di P.G. Wodehouse,
Traduzione di Beatrice Masini
Sellerio – pp. 368, euro 16,00
La saga di Jeeves è ormai ospite abituale di questa rubrica. Anche per Grazie, Jeeves – il secondo titolo della serie – vale l’ammonimento premesso all’intera produzione dell’umorista britannico: soffermarsi sulla trama sarebbe fuorviante. I fatti sono innescati da due fattori: da un lato l’inettitudine del nobile Bertram Wooster (il motore comico), che non perde occasione per immischiarsi nella vita sentimentale della sua sgangherata compagnia di amici e parenti. Dall’altro, l’incontrovertibile certezza che il giovane Bertie abbia troppo tempo libero. Nel caos di equivoci, imprevisti e malumori generati dalla sua filantropia l’unica certezza è ancora una volta il saggio maggiordomo Jeeves che, proprio come il lettore, osserva la vicenda a qualche passo di distanza e finge di nascondere il suo divertimento. A tenere alto l’umorismo tra le pagine non è un accumulo di battute o trovate riuscite, quanto la messa in scena di un ecosistema funzionante, in cui perfino la semplice presenza o assenza di un personaggio nella stanza può provocare il riso. Vi è mai capitato che qualcuno vi raccontasse una storia convinto che fosse esilarante, ma una volta accortosi del contrario subito si giustificasse con un “Eh, avreste dovuto esserci…”? Ecco, nei libri di Wodehouse si ha sempre la sensazione di esserci. Per fortuna.