Il 27 febbraio è una data cara a tutti i devoti di san Gabriele presenti in tante parti del mondo; infatti all’alba di questo giorno nel 1862 il santo, alla vigilia del suo ventiquattresimo compleanno, chiudeva il proprio pellegrinaggio terreno per andarsene in paradiso. Leggendone la vita, povera di anni ma ricca di meriti, si scopre che Gabriele vede i suoi giorni feriti da numerosi lutti che si susseguono con un ritmo impressionante, quasi richiamati da un misterioso appuntamento. La morte diventa subito “qualcuno” di casa, un commensale sempre presente nella sua famiglia. Nel 1841, quando Gabriele ha tre anni, gli rapisce la sorellina Rosa di sette mesi; l’anno successivo gli porta via la sorella Adele di nove anni e la mamma Agnese di 42 anni. Lui, bambino di appena quattro anni, resta orfano conservando nel cuore il ricordo dell’ultimo bacio e dell’ultima carezza che la mamma morente ha voluto riservare proprio per lui.
Nel 1848 gli strappa il fratello Paolo di 21 anni, nel 1853 il fratello Lorenzo di 27 anni e nel 1855 la sorella Maria Luisa, dolcissima giovane di 26 anni, che in casa aveva preso il posto lasciato vuoto dalla mamma. Gabriele stesso si ammala gravemente e vede in faccia la morte: guarisce dopo aver promesso di entrare in convento. Tali eventi punteggiano la vita di Gabriele bambino, adolescente, giovane: lo rendono riflessivo, attento e sensibile alle sofferenze del prossimo e sono forse la radice del suo tenero amore verso l’Addolorata e il Crocifisso. Lui che aveva promesso di farsi religioso se fosse sfuggito alla morte, ma che entra in convento soltanto per un chiaro invito rivoltogli dalla Madonna, da religioso passionista non solo non teme la morte, ma la desidera. Sgrana i giorni terreni come una preparazione alla eternità, e vede nella morte non la conclusione della vita ma la porta che introduce all’incontro gaudioso e definitivo con Dio.
Scrivendo ai familiari ricorda la fugacità e la preziosità del tempo. Dice al papà: “Adesso si fabbrica la casa per abitarci non trenta, quaranta, cento anni, ma una eternità. Come dunque la fabbricheremo tale la troveremo; da noi dipende il renderci felici o infelici per sempre. Siamo pellegrini e come tali non ci dobbiamo fermare per le strade di questo mondo ingannatore, ma teniamo fissi gli occhi alla vera patria”.
Parla così spesso e con tanta naturalezza dei suoi “brevi giorni”, della “breve fatica di pochi giorni”, del “poco tempo di viaggio per l’eternità” da obbligarci a credere che non si tratta di un semplice modo di dire ma di un desiderio e presagio della morte non lontana.
Al vigile e sapiente direttore padre Norberto che gli suggerisce di domandare a Dio la guarigione dalla malattia che lo sta consumando, Gabriele risponde: “Mi lasci domandare piuttosto una buona e santa morte”. E padre Norberto asserisce che Gabriele “fin da principio della sua vita religiosa, godendo la pace del cuore, la tranquillità della coscienza, la quiete dello spirito e gustando una gioia sconosciuta a chi non si è dato totalmente a Dio, chiedeva la grazia di morire, e desiderava, come più volte ha detto a me e ai suoi compagni di morire di quel male di cui è morto (la tisi) per poter fare atti di amor di Dio fino all’ultimo respiro”.
Il Signore accoglie la sua preghiera e Gabriele ne è contento. “Se volete che vi parli come la sento, confida ai suoi confratelli, vi dico che non mi dispiace di morire, anzi temo che nel gusto che ci sento, ci sia l’amor proprio”. Dirà ancora padre Norberto: “Giunta l’ora, invece di turbarsi si sentì e si mostrò pieno di tanta gioia e di tanto desiderio di morire che dovetti porgli un freno”.
Il mistero della morte, punto interrogativo piantato nel cuore dell’uomo, trova dunque in Gabriele la risposta più vera. La vita per lui non è un bagliore sbocciato dal nulla e che si spegne per ripiombare nel nulla; non è un sospiro tra due silenzi: il silenzio del “prima” e quello del “dopo”. Per lui il fluire del tempo non è un inarrestabile avvicinarsi alla morte, ma un cammino festoso verso la vita. E allo spegnersi dei giorni c’è il Signore che lo attende da sempre.
Veramente Gabriele è tra coloro che, come scrive lui stesso al fratello Michele, “invitano la morte pensando che vanno a possedere in realtà l’oggetto dei loro puri amori”. E le sue ultime parole sono rivolte alla Madonna che invoca con struggente affetto: “Mamma mia vieni presto”. E la Madonna accoglie la sua invocazione. Viene a prenderlo per portarlo con sé in paradiso.