IL BOSCO DI CAPPUCCETTO ROSSO…

I nostri ragazzi sono collegati, attraverso i social e non solo, per molte ore al giorno. Questo moltiplica i rischi e i potenziali pericoli. Il parere degli esperti

Il web per i bambini è come il bosco di Cappuccetto Rosso: pieno d’insidie, anche se non mancano le opportunità e le occasioni di crescita. Per continuare nella metafora, la protagonista della fiaba dei fratelli Grimm attraversò il bosco solo alcune volte, i nostri bambini e ragazzi sono collegati sul web, attraverso i social e non solo, per molte ore al giorno. E questo moltiplica i rischi e i potenziali pericoli. La storia di Antonella Sicomero, la bambina di 10 anni morta il 20 gennaio scorso a Palermo, ha portato alla ribalta la questione dell’utilizzo di Internet da parte di bambini e adolescenti, dei controlli della famiglia (se e quando c’è), delle sfide estreme che si consumano in questo ambiente che non è affatto virtuale, tra genitori ignari ed educatori spiazzati. Un caso di cronaca emblematico anche per un altro motivo, perché è capitato nel pieno della pandemia dove l’utilizzo del web da parte di tutti, ragazzi e adulti, è stato e continua ad essere fondamentale per poter lavorare, frequentare le lezioni, avere relazioni.

Antonella abitava con la famiglia in una modesta abitazione di via Schiavuzzo, nel quartiere popolare della Kalsa, in pieno centro storico di Palermo. La sera del 20 gennaio aveva detto ai genitori che stava facendo la doccia. Passano i minuti ma Antonella, da quel bagno, non esce più. “Vai a vedere che fine ha fatto tua sorella”, dicono i genitori alla figlia più piccola, cinque anni appena. La porta non è chiusa a chiave e così, a un certo punto, la sorellina la apre. La scena che si trova di fronte è raccapricciante: Antonella per terra, con la cintura dell’accappatoio al collo. Poi le urla, l’arrivo immediato dei genitori: Antonella non respirava più. Fra le grida strazianti, la richiesta di aiuto, il 118 che risponde con un disco e con un messaggio registrato e allora la corsa in automobile, in orario di poco anteriore al coprifuoco. Alla fine An-tonella non ce l’ha fatta e i genitori hanno deciso di donare gli organi. È stata l’altra sorella, 9 anni, a spiegare ai genitori perché la bambina avesse una cintura intorno al collo: “Stava facendo il gioco dell’asfissia, io lo so”, ha detto. Il sospetto, fin da subito, è che stesse partecipando al Black out challenge, una sfida che consiste nello stringersi una cintura attorno al collo e resistere il più possibile. Il tutto riprendendosi con il cellulare. Sul caso iniziano a indagare sia la procura ordinaria sia quella minorile, la polizia postale sequestra il cellulare della bambina per saperne di più anche se l’analisi tecnica richiede tempi lunghi. TikTok, che è un social network come Facebook, Twitter e Instagram, finisce sul banco degli imputati.

“Le challenge – spiega Federico Rognoni, 20 anni, social media strategist e influencer, con 246 mila follower – sono una componente fondamentale di TikTok. Quelle normali, come balletti, giochi e cose del genere, sono molto frequenti: un influencer di spicco lancia una sfida e tanti suoi follower parteciperanno. Poi, però, possono diffondersi sfide molto più pericolose, come la black out challenge, che è una sorta di gara di apnea fino a svenire, o peggio: in periodo pandemico, per la noia, i più giovani possono essere ancora più vulnerabili”.

Antonella, oltre all’account su TikTok, aveva almeno tre profili su Facebook e navigava online con grande disinvoltura nonostante fosse ancora una bambina.

Fuori dai social?

Infuria il dibattito: i bambini vanno tenuti fuori dai social? “Decisamente sì – spiega Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva – è come dire a tuo figlio di dieci anni: Esci di casa, prendi il treno per Milano o Roma, passa una bella giornata e torna alla sera. I bambini non hanno abilità per fare questo, e se non le hanno non possono inventarsele. Devono essere allenati, preparati, istruiti. Le neuroscienze ce lo dimostrano in tutti i modi: quello dei social – ma la rete in generale – è un territorio iperstimolante, ipereccitante. Ed entrare in quei territori senza le difese specifiche è rischioso, perché ci si può fare davvero molto male”.

TikTok è frequentatissimo da bambini, anche con il consenso delle famiglie. Si è pensato che fosse un social a misura dei più piccoli. “Invece – sottolinea Pellai – è una fiera dell’esibizione, della sessualizzazione precoce, della seduzione, della competizione: per quale motivo devo far entrare mio figlio dentro a quella dimensione? Io non riesco a pensare che ci sia un TikTok a misura di un bimbo di 10 anni, così come non c’è un sito pornografico adatto a un dodicenne: però migliaia di decenni sono su TikTok e migliaia di dodicenni accedono alla pornografia”.

Nel dibattito interviene anche Maria Rita Parsi, psicopedagogista e piscoterapeuta, presidente del Movimento Bambino: “Se, oltre al generoso dono degli organi fatto dai genitori di Antonella, nel desiderio di rendersi visibile ai coetanei del virtuale mondo di TikTok, noi volessimo, per intelligenza e metodo, aggiungere il dono del possibile significato che simili atti di sfida rappresentano per tanti minori, potremmo, forse, comprendere meglio cosa questa innocente creatura abbia voluto esprimere con il suo agire. I bambini sono poeti: agiscono. E agiscono su quel che profetizza la ‘mente intuitiva’ che, secondo Albert Einstein, ne caratterizza, quale ‘dono sacro’, il sentire”.

Parsi si chiede cosa voleva esprimere Antonella con quel suo presunto atto di sfida e se non è da collegare con le restrizioni che stiamo vivendo in questo periodo: “Come, infatti, non decriptare la sua letale impresa, nel senso di una disperata richiesta di aiuto, per uscire dalle soffocanti condizioni di chiusura, di paura, di angoscia di morte che caratterizzano, soprattutto oggi, la vita quotidiana e le incertezze, le prove, i timori, le difficoltà di minori, adulti, anziani? – si chiede l’esperta – soprattutto, poi, se mancano gli adeguati strumenti di sostegno e assistenza, anzitutto psicologici e psicoterapeutici, che, insieme e, perfino, più urgentemente del vaccino liberatore, dovrebbero essere messi a disposizione delle famiglie, degli educatori a scuola e, ancora, degli operatori sanitari, del Terzo Settore e delle associazioni che operano attraverso l’informazione e il volontariato, sul territorio e nel sociale”.

Per Parsi c’è una lezione da trarre da questa tragedia: “Antonella – dice – con la sua tragica fine, ci indica una strada da seguire. E non soltanto per vigilare sull’utilizzo del web da parte dei minori e degli adulti, così da renderlo virtuoso e sottoposto a controlli, norme, regole e leggi che consentano di rispettare la libertà e la salute degli individui, tenendo conto che essa deve essere limitata allorquando limita, offende, non rispetta la libertà e la privacy altrui. Ma, anche e soprattutto, per cogliere le condizioni di quel disagio che, oggi, proprio i minori, ormai più sapienti degli adulti nell’utilizzo del virtuale, esprimono anche attraverso il TikTok dei loro giochi estremi”.

L'ECO di San Gabriele
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