I MARCHIGIANI SOMIGLIANO SEMPRE PIÙ AGLI ITALIANI
Non c’è più traccia di quella peculiarità marchigiana che, nel recente passato, l’aveva contraddistinta nel confronto con altre regioni. I marchigiani somigliano sempre più agli italiani e la regione appare così sempre più allineata al dato nazionale sulla soddisfazione. Sta venendo meno, infatti, la fiducia nel futuro e nelle istituzioni, la prima emergenza percepita è la disoccupazione, seguita dalla qualità dei servizi. A rendere tangibile il clima nuovo in cui ci si muove è il laboratorio di studi politici e sociali dell’università di Urbino, La Polis, che, assieme all’Istao di Ancona, l’istituto di specializzazione post-laurea intitolato ad Adriano Olivetti, hanno condotto un’indagine su un campione di 1.010 cittadini. Facendo riferimento all’Atlante sociale delle Marche redatto nel 2007 e confrontando i dati di allora con quelli attuali, se ne è ricavato che le Marche di dieci anni fa non ci sono più. Il pessimismo si è sostituito all’ottimismo tanto che il 63% degli intervistati parla solo in negativo del futuro prossimo, caricato di un alone di grande sfiducia da generare “paura sociale” tra i residenti. Vita associativa e politica non abitano più qui e le istituzioni non rappresentano più il punto di riferimento.
La fiducia nei confronti del comune passa dal 46,5 (2007) al 34,5% (2016). Non da meno si gratifica l’operato dalla Regione passato dal 41,1 al 24,6%. Addirittura dimezzata è la credibilità nei confronti dell’Unione Europea che passa dal 53,1 al 22,7%. Il responso non risparmia neanche le scuole, l’università, le banche, le forze dell’ordine, istituzioni alle quali sono stati sottratti dei consensi. A occupare gli ultimi posti della classifica sono i partiti politici sui quali hanno dichiarato di credere cinque marchigiani su cento. “I dati manifestano – commenta Gianluigi Storti, direttore dell’ufficio Problemi sociali e del lavoro della diocesi di Pesaro – che i cittadini, per delusione e per sfiducia, hanno perduto la capacità di tradurre i problemi privati in questioni pubbliche e politiche e viceversa. Si è così allargata la frattura tra società e politica, oggi molto difficile da sanare”. Domanda: cosa rimarrà della regione per anni considerata terra di solidarietà e di accoglienza ? Dal rapporto de La Polis – curato da Ilvo Diamanti, Fabio Bordigon e Luigi Ceccarini – quattro sono gli aspetti che danno il senso del sentimento generale. Sul primo – sicurezza personale e ordine pubblico – il 40% degli interpellati ritiene che la situazione sia peggiorata rispetto al 2007 quando si collocava al 21%. Sul secondo aspetto – quello che riguarda il mondo giovanile – il 75% non ha mostrato incertezze nell’affermare che i giovani di oggi avranno un futuro peggiore rispetto a quello dei genitori. Segue poi l’aspetto legato all’immigrazione verso la quale il 45% dei marchigiani ritiene gli immigrati un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza oltre che per la nostra cultura, la nostra identità, la nostra religione e per l’occupazione. Ultimo dei quattro aspetti considerati è relativo alla fiducia negli altri. In questo caso la “disaffezione” è passata dal 58 del 2007 al 62,5% del 2016.
Lo sconquasso, visto dalla parte dei politici, ha come matrice di base la crisi economica il cui “peso – dice il presidente del Consiglio regionale, Antonio Mastrovincenzo – è stato significativo e il processo di ‘medianizzazione’ delle Marche non è solo un fattore percepito, ma un dato della realtà”. Alle conseguenze della crisi economica si è aggiunto, negli ultimi mesi, il terremoto che “ha investito più di un terzo del territorio regionale e che potrebbe acuire questo processo”. La sfida, pertanto, sta proprio nel trasformare il sisma in una occasione di rinascita.
Gli intervistati hanno inoltre mostrato un’apertura di vedute nei confronti della costituzione di macro-regioni. Per incidere sugli indici di benessere e di produttività delle Marche “è necessario – avverte Pietro Alessandrini, economista dell’ateneo dorico – far ricorso a un modello di sviluppo polivalente su basi innovative, un’interazione virtuosa tra più motori produttori di reddito, non più solo manifattura”. Per il direttore de La Polis, Ilvo Diamanti, il fatto che “siamo un Paese che ormai non ha più le sue specificità territoriali” significa che “stiamo assistendo alla perdita del retroterra. Stiamo perdendo il senso di società, il senso comune, che si riproduceva nella vita quotidiana, c’erano grandi associazioni, c’erano reti di socializzazione. Un’Italia senza colore, senza radici preoccupa ma l’Italia centrale, colpita dal terremoto, può diventare nuovamente un modello per ripartire”. Opinione condivisa dal presidente dell’Istao, Pietro Marcolini.