Con i nuovi media e i conseguenti modi di comunicazione si è evoluto anche il sistema della trasmissione del messaggio pubblicitario. Ma cosa succederebbe se gli influencers prendessero posizioni politiche?
D: Cosa fai?
R: Vado all’università
Domanda e risposta standard di chi – la maggior parte – finita la scuola dell’obbligo è in attesa di scoprire cosa farà da grande, nel frattempo vivacchiando (anche bene, per non far nulla) con i soldi nei nonni, l’immancabile paghetta e qualche lavoretto; e, quando capita, un esamino ogni tanto. Praticamente: c’è chi studia davvero e prende ottimi voti, chi si applica il giusto, chi appena appena, chi per niente. Da qualche anno, la risposta è: Faccio l’influencer. Anche in questo caso, c’è il bravo, il normale e quello che non va oltre l’atteggio.
L’influencer è una nuova professione scaturita dalla società dei consumi e dell’apparenza. Per svolgerla non occorre alcun titolo di studio: è bene precisarlo per chi ha difficoltà a scegliere il dopo-diploma. Divento in qualche modo riconoscibile o appena famoso, pubblicizzo cose, incasso soldi. È una delle forme di lavoro emerse con l’esplosione dei social network e della loro massificazione. In fondo questo non differisce molto da quanto avveniva alcuni decenni fa: se un personaggio famoso prestava il suo volto a una campagna pubblicitaria le vendite di quel prodotto aumentavano esponenzialmente, in quanto il personaggio stimolava la fiducia del pubblico verso il prodotto sponsorizzato.
Con i nuovi media e i conseguenti modi di comunicazione si è evoluto anche il sistema della trasmissione del messaggio pubblicitario. Gli influencer fanno parte di questo sistema. Hanno seguaci che ascoltano i loro messaggi, seguono e sognano le loro vite, applicano i loro consigli e a loro volta li ritrasmettono agli altri fans. Gli influencer sono diventati dei veri opinion leader su Internet. La fidelizzazione di questo rapporto, il grande numero di utenti e i costi molto più contenuti rispetto alla pubblicità tradizionale hanno indotto le aziende a spostare in questo settore cospicui fondi destinati alla promozione dei loro prodotti.
Chiara Ferragni è senza dubbio l’italiana più celebre a livello mondiale. La sua storia è emblematica di come un influencer possa raggiungere in poco tempo traguardi elevati di popolarità e ricchezza, essere amato e, in caso di scivolone, improvvisamente odiato. In linea di massima, collaborare con un “Big” dei social network (dai 500 mila a oltre i 7 milioni di follower) può richiedere onorari che si aggirano tra i 20.000 ai 150.000 mila euro per un singolo post. Ma ci sono anche influenzatori che propongono a un ristoratore di non pagare il pranzo in cambio di menzionarlo sui loro post. C’è chi accètta e chi li… accétta!
Tuttavia, anche la Ferragni è scivolata nel torrente della celebrità. Una serie di pubblicità di pandori, uova di Pasqua, bamboline messe in vendita con formule criptiche che inducevano in errore i consumatori, convinti di fare anche beneficenza, ha fatto inceppare il suo meccanismo. Accusa grave: truffa aggravata. Le multe milionarie e le inchieste della magistratura hanno allontanato una piccola parte dei seguaci, ma, soprattutto, hanno messo in dubbio che l’intero sistema poggi su basi non propriamente cristalline. Ombre di questo tipo possono nuocere all’influencer, e possono arrecare danno alle aziende che investono su di lui. Il web, come altri mezzi di comunicazione di massa, riesce a essere feroce quando viene ingannato. La comunità virtuale sa essere cattiva e feroce, le aziende sanno come tirarsi indietro e stracciare i contratti
Anche nel mondo degli influencer la credibilità non è tutto, ma è molto. Così, per fare le pulci al fenomeno del decennio, ecco sorgere i de-influencer. Si tratta di una categoria di creatori di contenuti digitali che, invece di sponsorizzare prodotti, li critica e si interroga sull’impatto che possono generare sui comportamenti d’acquisto dei consumatori. Li consigliano su cosa non comprare. Fin qui, però, stiamo ancora nel campo umano. Questa è gente viva. Infatti, ci sono anche influencer che non ci sono, nel senso che non hanno forma umana, ma si comportano come gli altri. Il terzo stadio: the virtual influencer. Fanno le stesse cose, ma non invecchiano e sono disponibili 24 ore su 24, senza problemi. Le loro prestazioni costano meno, ovviamente, per questo sono ricercati e hanno milioni di seguaci. Sono personaggi fittizi creati al computer; sono talmente ben fatti tecnicamente e dotati di un’intelligenza artificiale, che possono essere definiti, virtual human (virtuali umani) tanto sono simili alle persone. A differenza dei reali, che possono richiedere centinaia di migliaia di dollari per un post, sembra che le “star” virtuali per le stesse cose prendano sui 6-7 mila euro. Perciò non sorprende che numerose aziende e celebrità abbiano colto questa tendenza.
Il futuro dell’influenza è proprio qui: un avatar digitale che affascina milioni di fan adoranti offrendo allo stesso tempo una personalizzazione senza pari e disponibilità H 24. Rappresentano un’unione elettrizzante tra la tecnologia all’avanguardia e il nostro desiderio di connessione. Al contempo, sono l’ennesimo prodotto spacciato dai professionisti del marketing che vogliono i nostri soldi.
Tutto bene, quindi? Non proprio. Attualmente gli influencer si limitano a rappresentare e promuovere cose. Ma cosa succederebbe se prendessero posizioni politiche? Potrebbero determinare il cambio di un Governo? E se le società commerciali decidessero di utilizzarli per realizzare un movimento politico? Non solo: cosa potrà accadere quando un personaggio fittizio si sostituirà al suo gemello reale? È già accaduto a Tom Hanks, il quale ha denunciato di esser stato clonato a sua insaputa dall’intelligenza artificiale per lo spot di un’assicurazione dentistica.
Lo studio When did we start trusting strangers? (Quando abbiamo iniziato a fidarci degli sconosciuti?), della società di consulenza in comunicazione e pubblicità McCann, suggerisce che il più grande cambiamento in termini di influenza e processo decisionale avvenuto con l’avvento dei social media e dei social network è che gli utenti si fidano e apprezzano le opinioni degli altri utenti, quasi quanto le raccomandazioni di persona. Inoltre, ritengono che le opinioni e le valutazioni dei loro pari, cioè degli altri utenti, siano più affidabili di qualsiasi messaggio pubblicitario costruito da un’azienda. La domanda è: nell’uso di questi personaggi, i follower capiscono che sono di fronte a una “raccomandazione fittizia”? Che sono spettatori di una strategia pubblicitaria a pagamento che cerca di generare in loro un desiderio e una decisione di acquisto, di un oggetto o di un’idea? In una parola: che possono essere manipolati.