Nell’articolo del numero precedente abbiamo visto come Gesù regna dalla Croce. Ora vediamo come l’esercizio della regalità dalla Croce non è tanto una teoria da professare, quanto un’esperienza da fare. La vocazione cristiana non è una chiamata a rassegnarsi a una fatalità, ma l’invito a entrare in un cammino di Vita che cresce e si sviluppa fino all’infinito, per le persone, per le famiglie e comunità e per l’intera umanità. Non dico niente di originale. Quando si amministra il battesimo non si dice forse che, ricevendo questo sacramento, si diventa re, sacerdoti e profeti? Poi magari si dimentica questa dignità pensando che dobbiamo piuttosto rassegnarci alle tribolazioni della vita. Ma obbedienza e sottomissione alla volontà di Dio non coincidono con la rassegnazione al fatalismo.
Se pensiamo al regnare di Gesù dalla croce, ci vien fatto subito di obiettare: come si può esercitare una regalità quado si è inchiodati a una croce, mani e piedi, non si può muovere un braccio neanche per scacciare le mosche dalle piaghe? Obiezione più che ragionevole. L’esperienza da fare, però, è il fatto che la regalità di Dio passi attraverso la nostra impotenza.
Dove poggia la regalità del mondo? Certo la potenza degli imperatori romani impressiona. Ho sentito dire, però, che essi imperavano in media due anni a testa, poi o morivano o venivano deposti e uccisi. Dove sta la potenza di moderni dittatori come Stalin, Hitler, Gheddafi o Ceaucescu, che terrorizzavano interi popoli? Nel cimitero. Oltretutto sono dimenticati. Chi ricorda, o almeno commemora, gli imperatori romani?
Con Gesù anche noi, se siamo fedeli e giusti, facciamo l’esperienza del fallimento, dell’espropriazione, dell’ingiustizia, ma, stranamente, vediamo che proprio lì c’è la fecondità della vita. Non si tratta certamente della regalità di cui si parla sui giornali, quella che illude con l’idolo del successo, ma dove approda quella? E dove germoglia invece questa? Se raffiniamo la nostra intelligenza con gli occhi della fede, vediamo la differenza.
Possiamo trovare dei collegamenti tra queste esperienze della vita cristiana e altri insegnamenti del vangelo. Gesù dice: io sono venuto a portare vita e portarla in abbondanza. Io sono risurrezione e Vita: chi vive e crede in me non conoscerà morte. Paolo che insiste tanto nell’invito a configurarci alla morte di Gesù, dice esplicitamente che siamo invitati anche a partecipare fin da ora alla sua risurrezione. Siamo abituati a proiettare questa partecipazione alla fine dei tempi, nella Parusia. Ma non sembra che sia soltanto questo che intende l’apostolo. Dice: se siete risorti con Cristo, è qualcosa che avviene già ora. Quando si sperimenta che la partecipazione alla sua morte per amore è anche una partecipazione alla sua risurrezione, si capisce l’unità del mistero pasquale
Concludo con un’altra espressione presa dalla concreta vita dell’apostolo Paolo, e sperimentata migliaia di volte anche da ciascuno di noi: quando sono debole è allora che sono forte. C’è un libro intitolato Teologia del fallimento. Quante esperienze di fallimento nella vita di oggi! Non solo di un’azienda, di un progetto di promozione di se stessi, una laurea o altro, ma anche, purtroppo, delle famiglie. Il libro citato comincia col parlare del fallimento dello stesso Gesù, presentato, però, non tanto come un giovane che piange sul fallimento dei propri progetti, ma sul male che da questo viene ad altri, alla città amata: Gerusalemme. Dice: Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i pulcini sotto le sue ali – che tenerissimo paragone! – e tu non hai voluto! Sopra tutto questo, però, resta la redenzione di Dio e questo vale anche per fallimenti tanto dolorosi come quelli familiari: verrà il tempo in cui direte: benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Perciò, mentre Gesù esprime la sua compassione per le donne dicendo non piangete su di me, ma su di voi e sui vostri figli, le rassicura anche mettendosi in sintonia con i profeti che promettevano un’alleanza che non si sarebbe potuta sciogliere. Ricordiamo quanto Dio assicura di fare attraverso le parole del profeta Geremia: farò col mio popolo un’alleanza che, a differenza di quella fatta con i loro padri, che è stata infranta, non si potrà rompere (Ger 31). Ricordiamo anche Ezechiele: vi darò un cuore nuovo, metterò la mia Legge nel vostro cuore, in modo che non possiate più trasgredirla (Ez 36). Come sarà possibile questo? Per la mia regalità che si sta per realizzare ora, subito, sul trono della croce, sul quale sto per salire.