IL VOLTO DI CELESTINO V
Il prossimo 28 agosto la porta santa della basilica di Collemaggio sarà aperta dal cardinale Domenico Calcagno, presidente del Patrimonio della sede apostolica (Apsa). Si tratta della 719esima edizione dell’annuale giubileo aquilano, istituito per volere di papa Celestino V Il Signore faccia risplendere su di te il suo volto era la biblica benedizione del profeta a intendere che il Signore possa essere presente in te con tutta la sua potenza e completezza. Oggi, per intendere un’opera irrinunciabile e strategica, si dice “ci metto la faccia” cioè mi ci impegno con tutto me stesso, con tutto il mio corpo e la mia intelligenza. Hanno fatto una ricognizione di quello che resta del corpo di Celestino V e nell’occasione hanno cercato di raffigurare il volto con scansione computerizzata sul cranio (quello col foro). Ne risulta una maschera di argento tanto improbabile quanto incerta.
Ma da sempre tutti si affannano a dare un volto al santo; parlo di volto in senso compiuto come nelle premesse: chi era veramente, come la pensava, come si poneva in termini sociali e di relazione, quale la sua strategia in tema di solidarietà sociale, eccetera. E su questi argomenti sono stati scritti tantissimi articoli, libri, trattati. Perfino congetture esoteriche e della new age, divulgate ad arte da personaggi della peggiore massoneria, lo hanno tirato per la giacca, perché nascosto, non definito e quindi strumentalizzabile. Dai documenti cui abbiamo avuto accesso (ahimè assai pochi) non è possibile dare risposte certe. Nel senso che non si evince chiaramente quale fosse il suo pensiero in tempi assai confusi per il mondo intero e soprattutto per la chiesa (tempi di scomuniche e di roghi, di crociate e di schiavitù dei servi della gleba).
Per giunta, ci si mette anche la Damnatio memoriae iniziata con il suo successore Bonifacio (che tanti vorrebbero redimere o giustificare anche a dispetto dell’evidenza e della verità), in nome della quale perfino i simboli celestiniani sugli affreschi e sugli architravi vennero scalfiti. La documentazione sulla vicenda terrena di san Celestino V, gli atti, i documenti del suo ordine eccetera, vengono mantenuti segreti in luoghi inaccessibili. La calunniosa attribuzione di viltà del presunto riferimento di Dante a Celestino nella sua opera ha relegato per tantissimi anni la figura di san Celestino V nel disprezzo delle istituzioni, comprese quelle ecclesiastiche.
Poi, grazie alla tenace opera del centro internazionale di studi celestiniani che ha promosso convegni di spessore internazionale e animato dibattiti culturali sul tema, coinvolgendo il mondo cosiddetto culturale (per me pseudoculturale) di chi decide la cultura scolastica, i ministeri e la scuola, si dimostra e si riconosce che Dante non voleva né poteva riferirsi a Celestino V, ma a Ponzio Pilato.
Ma il danno (scientificamente voluto e studiato in maniera demoniaca) è stato enorme per le sorti della chiesa, impedendo alla stessa di godere dei benefici spirituali che l’esperienza celestiniana ha strutturato in quel periodo: non è stato possibile dare seguito alle opere di carità organizzata, alla scelta del primato dello spirito sul potere temporale della chiesa, e così via.
Certo, per quei tempi forse era assai prematuro e troppo sconvolgente una scelta così radicale. Ma nessuno può confutare il fatto che san Celestino V, come una delle più alte figure di santità della chiesa, è considerato come colui che ha inaugurato l’era dello spirito (l’angelo del settimo sigillo dell’Apocalisse, in proposito vedasi lo studio di Raul Manselli Celestino V il papa angelico) nella dinamica fasica della scuola profetica di Gioacchino da Fiore. Ma è anche vero che per malignitade plebis (come ebbe a dire lui stesso nelle motivazioni della sua rinuncia al papato) tutto il processo di rinnovamento, tanto atteso quanto attentamente programmato, non fu condiviso. A nulla servì la costruzione a L’Aquila della basilica di Collemaggio che, destinata a conservare le più importanti reliquie della passione di Gesù, doveva rappresentare la nuova chiesa spirituale, contrapposta a quella temporale di Roma. A nulla servirono le bolle papali tendenti a governare la chiesa con metodi di misericordia, a nulla servirono le tantissime fraterìe disseminate in tutto il territorio con il compito di tessere una rete amicale dell’economia attenta ai bisogni di tutti in un processo lavorativo leale e virtuoso, a nulla l’istituzione delle fiere dove lo scambio economico dei prodotti e delle merci era improntato su principi di rispetto e di pace: “E venne lo Spirito, ma non se ne accorsero!” (Apocalisse – san Giovanni).
La restaurazione fu tanto violenta quanto immediata, come se il demonio, con rabbiosa reazione, cercasse in tutti i modi di evitare l’azione dello Spirito, il quale, nella previsione di Gioacchino da Fiore, avrebbe da solo con la sua azione guidato i credenti, senza bisogno di architetture o organizzazioni umane: figuriamoci se i cardinali, i vescovi, i prelati eccetera avessero avuto voglia di seguire l’esempio di Celestino V nelle dimissioni e di servire il popolo in termini evangelici! Non adesso, figuriamo a quei tempi!
Ma i tempi dello Spirito non li dettiamo noi. Forse è nell’indole umana quella di essere costretti al cambiamento dopo un periodo di esperienza di degrado, che faccia comprendere e apprezzare i valori dello spirito dopo l’esperienza del disvalore.
Le visite ripetute di papa Benedetto a san Pietro Celestino, propedeutiche alle sue dimissioni, la dicono lunga sulla attualità e necessità di riaffermare l’assoluta priorità dello Spirito sulla chiesa. Anche la consegna del suo pallio a Celestino la dice lunga sulla “rivalutazione” del santo, come a consegnare a lui stesso le sorti del potere della chiesa e chiamandolo in causa per una nuova battaglia. Le dimissioni di Benedetto, studiate a lungo e motivate con le stesse argomentazioni di Celestino, tendono al rinnovamento (“per il bene della chiesa” come lui afferma) e hanno posto il collegio dei cardinali di fronte alla storica ed eterna scelta: quella dello Spirito.
“Eminentissimi padri, tornate a Cristo affinché le vostre porpore non abbiano ad ammantarsi di vergogna!” – esortazione di Celestino V al collegio dei cardinali. È stato eletto un papa nuovo, si è voluto chiamare Francesco. Annuncia rinnovamento, cambia protocolli e mantiene abitudini comuni di sobrietà e mitezza. Invoca misericordia. Esilia cardinali infedeli. Fustiga l’economia disumana (con particolare riferimento allo Ior del quale annuncia riconversioni) e sceglie di essere vicino ai poveri (“Quanto desidero una chiesa povera!”- “Sono il vescovo di Roma” – papa Francesco). Adesso ci è chiaro, perché ci fu garantito che “le forze degli inferi non prevarranno su di essa…” (la chiesa). Ma allora sarà forse l’inizio della fine del potere temporale della chiesa? E forse anche del primato? Vediamo tempi nuovi, finalmente.
Ecco, allora, il volto di Celestino: a me era già chiaro prima, perché lo vedevo ben definito nelle sue opere, nell’ancora fresco ricordo dei nostri nonni che abbiamo incontrato numerosi nei sobborghi frequentati dal santo settecento anni fa, nei valori radicati nella gente, maturati e rafforzati dall’esperienza celestiniana che modificò radicalmente già allora il modo di organizzare, relazionare, governare, coabitare, lavorare e che portò in quel periodo uno stato di benessere che ancora oggi è ritenuto utopia. Una sorta di isola temporale felice nella storia dell’uomo.
Oggi vedo che è possibile ricostruire l’isola, basta dare forza a questo pontefice, rimboccandosi le maniche ed esserci, mettendoci la faccia. Il volto di Celestino non è quello della maschera d’argento, è quello di ogni fratello che con lui condivide la sorte del cristianesimo, che porta la croce quotidiana e che ama con le opere. Così tutti i volti sono a immagine e a somiglianza di Dio, compreso quello di Celestino.