I sondaggi ci descrivono pessimisti, stressati, dominati dall’incertezza, sfiduciati. Abbiamo bisogno di una iniezione di ottimismo per smettere di ripiegarci su noi stessi e guardare al futuro con speranza. La storia dimostra che abbiamo dato il meglio di noi stessi quando abbiamo saputo cogliere le opportunità dietro i problemi. “Aiutati che Dio ti aiuta”
L’ottimismo è il profumo della vita, recitava un vecchio slogan pubblicitario. Un profumo piuttosto raro in Italia. Infatti gli italiani sono pessimisti, anzi tra i più pessimisti al mondo, terzi in questa triste graduatoria (ricerca Gallup International del 2019). Come tutte le indagini sociologiche, anche questa è da prendere con cautela e tuttavia fotografa un atteggiamento largamente diffuso nel paese, confermato dall’ultimo Rapporto Censis che parla di stato d’animo degli italiani dominato dall’incertezza e di un popolo sfiduciato, rancoroso, stressato.
Ben venga allora una iniezione di “vaccino dell’ottimismo”, come suggeriva recentemente il giornale Il Foglio, a guarire il malessere italiano, i cui sintomi sono sotto gli occhi di tutti. Ne è prova, tra l’altro, l’instabilità politica: delusi dai partiti tradizionali ci si affida a chiunque promette soluzioni facili e immediate, dimostrando una pericolosa attrazione per “l’uomo forte”, delegato a risolvere tutti i problemi. Ne è conferma la bassa natalità: decidere di generare un figlio è un atto di speranza, un investimento sul futuro, ma l’Italia ha un indice di natalità fra i più bassi e difatti è il secondo Paese più vecchio al mondo. C’è il fenomeno preoccupante dei cosiddetti Neet (Né – né all’italiana), milioni di giovani che non studiano, non lavorano, non sono in formazione e non cercano lavoro. Giovani delusi, senza speranza e senza futuro. In Europa la media dei Neet è del 12%, in Italia è del 23,4%.
Per gli immigrati che arrivano in Italia c’è allarme sociale ma ci si preoccupa meno del fatto che sono più numerosi i giovani italiani senza prospettive che lasciano il Paese. Sono per lo più diplomati e laureati, quindi la parte più preparata del paese, educati a nostre spese e “costretti” a produrre altrove i frutti dei loro studi. La ricchezza di un Paese dipende oggi dalla preparazione culturale e scientifica del suo popolo ma l’Italia è agli ultimi posti in Europa per numero di laureati e quei pochi che abbiamo sono indotti a lasciare.
Sia ben chiaro, l’Italia è ancora un grande Paese, con risorse ed eccellenze uniche, e gli italiani sono un popolo con tanti difetti ma straordinarie capacità creative e una grande ricchezza di rapporti umani solidali (vedi volontariato). Fa rabbia perciò che da una ventina di anni l’Italia sia sulla china di un declino lento ma inarrestabile. Colpa della politica, certo, ma anche dell’atteggiamento rassegnato di gran parte della popolazione.
Provvidenziale perciò appare una endovena di ottimismo che sollevi gli italiani dal ripiegamento su se stessi, spinga a superare l’immobilismo, a darsi da fare in prima persona e a guardare al futuro con speranza. Una speranza attiva e operosa perché l’ottimismo non è ingenuità, tanto meno pigrizia. L’ottimismo spinge all’azione, rende tenaci, resilienti, socievoli. L’ottimista sa cogliere un’opportunità dietro un problema.
La storia insegna. La situazione dell’Italia oggi non è lontanamente paragonabile a quella di fine guerra quando, nel 1946, il Paese era un cumulo di macerie, con la migliore gioventù falcidiata dal conflitto; eppure i nostri padri, armati di forza di volontà, in una decina di anni realizzarono il miracolo economico italiano. Certo all’ora c’era una classe politica, che pur ideologizzata, è stata capace di mettere il bene comune al di sopra delle ideologie.
Il vaccino dell’ottimismo gli italiani lo possono trovare soprattutto nella fede cristiana, che impegna all’amore del prossimo, a dare il meglio di se stessi in ogni occasione, con un Dio amorevole e misericordioso che tuttavia non si sostituisce alla pigrizia dell’uomo, ma incoraggia all’azione, come ben sintetizza il detto popolare “Aiutati che Dio ti aiuta”. “Chi lotta può perdere. Chi non lotta ha già perso”.