Un buon stipendio sacrificato sull’altare dell’autunno caldo, quella stagione che, a prescindere dalle temperature, surriscalda le coronarie degli italiani per i rincari delle tariffe dei servizi, spese scolastiche, conguagli delle tasse che rovinano in un colpo solo quel poco di serenità che le ferie ci avevano regalato. Nel frattempo, ognuno di noi versa 23 euro per mantenere la casta locale (1,408 miliardi l’anno). La stangata per i già tartassati bilanci familiari si aggira sui 1.760,23 euro, secondo quanto ha calcolato l’osservatorio nazionale della Federconsumatori; sono state escluse le spese correnti per alimentazione, abbigliamento, divertimento, eccetera, e si è tenuto conto della diminuzione dei costi dell’energia, che avrà un minimo impatto su bollette e riscaldamento. La parte del leone la fa la scuola; chissà perché i libri sono diventati come i telefonini: ogni anno sono da buttare via e non è possibile riutilizzare i vecchi, anche per materie come greco, latino, matematica, storia dell’arte, letteratura e così via. Se il prof decide che si deve cambiare, si cambia, punto e basta. E i genitori pagano. Così, tra libri e corredo scolastico, se ne vanno 778,70 euro. Al resto ci pensano le utenze di acqua, luce, gas e telefono (circa 455 euro), la seconda rata della Tasi (117,03 euro), la seconda rata della Tari (143,00 euro) e il riscaldamento delle abitazioni (prima rata, 256,50 euro) per un totale, appunto, di 1.760,23 euro.
È ovvio che la stangata autunnale avrà ripercussioni sui consumi e sull’intero sistema produttivo, rallentando quella crescita che alcuni danno per certissima (con balletti di cifre spesso corretti maldestramente al ribasso poche ore dopo gli urrà! del “quanto siamo bravi”) e altri continuano a non vederla. Ad alleviare il malcontento potranno bastare gli annunci sull’abolizione della tassa sulla prima casa e dell’Imu sui terreni agricoli o sulla diminuzione di Ires e Irpef, le tasse sui redditi delle società e delle persone fisiche? Annunci già sentiti più volte in passato e rimasti tali. Stavolta sarà diverso? Chissà! Nei prossimi tre anni occorrerà reperire una somma che oscilla tra i 35 e i 45 miliardi di euro; una cifra alla quale – secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre – vanno sommati 75,4 miliardi entro il 2018 per evitare che scattino le cosiddette clausole di salvaguardia per tappare i buchi del bilancio statale, con aumenti automatici del prelievo fiscale.
Basterà tagliare la spesa pubblica? Continueranno i tagli verso gli enti locali che sempre più spesso per tappare i buchi aumentano le imposte locali? Staremo a vedere. Intanto, è certo l’arrivo della tassa sui rifiuti (Tari): nella maggior parte dei comuni la prima rata è stata versata a settembre, il conguaglio è previsto per novembre. Quest’anno la tariffa media per una casa da 100 metri quadri abitata da tre persone sarà di 299 euro, 15 in più rispetto all’anno scorso (+ 5%). Una tassa in continua lievitazione: la Cgia ha calcolato che per smaltire i rifiuti una famiglia spende il 23,5% in più rispetto a 5 anni fa. Le cose vanno peggio per le attività commerciali: l’aumento è stato addirittura del 47% per ristoranti e pizzerie di 200 metri quadri, del 35% per bar di 60 metri quadri, del 23% per negozi di parrucchieri di 70 metri quadri. Tutto questo in un settore la cui qualità del servizio non è affatto migliorata nella stragrande maggioranza dei casi.
L’unica diminuzione sinora registrata in tante gabelle è rappresentata dalla spesa pro-capite per mantenere la cosiddetta casta locale: nonostante la spesa per gli amministratori sia scesa del 23% dal 2009, nell’ultimo anno è costata ai cittadini 1,4 miliardi. Il che significa che un politico locale costa 23 euro per cittadino, sia esso nato da appena un secondo o prossimo a esalare l’ultimo respiro. Tanto ci costano gli stipendi dei rappresentanti politici di regioni, province, comuni, comunità montane ed enti parco, secondo un rilevamento dell’istituto di ricerca Demoskopika. Se da un lato è vero che il calo (da 1,827 miliardi del 2009) è dovuto al taglio degli organi istituzionali di province e comunità montante, non v’è dubbio che 1,408 milioni siano davvero troppi e che nei primi otto mesi del 2015 le tesorerie degli enti presi in considerazione hanno già liquidato 675 milioni (369 per le regioni, 300 per i Comuni, 9 per gli amministratori provinciali, 2,5 per gli Enti parco e 2,2 milioni per le Comunità montane), impiegati principalmente per indennità, compensi e rimborsi, acquisto di beni e servizi. “E io pago e io pago!” ripeteva il barone Antonio Paletti, impersonato magistralmente da Totò nel film “47 il morto che parla”. Ma questa sembra essere una triste telenovela.