Da quando si è votato alle regionali, lo scorso febbraio, l’Abruzzo è diventato la parola più citata nei dibattiti televisivi e negli articoli politici dei giornali nazionali. Per almeno un mese la regione è stata sotto le luci della ribalta mediatica come mai in passato. Certo, l’appuntamento elettorale abruzzese, il primo dopo il voto politico del 4 marzo, aveva il sapore di un test politico nazionale. Così è stato interpretato per una serie di ragioni che a noi non interessa mettere a fuoco. Ci attraggono, invece, i possibili risultati di tanta pubblicità per l’Abruzzo. Probabilmente molti per la prima volta si saranno chiesti: ma quest’Abruzzo dove si trova?
Quante volte ci è capitato di incavolarci ascoltando le risposte sbagliate dei concorrenti nei quiz televisivi sui capoluoghi provinciali della regione. Teramo in quale regione si trova? I più preparati lo collocano nelle Marche; i più sprovveduti in Trentino. Che non sarebbe poi nemmeno tanto male visto il tenore di vita in quella parte dell’Italia. Per non parlare di Chieti. Il meglio che può capitare ai teatini è quello di essere posizionati a nord di Roma. Per Pescara va un po’ meglio, anche se a discapito dell’Aquila. Il capoluogo adriatico, infatti, è indicato giustamente in Abruzzo ma ne diviene erroneamente il capoluogo. All’Aquila non è bastato nemmeno il devastante terremoto del 2009 a sancirne, nell’immaginario collettivo nazionale, lo statutario e sacrosanto ruolo di capitale abruzzese. Invece, le elezioni del febbraio scorso hanno ricollocato tutto nella giusta posizione.
Tutti sanno adesso dove si trova l’Abruzzo nello scacchiere regionale dello Stivale e tutti, o quasi, sanno dove si trovano le sue città più importanti. Potenza della politica. Altro che Boccaccio che indicava gli Abruzzi come pietra miliare per la discesa nel paese di Bengodi. Non sono stati i grandi scrittori e i poeti di questa terra a decretarne, con un colpo d’occhio, le coordinate sulla cartina dell’Italia. D’Annunzio, Silone, Croce, Flaiano (per citarne solo alcuni) hanno dato, certamente, una mano in questo senso ma, per così dire, di tipo territoriale. Insomma, hanno contribuito alla conoscenza specifica dei luoghi: Pescara, la Marsica, Pescasseroli, eccetera. Ma l’Abruzzo nel suo complesso è rimasto un’entità nebulosa, sempre di difficile individuazione. Le sue incomparabili bellezze naturali – massicci montuosi, parchi naturali, boschi selvaggi e incontaminati, acque salubri (o quasi) – anch’esse hanno aiutato molto a far conoscere la regione, ma provate a chiedere dove si trova il Gran Sasso e poi provate a chiedere ai vostri interlocutori di Firenze, Bologna, Cagliari e Palermo, dove si trova il Monte Bianco. Potete stare certi che difficilmente il tetto d’Europa troverebbe una collocazione diversa dalle Valle d’Aosta.
La stessa cosa non accadrebbe per il massiccio più imponente e alto degli Appennini. Eppure qualche secolare elemento distintivo questa regione lo aveva se non altro nel nome: Abruzzi. Uno e trino. Oltre alle Marche era l’unica regione che poteva declinarsi al plurale, lasciando da parte le Calabrie, di più antica ridenominazione al singolare. Insomma, nemmeno quel plurale aveva lasciato tracce nella memoria visiva degli italiani. Oggi, invece, l’Abruzzo è “sdoganato”. Tutti ne parlano come laboratorio politico. I suoi elettori sono considerati cavie di sperimentazioni di rinascenti intendimenti progressisti, di inarrestabili penetrazioni del “vento del nord” o di repentini declini stellari.
Nel bene o nel male, ma finalmente se ne parla.