A causa della pandemia molti stanno riscoprendo le aree interne e marginali, ovvero quelle zone situate, in grande prevalenza, lungo l’Appennino o sulle Prealpi. Territori dove si assiste da anni a un costante spopolamento dovuto alla scarsità di servizi essenziali e di lavoro, accentuato in alcuni comprensori da eventi calamitosi come terremoti o frane. Complice Internet e lo smart-working ma, soprattutto, l’insofferenza a trascorrere periodi di quarantena in abitazioni prive di giardini o sbocchi esterni, ha indotto sempre più cittadini, in particolare quelli delle grandi città, a riscoprire le seconde case o pensare all’acquisto di casali e rustici in campagna, dove trasferirsi anche stabilmente. Lo confermano i dati del mercato immobiliare che annota, dopo anni, un boom di transazioni e richieste in aree come la Sabina in provincia di Rieti (a poca distanza da Roma) o nell’Oltrepò Pavese, in Val Trebbia (PC), nel Monferrato e nelle Langhe, (a circa 100 chilometri o poco più da Milano o Torino). Sull’argomento è stato scritto un libro AttivAree. Un disegno di rinascita delle aree interne, edito dal Mulino, presentato in un convegno patrocinato dalla Fondazione Cariplo. C’è voglia di cambiare la propria vita, ridando vita a luoghi bellissimi abbandonati.
COVID-19: VOGLIA DI LASCIARE LE CITTÀ
