietro a destra e la terza a sinistra a chiudere la fila. In quel modo non c’era alcuna possibilità d’ingresso per un altro veicolo all’interno di quella sorta di “triangolo”. In quel caso, però, le tre le macchine sarebbero state investite in pieno dall’esplosione in quanto avrebbero occupato quasi lo stesso spazio.

Per la velocità avevate un limite ben preciso?

L’andatura la decideva il caposcorta e noi ci adeguavamo. Quel giorno, invece, essendo lui alla guida si viaggiava con una sorta di tiremmolla. Quando vedeva che il caposcorta allontanarsi troppo accelerava, viceversa rallentava…

Che tipo era Giovanni Falcone?

Ricordo l’impegno straordinario di un magistrato che lavorava duramente e nello stesso tempo pretendeva anche tanto da chi gli stava attorno. Dava veramente tutto, il lavoro per lui era una sorta di missione. Non a caso, infatti, la sua vita si divideva tra il tribunale e casa sua. Aveva la scorta perennemente incollata, una vita blindata che soffocava la sua libertà…

Che rapporto c’era tra voi?

Di assoluta fiducia e rispetto.

Lo accompagnavi anche nei viaggi fuori dalla Sicilia?

È accaduto solo una volta, in tutti gli altri spostamenti invece c’ero sempre io. Non avevo sostituti.

Quindi anche la tua libertà, in qualche modo, aveva delle limitazioni…

In un certo senso è così. Quando lui richiedeva la mia presenza non c’erano Natale, Capodanno e ferie… Anche gli orari erano approssimativi. Se gli impegni andavano oltre, restavo a sua completa disposizione.

Dopo il tuo recupero fisico sei stato mai ascoltato dagli inquirenti?

No, e credo che avrebbero dovuto farlo visto che ero a conoscenza di diverse cose e testimone di alcuni episodi significativi.

Tipo?

La settimana prima dell’attentato andai a prenderlo all’aeroporto e in macchina, con tono soddisfatto, mi disse “È fatta, sarò il procuratore nazionale antimafia”. Rileggendo il tutto a distanza di tempo ritengo che quell’incarico potrebbe essere un importante chiave di lettura dell’attentato.

Ritieni sia stato il movente della strage?

È un mio pensiero e nessuno può togliermelo dalla testa, anche perché va a ricollegarsi ad altri fatti accaduti.

Ad esempio?

Al fallito tentativo di attentato sulla scogliera dell’Addaura, nel 1989, dove c’era la villa di Giovanni Falcone. L’artificiere che con una mini carica aprì la cassetta contenente l’esplosivo, dichiarò che il timer era andato distrutto. Cosa non vera in quanto ero lì e avevo visto tutto. Lo dissi anche al processo di Caltanissetta che successivamente condannò il maresciallo dei carabinieri imputato di false dichiarazioni al pubblico ministero e favoreggiamento nell’ambito del fallito attentato.

Ti sei mai chiesto in questi anni perché mettere in scena un attentato così complicato e “scenografico” quando invece sarebbe stato più semplice colpire il magistrato fuori dalla Sicilia, magari in occasione di uno dei suoi frequenti viaggi di lavoro a Roma?

Se Giovanni Falcone fosse stato ucciso nella capitale, tra l’altro cosa più semplice visto che spesso si muoveva liberamente, avrebbe avuto un significato diverso rispetto alla strage di Capaci. A Roma si sarebbero potute ipotizzare varie piste, a Palermo, invece, sarebbe stata chiara la firma della manovalanza di Cosa nostra…

Se ritieni manovalanza i vari Brusca, Riina e Provenzano, dai per certo che l’ordine sia arrivato da un livello superiore…

Sì, ritengo che quegli arresti abbiano colpito solo la manovalanza della mafia… A mio avviso sono gli esecutori e non i mandanti. Ritengo, infatti, che sopra di loro ci sia un livello più alto che muove i fili…

A quale mondo ti riferisci?

Ce ne sarebbero tanti, politico, economico, affaristico, eccetera… Io, però, non sono in grado di rispondere alla tua domanda. Chissà, magari un giorno sapremo…

Dell’inchiesta sulla presunta trattativa stato-mafia che ne pensi?

Non me ne sono mai interessato…

Un’idea però ce l’avrai…

C’è un processo in corso, aspettiamo le conclusioni…

Non ci potrebbe essere anche questa tra le ipotesi dell’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?

Certamente, anche se nel caso di Giovanni Falcone ritengo più verosimile l’imminente nomina.

Falcone ti aveva mai confessato la paura di essere ucciso…?

Sia lui che io avevamo messo in conto questa ipotesi… Eravamo sempre all’erta, sapeva benissimo di essere finito nel mirino… Certamente, però, nessuno si aspettava un attentato del genere…

Ricordi qualche aneddoto particolare?

Mi raccomandava sempre di essere scrupoloso, di controllare la macchina… Addirittura una volta disse di procurami un bastone e controllare il tubo di scappamento prima di avviare l’auto…

A proposito, la macchina che usavate dov’era parcheggiata?

Nei pressi della sua abitazione c’era una postazione della polizia e ogni sera veniva lasciata in custodia a loro.

Tu vorresti riportare a Palermo quel che resta della Fiat Croma di Giovanni Falcone…

È giusto che sia così, l’attentato è avvenuto a Palermo, perché allora dev’essere esposta a Roma? In quella macchina c’ero anch’io…

Che ne pensi dei collaboratori di giustizia?

Credo che al netto di tutto i pentiti abbiano fornito un contributo importante alla lotta alla mafia.

E delle intercettazioni?

Le ritengo importantissime. Se togliamo pure quelle cosa ci resta…?

Il Movimento 5 Stelle, recentemente, ha chiesto ufficialmente che tu venga ascoltato dalla Commissione antimafia…

Lo ritengo un fatto positivo.

A tuo avviso la Sicilia dopo il periodo stragista ha saputo dare segnali forti di riscossa e di ribellione civile oppure è sempre vittima dei tentacoli della mafia?

Dal profondo del cuore spero che ci sia un effettivo risveglio da parte della società civile nei confronti della mafia. Non dimentichiamoci, infatti, che la mafia sa inabissarsi e mimetizzarsi come nessun altro. Le stragi, ovviamente, sono state controproducenti sia per lo stato, che ha pagato prezzi altissimi, sia per la mafia a cui sono stati assestati colpi pesanti…

Che idea hai del mondo della politica?

Io non vesto alcuna casacca, dico solo che soffro nel vedere persone dal passato e dalla coscienza poco limpidi ricoprire incarichi importanti… Chi ci rappresenta, infatti, non dovrebbe avere alcuna macchia, tanto meno scheletri nell’armadio… E i partiti dovrebbero dare un segnale chiaro in questa direzione.

Sei credente?

Certamente. Se sono ancora in vita lo devo a nostro Signore…

Se potessi per un attimo rivedere Giovanni Falcone cosa gli diresti?

Magari… Per me sarebbe una gioia indescrivibile. Se fosse rimasto in vita avrebbe saputo dove mettere le mani. E noi tutti avremmo visti i risultati…