Da Londra a Bologna, poi a Cesena e di nuovo in Inghilterra (Wolverhampton), fino all’ultimo trasferimento a Monchengladbach, località tedesca resa famosa anni e anni fa per una lattina di birra che coinvolse in una querelle italo-tedesca l’Inter di Moratti padre e appunto i germanici di Monchengladbach. Ma torniamo agli azzurri di Mancini, che hanno vissuto un giugno intenso e itinerante, un vero e proprio tour de force fatto di cinque partite in due settimane, un po’ di qui, un po’ di qua, con il bis tecnico e agonistico nei confronti della Germania dieci giorni dopo l’1-1 di Bologna nel match di esordio della terza edizione della Uefa Nations League. Il nuovo corso azzurro, inaugurato all’indomani della netta sconfitta con l’Argentina nella “Rivincita/Finalissima” di Wembley, dobbiamo dire che è andato oltre le migliori aspettative, anche a detta dello stesso commissario tecnico. Nelle gare con Germania, Ungheria e Inghilterra si è vista infatti un’Italia determinata, coraggiosa e soprattutto vogliosa di recuperare il terreno perduto dopo la delusione per la mancata qualificazione al Mondiale di Qatar. E viene spontaneo rilevare che forse, tutto sommato, quella esclusione, per come Mancini ha saputo gestire il “nuovo”, è da considerarsi positivamente. Questo il bilancio del lungo raduno secondo il giudizio dello stesso allenatore: “Sono stati giorni belli, prima di tutto per lavorare, per conoscerci. La squadra ha fatto cose ottime e ho visto dei ragazzi che possono avere un grande futuro. La sconfitta con l’Argentina mi è dispiaciuta, ma era la seconda volta dopo il match con la Francia di quattro anni fa in cui non abbiamo giocato bene e abbiamo giustamente perso. Due partite (tre se ci aggiungiamo la pesante, e speriamo salutare, sconfitta di Monchengladbach: ndr), in quattro anni ci possono stare”. Mancini ha puntato sui giovani, lanciando ben nove esordienti e ottenendo risposte positive. I tanti cambi, inevitabili dovendo scendere in campo ogni tre giorni, hanno forse in parte snaturato l’identità di una Nazionale che continua comunque a giocare un calcio propositivo, fatto di scambi in velocità e verticalizzazioni improvvise. “È stato un bene, a mio giudizio – dice Mancini – che i più giovani si siano allenati con calciatori più esperti. Possono migliorarsi a livello di personalità. Pensavo potessero fare un po’ più di fatica. Abbiamo fatto un buon lavoro, ma c’è tanto ancora da fare”.